Diari di Cineclub

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venerdì 29 giugno 2012

LA "PESTE NERA" di Yorgos Mitralias





LA "PESTE NERA" RISOLLEVA LA TESTA IN QUESTA GRECIA IN CRISI TERMINALE.
C'E' QUALCUNO CHE POSSA FERMARLA?...
di Yorgos Mitralias



I postumi elettorali del 17 giugno trovano, purtroppo, la sinistra greca non meno impreparata di fronte alla minaccia neonazista di quanto non lo fosse prima del 6 maggio. La prova? Il successo di Alba Dorata viene presentato come un’eccezione, un semplice “punto nero” in una situazione generale per il resto particolarmente brillante. È così che praticamente tutte le componenti della sinistra greca (SYRIZA inclusa) descrivono la situazione, come una sorta di assemblaggio di buoni e cattivi risultati, mostrando di ignorare come sia i punti “buoni” sia i “cattivi” (vale a dire la comparsa e lo sviluppo folgorante dei neonazisti) facciano parte della stessa situazione complessiva, siano interdipendenti ed abbiano uno stesso comun denominatore – la crisi economica della società greca – che li condiziona tutti!

La conseguenza di quest’approccio superficiale alla realtà sociale e politica greca da parte della sinistra greca è che il fenomeno neonazista è considerato un… incidente storico, qualcosa di passeggero e, in fin dei conti, a un elemento politico di secondaria importanza, rispetto ai due grandi avvenimenti del presente: la grande ascesa di SYRIZA e il tracollo del tradizionale bipartitismo greco.

I fatti, però, sono testardi e resistono ad “analisi” del genere. In primo luogo, c’è l’attività quotidiana dei neonazisti che sta facendosi sempre più temibile, sempre più aggressiva, non limitandosi più a prendere di mira i soli immigrati ma allargandosi ormai ai militanti di sinistra o anche a semplici sprovveduti che osano protestare. Invece di rinsavire visto perché ha una forte rappresentanza parlamentare (come erroneamente prevedevano vari dirigenti di sinistra), Alba Dorata sta ora passando all’attacco, mostrando i muscoli, moltiplicando le provocazioni e i raid in tutto il paese, e rivendicando pubblicamente il suo “diritto” di colpire chi vuole e quando vuole.

Ci sono, poi, soprattutto le statistiche, ancor più sconvolgenti delle azioni dei neonazisti. Stando agli studi approfonditi delle ultime elezioni greche, Alba Dorata è tutto tranne un “fenomeno passeggero” e “costituirà un polo forte, oltre che un avversario piuttosto temibile per la Sinistra, nei prossimi anni”.[1] Senza la minima esitazione, sosteniamo categoricamente e fin d’ora che i neonazisti greci non solo si collocheranno a lungo al centro del paesaggio politico greco, ma rappresentano ormai, insieme a SYRIZA, la seconda forza organizzata e in piena espansione laddove si giocherà la sorte del paese: nei grandi centri urbani e fra la popolazione più attiva e dinamica…

Come fa notare l’autore del saggio citato e grande specialista dei partiti politici e dei comportamenti dell’opinione politica greca:
Alba Dorata è una formazione coerente, i cui esiti elettorali presentano un accentuato impianto di classe, con una palese omogeneità ideologica”.
Di conseguenza, Alba Dorata è completamente diversa dal suo preecursore, vale a dire il partito d’estrema destra LAOS, che era non solo “sistemico” rispetto alle sue scelte politiche ma soprattutto interclassista nella composizione della sua clientela elettorale, con forte influenza fra l’alta e media borghesia. Secondo Vernardakis:
Alba Dorata presenta un’influenza popolare più ‘netta’, che si è anche manifestata nelle elezioni di giugno con un’agenda ideologica più esplicita che non a maggio. La geografia di Alba Dorata dimostra che si tratta di una formazione che non sarà congiunturale nel sistema partitico”.

Sono affermazioni corroborate dal fatto che il partito neonazista, il cui risultato elettorale di quasi il 7% dei voti non è mutato sensibilmente tra le due tornate di maggio e giugno, raggiunge successi particolarmente eloquenti soprattutto nei quartieri popolari, fra le classi d’età 25-44 anni e fra gli operai comuni e i lavoratori flessibili (24,5%), come pure tra i disoccupati (12,2%). Ma non è tutto. L’analisi dei risultati elettorali di Alba Dorata fa emergere una realtà rivelatrice delle intenzioni della borghesia greca, quando assegna al partito neonazista il 20,3% dei voti dei “padroni e degli imprenditori”! Più di 1 su 5 padroni e imprenditori greci vota già (!) per gli emuli di Hitler, quelli che fanno apertamente l’apologia di Auschwitz e sgozzano nella Metro di Atene immigrati indifesi!

Siamo di fronte a una realtà spaventosa e… assai promettente per il seguito del dramma greco. Un simile sostegno padronale ai neonazisti greci significa, infatti che:
a) nelle loro casse stanno già affluendo fiumi di denaro;
b) una parte apprezzabile della borghesia greca (+20%) sta ormai giocando la carta del fascismo e delle sue bande armate per contrastare il movimento popolare e la sua forza ascendente, che è SYRIZA!
Insomma, tutto questo vuol dire che siamo già ben lungi dalle ingenue certezze di cui dà prova la sinistra greca, che insiste nel sottovalutare il pericolo fascista quando si limita a esorcizzarlo con affermazioni del tipo: “il fascismo è una cosa totalmente estranea ai greci”, o “adesso che sono (i neonazisti) in parlamento e i mezzi di comunicazione di massa parlano di loro, rivelano la loro vera natura e la gente capirà e si allontanerà da loro”…

Purtroppo, non è così. Tutto sta infatti a indicare come Alba Dorata sia ben radicata nella società greca e come, soprattutto, l’adesione alle sue pratiche e ai suoi obiettivi non sia assolutamente occasionale, epidermica o passeggera. Ad esempio, la rimonta di Alba Dorata dopo il passaggio a vuoto l’indomani del 6 maggio, si deve non al presunto “rinsavimento” delle sue pratiche, ma piuttosto alla sua scelta ben consapevole di far passare i suoi interventi a un livello di violenza qualitativamente superiore (sgozzamenti quotidiani di immigrati in pubblico, provocazioni e atti di violenza del numero due dei neonazisti contro due deputate di sinistra “in diretta” da uno studio televisivo, aggressioni contro militanti di sinistra e incursioni contro sedi di partiti di sinistra, ecc.). Insomma, ciò che avviene ogni giorno sotto i nostri occhi è esattamente il contrario di ciò che auspicano i pii desideri della sinistra greca: la violenza di Alba Dorata contro gli immigrati e i militanti di sinistra non solo non ne riduce ma… ne fa crescere l’influenza e la forza d’attrazione fra certi strati sociali di diseredati, per un verso e, per altro verso, tra borghesia e padronato greco.

Per quanto provvisoria, la conclusione dunque non è poi tanto difficile: entrambe le forze ascendenti dello scacchiere politico greco sono quelle che si trovano ai suoi due estremi, l’estrema sinistra e l’estrema destra., SYRIZA e Alba Dorata. Così, i risultati delle due successive tornate elettorali vengono a confermare in maniera clamorosa la tesi e l’ipotesi di lavoro che avevamo presentato prima del 6 marzo nel nostro testo “A sessantasette anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale e dal processo di Norimberga, eccoci dunque in piena Repubblica di Weimar alla greca…”.[2] Una parte molto grande di questa società greca in rovina dopo due anni di barbara austerità cerca disperatamente le soluzioni radicali per i suoi problemi di sopravvivenza ai due estremi del paesaggio politico greco.

Detto questo, è del tutto comprensibile che la ragione di fondo dell’incapacità della sinistra greca di capire il fenomeno Alba Dorata e di intervenire contro questa sta nella sua incapacità di cogliere quel che sta avvenendo nel sottofondo della stessa società greca! Per questo il successo elettorale dei neonazisti è descritto semplicemente come un “punto nero” in un quadro in generale positivo, senza rendersi conto che questo “punto nero” è un po’ l’altra faccia della medaglia del successo folgorante di SYRIZA, e soprattutto senza che si capisca come questi moti pendolari delle masse diseredate che vanno da un estremo all’altro dello scacchiere politico sono destinati a continuare finché la sinistra radicale non trasformi l’attuale fase pre-rivoluzionaria in fase rivoluzionaria…

Va ammesso, tuttavia, che esiste ormai un ostacolo di rilievo per questa trascrescenza tra le due fasi: e questo ostacolo si chiama Alba Dorata, e non è un caso che sia stata creata di sana pianta (dai grandi mezzi di comunicazione, da una frangia della borghesia greca, da personalità della destra tradizionale greca che definiscono Alba Dorata “organizzazione sorella di Nuova Democrazia”, ecc.) esattamente per… impedire lo sviluppo del movimento popolare e l’ascesa della sinistra radicale!! Per dirla più semplicemente, la sinistra greca deve smettere di esorcizzare il morbo neonazista con frasi vuote del tipo “bisogna isolare i fascisti”, sostituendole al più presto con la problematica della difesa degli immigrati e della sua stessa autodifesa di fronte alle squadracce di criminali scatenati di Alba Dorata.

Bisogna tuttavia che sia chiaro che l’“autodifesa” non si improvvisa, tanto più che il termine stesso di “autodifesa” resta un tabù per la sinistra greca, una parola che si ostina a non pronunciare. Obiezioni quali “non ci si può abbassare al loro livello” o “i fascisti vanno affrontati con armi politiche” non reggono, visto che la violenza neonazista si estende ogni giorno a nuovi quartieri, rendendo sempre più difficile la normale esistenza delle persone e minacciando le attività dei partiti e delle organizzazioni della sinistra. Qui, non si ha più a che fare con teorie astratte ma con problemi concretissimi di vita quotidiana della gente, che la sinistra greca deve ammettere, affrontare, risolvere unitariamente quanto prima! Se Alba Dorata riesce a impedirci di uscire di casa, tutto il resto saranno chiacchiere irresponsabili di gente che si rifiuta ostinatamente di guardare in faccia la realtà…

Alla fin fine, quel che manca crudelmente alla sinistra greca perché possa capire, affrontare e combattere efficacemente la “peste nera” che sta rialzando la testa è la memoria e la comprensione di quel che è successo in Germania – ma anche in Italia – negli anni Venti e Trenta, Senza l’esperienza e le lezioni di quell’epoca, la sinistra greca è condannata a improvvisare e a girare a vuoto di fronte a neonazisti che danno ormai l’impressione di procedere seguendo scrupolosamente le direttive del manuale originario del nazionalsocialismo. Bisogna, infatti, ammettere alla fine, che l’attuale situazione greca presenta ormai sempre maggiori analogie con quella della Germania prima della fine della Repubblica di Weimar e dell’ascesa di Hitler al potere. Sembra inverosimile, ma, purtroppo, è così! Quindi, finché perdurerà l’incomprensione del fenomeno Alba Dorata come prodotto della sua epoca (di crisi economica, sociale e politica terminale), il “fenomeno” continuerà indisturbato il suo folgorante sviluppo. Attenzione, allora: siamo ancora solo agli inizi di questa storia che promette futuri da incubo se la sinistra continua a vedere in Alba Dorata un semplice “anacronismo” passeggero condannato a sparire appena la gente si accorgerà del suo carattere passatista e malsano. No, i neonazisti greci sono molto più di questo, perché ormai costituiscono un vero e proprio movimento radicale popolare dotato di suoi gruppi paramilitari e che gode inoltre del sostegno (politico, mediatico, finanziario…) di una frangia molto rilevante della borghesia greca.

La conclusione è volutamente allarmistica. La sinistra greca avrebbe dovuto farsi l'autocritica per aver lasciato che il serpente neonazista uscisse dal suo guscio. Non lo ha fatto, e sta continuando lungo la stessa china suicida, pretendendo di affrontare il morbo esorcizzandolo, quasi si trattasse di un semplice … spirito malefico e non di una concretissima forza materiale che punta a distruggere il movimento operaio con tutti i mezzi. Solo tre mesi fa, dire che Alba Dorata potesse ottenere il 7% dei voti sembrava un’enormità degna uno scenario fantapolitico. Chi avrebbe oggi il coraggio di escludere che proprio questo “scenario fantapolitico” non ci riservi altre sorprese, ancor più gravi e soprattutto dolorose?


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[1] Cfr. articolo e tabelle di Christoforos Vermardakis, nel quotidiano Avgi del 24 giugno 2012.

[2] http:/www.cadtm.org/soixante-sept-ans apres-la-fin-de



Traduzione di Titti Pierini,

28/giugno/2012

dal sito http://antoniomoscato.altervista.org/index.php



mercoledì 27 giugno 2012

RICOMINCIAMO DA CAPO? di Manuel Santoro



RICOMINCIAMO DA CAPO?
MESSAGGIO AL GRUPPO DI VOLPEDO
di Manuel Santoro



A 120 anni dalla nascita del Partito del Lavoratori italiani, PSI dal 1895, è arrivato il momento di ripensare ad una soggettività socialista, aperta, organizzata e strutturata, che contribuisca al ripensamento della sinistra italiana. Una soggettivita’ socialista che, nel senso piu’ democratico e trasparente, coinvolga tutte quelle forze, quelle soggettivita’ e quei filoni ideali del socialismo italiano interessate a riprendere il ragionamento di uno “stare insieme”, di una lotta comune, con l’obiettivo di creare, anche in Italia, un punto di riferimento per i deboli nelle societa’.

Le ragioni di questa posizione sono molteplici. Iniziando dallo stato disarmante in cui versa il socialismo italiano. L’erede “ufficiale” del socialismo italiano, il PSI, aleggia con percentuali leggere verso una alleanza moderata e conservatrice riproponendo la linea cuscinetto di Fiuggi tra PD e UDC. Ormai del tutto scomparso dall’orizzonte della sinistra italiana e, quindi, del tutto insufficiente ad una azione propositiva di rilancio del socialismo in Italia, il Partito Socialista Italiano si avvia lentamente alla conclusione di un processo di moderatizzazione neo-centrista il quale non prevede analisi profonde dei processi economici e sociali, ne tantomeno, ricette seriamente riformiste e di sistema. Chi, nei decenni, e’ uscito oppure e’ stato allontanato dal PSI, e’ oggi in altri soggetti politici, associazioni, gruppi vari, piccoli o grandi, noti o meno noti, oppure si e’ dato a vita privata.

Certo, nella scena politica del centrosinistra giganteggia il Partito Democratico il quale, con la sua ambiguita’ fondativa di essere di centro e di sinistra, e con la sua forza di attrazione delle forze limitrofe molto spesso assecondanti per fini ellettoralistici, svuota la potenziale progettualita’ di una diretta concorrente alla sua sinistra. Una alternativa di sinistra e socialista.

L’effetto di una futura alleanza, ad oggi probabile, tra PD, UDC e PSI sara’ quello di fare chiarezza; primo passo per una ripresa del cammino socialista. Se anche SeL dovesse unirsi al cartello (ma potrebbe anche non farlo e decidere finalmente di sposare il socialismo), allora lo spazio politico per riorganizzare il socialismo diventerebbe enorme e palpabile. Si creerebbe uno spazio largo in cui cominciare a lavorare ad una costituente socialista, ricomponendo, come esposto nella lettera invito al convegno, i filoni ideali del socialismo italiano.

Compagni, io penso che il socialismo in Italia, in Europa, nelle societa’ del mondo, sia vivo nelle idee e nei valori. E’, invece, la sua pratica, la sua organizzazione in soggettivita’ a non essere ancora germogliata. Vaghiamo, ancora, alla ricerca di un punto di approdo, spesso offerto da altri per altri fini, senza renderci conto che esso è nella nostra opera di costruzione politica ed organizzativa. Il socialismo brucia ancora nella militanza di tantissime donne ed uomini e non va vanificato. Se manca, come penso, il coraggio di sfidare il futuro, per il bene di tutti, nella costruzione di un soggetto politico socialista, affrontiamo la sfida. Penso che sia ormai diventata primaria la necessita' di riprendere il cammino dell'unita' dei socialisti all'interno di un ragionamento che ci conduca ad un ripensamento della sinistra italiana, la quale dovrà essere socialista.

Unità come una più compiuta rifondazione del socialismo.

27 giugno 2012

ANNIVERSARIO FONDAZIONE DEL PARTITO DEI LAVORATORI

GENOVA SALA SIVORI - SABATO 30 GIUGNO 2012

Manuel Santoro
Partito Socialista Italiano
Direttivo nazionale Lega dei Socialisti

lunedì 25 giugno 2012

COLPO DI STATO IN PARAGUAY



COLPO DI STATO IN PARAGUAY
di Atilio Boron




Si è appena consumata la farsa, pochi minuti fa: il presidente del Paraguay Fernando Lugo è stato destituito dal suo incarico con un giudizio sommario in cui il Senato più corrotto delle Americhe (è detto tutto!) lo ha accusato di “cattivo svolgimento” delle sue funzioni, con il pretesto delle morti verificatesi nello sgombero di una fattoria [occupata] a Curuguaty. Difficile sapere qel che potrà accadere di qui in poi.

Quel che è certo è che – come sostiene l’articolo di Idilio Méndez allegato a questa nota, e che è in un link dell’articolo originale, Boron: golpe en Paraguay  – la mattanza di Curuguaty era una trappola montata da una destra che, fin dal momento in cui Lugo aveva assunto il potere stava aspettando il momento propizio per farla finita con un regime il quale, pur non avendone colpito gli interessi, apriva uno spazio alla protesta sociale e all’organizzazione popolare, incompatibile con il suo predominio di classe. Malgrado i tanti avvertimenti di numerosi alleati dentro e fuori dal paese. Lugo non si è impegnato nel compito di rafforzare la massiccia ma eterogenea forza sociale che lo aveva innalzato con grande entusiasmo alla presidenza, nell’agosto 2008.

Il suo margine di incidenza nel Congresso era assolutamente minimo, un paio di senatori al massimo, e solo la capacità di mobilitazione che fosse riuscito a dimostrare nelle piazze era l’unica cosa che sarebbe riuscita ad offrire governabilità alla sua gestione. Lui però non la pensava così e nel corso del suo mandato si sono susseguite tutta una serie di concessioni alla destra, ignorando che, per quanto potesse favorirla, mai avrebbe accettato come legittima la sua presenza. Atti di concessioni alla destra non fanno che imbaldanzirla, non tranquillizzarla.
Nonostante queste concessioni, Lugo è sempre stato considerato un intruso molesto, quand’anche promulgasse, anziché porre il veto, le leggi antiterroriste che, su richiesta della “Ambasciata”, erano approvate dal Congresso, il più corrotto delle Americhe. Una destra che, naturalmente, si è sempre mossa insieme a Washington per impedire, tra l’altro, l’ingresso del Venezuela nel Mercosur. Lugo si è reso conto tardi di quanto “democratiche” fossero le istituzioni dello Stato capitalista, che ora lo destituisce con un tragicomico simulacro di giudizio politico che viola qualsiasi norma del regolare processo.

Una lezione per il popolo del Paraguay e per tutti i popoli dell’America Latina e del Caribe: sola la mobilitazione e l’organizzazione popolare sostengono i governi che vogliano sospingere un processo di trasformazione sociale, per moderato che sia, come nel caso di Lugo. L’oligarchia e l’imperialismo non smettono mai di cospirare e darsi da fare, e se sembra che siano rassegnati questa è un’apparenza del tutto ingannevole, come ci hanno confermato gli avvenimenti di qualche minuto fa ad Asunción.


24 giugno 2012

Traduzione di Titti Pierini

(http://www.diario-octubre.com/ e http://www.vientosur.info/)

dal sito http://antoniomoscato.altervista.org/


domenica 24 giugno 2012

RICCARDO LOMBARDI




IL RIFORMISMO COME METODO DEMOCRATICO DI TRASFORMAZIONE SOCIALISTA DEI RAPPORTI ECONOMICI E SOCIALI.


 di Franco Bartolomei




Viviamo una fase storica in cui la parola "Riformismo" viene impropriamente abusata da tutto il sistema politico "ufficiale", ben fuori dal suo significato originale strettamente connesso alla storia del movimento operaio , come la moderna qualificazione concettuale di una complessiva pratica di gestione del potere sociale, politico ed economico, finalizzata ad aggiornare e modernizzare le forme istituzionali e gli Istituti normativi per favorirne l’adattamento alle esigenze dello sviluppo del mercato e dell’impresa.
Credo quindi utile proporre ai lettori del forum di SOCIALISMOESINISTRA una riflessione sull’azione politica di Riccardo Lombardi e sulle ragioni culturali e teoriche della sua visione del Riformismo Socialista, utile a recuperare nell’orizzonte programmatico della Sinistra Italiana il reale significato del concetto di "Riformismo", nei termini esatti in cui la vicenda politica del movimento operaio del ‘ 900 lo ha concretamente qualificato nello svolgimento della propria azione per il progresso sociale e civile del paese.

Un concetto politico costantemente ed esclusivamente connesso alla affermazione ed al consolidamento del ruolo, dei diritti, dei redditi e degli spazi decisionali del mondo del lavoro, nel suo rapporto con il sistema produttivo esistente, e rappresentativo dei programmi di riferimento delle forze che hanno costituito l’espressione delle sue rappresentanze politiche.e sindacali.
Questa riflessione assume un significato assolutamente rilevante nel momento in cui assistiamo alla crisi profonda del modello economico e finanziario che nell’ultimo ventennio ha ridefinito la costituzione materiale delle società occidentali più avanzate sulla base di un sistema di valori, regole sociali, e modelli normativi, conseguenti al progetto di una società riorganizzata attorno ad una concezione del mercato come unico valore sociale assoluto.

Questo modello di sviluppo fondato sulla centralità del profitto, e della rendita finanziaria, come fattori di riferimento esclusivo di una accelerazione forzata della crescita, ha letteralmente travolto sul piano politico, sociale e culturale tutte le forze della sinistra europea, riuscendo a realizzare, in nome di una forte aspettativa di ampliamento della mobilità sociale,oggi ormai del tutto tramontata tramontata, un consenso maggioritario alla introduzione di progressive forme di flessibilità dei rapporti di lavoro ed alla inversione delle precedenti politiche redistributive, e socialmente garantiste ,che hanno fino a quel momento caratterizzato le grandi democrazie occidentali.

Le forze del Socialismo europeo, incapaci di individuare un modello alternativo dello sviluppo, hanno così subito lo smantellamento del grande patto Keinesyano realizzato nei quattro decenni successivi al II conflitto mondiale sulla base di una equilibrata contrattualità sociale tra le forze del capitale e del lavoro, concordata attorno ad un complessivo progetto di riequilibrio sociale fondato sulla centralità del rapporto tra l’incremento della ricchezza sociale realmente prodotta e la crescita del reddito reale dei soggetti produttori, e più in generale di tutta la popolazione.

In particolare il nuovo sistema dei rapporti economici e finanziari , realizzato a livello globale dopo la riunificazione dei mercati mondiali conseguente al crollo del socialismo reale, oltre a delegittimare socialmente, culturalmente, e politicamente la tessa espressione della conflittualità sociale, ha minato le radici stesse delle tradizionali politiche Socialdemocratiche, rendendo impossibile la continuazione di sistematiche azioni anticicliche ,assicurate dalla disponibilità di una spesa pubblica sottratta a vincoli sovranazionali, quali strumenti di incentivazione pubblica delle economie.

Recuperare, in tal senso il pensiero di Riccardo Lombardi, significa quindi rivalutare le ragioni, nuovamente attuali di fronte alla profondità della crisi che investe le economie dei grandi paesi democratici dell’occidente, di una concezione radicale del Riformismo Socialista, fondata su un recupero, parallelo ad un inevitabile rimodellamento alle nuove effettive configurazioni dei rapporti produttivi e sociali delle societa avanzate contemporanee, delle categorie , per dirla con Marx, della " Critica della economia politica".

In termini concreti, significa ricominciare a lavorare a sinistra ad una rinnovata idea della politica delle riforme come progetto e traduzione concreta di una politica di trasformazione strutturale dei rapporti economici e sociali, finalizzata alla individuazione delle linee portanti di un nuovo modello di sviluppo fondato sulla riappropriazione sociale del giudizio di valore sulla qualità dei processi di crescita economica, attraverso la realizzazione di nuove forme istituzionali di controllo delle variabili economiche orientate a garantire gli interessi generali della comunità civile.

II

Riccardo Lombardi ha in questo senso rappresentato l’ultimo grande dirigente della storia del Socialismo Italiano convinto che i problemi strutturali della società italiana potessero trovare una risoluzione democratica e progressista unicamente attraverso una trasformazione strutturale dei processi economici capitalistici ,nel quadro di un progetto teorico articolato attorno ad una inedita concezione del Socialismo inteso come sistema di riorganizzazione di una società avanzata in grado di garantire, in contemporanea, lo sviluppo economico e la massimizzazione dei diritti e dei poteri del mondo del lavoro.
Sulla base di tale convinzione ha costantemente rifiutato l’idea e la pratica politica di una concezione riduttiva e minimale del "riformismo", tutta interna agli orizzonti economici esistenti, ed ancorata ad una logica di mera razionalizzazione di un sistema capitalistico, che peraltro all’epoca non aveva ancora assunto tra le logiche del suo sviluppo quella successiva, perversa e folle, recente configurazione costituita dalla utilizzazione diffusa del debito e della rendita finanziaria quali fattori della crescita , sostitutivi del reddito e della ricchezza reale prodotta ..

In tal senso Lombardi ha sempre concepito l’azione politica riformista ,che le forze del movimento operaio debbono sempre svolgere su un terreno rigorosamente democratico attraverso la continua ricerca di alleanze sociali sempre più ampie ,come un percorso teso verso l’obbiettivo di realizzare progressive conquiste democratiche e sociali dirette a rompere gli equilibri del sistema capitalistico, ed a realizzare riforme strutturali che, introducendo elementi di irreversibilità nel tessuto economico e sociale del paese, rappresentassero le premesse per la realizzazione di un modello di sviluppo alternativo.
L’importante era che un percorso riformista di tale natura mantenesse, pur nella necessaria gradualità dei tempi, ed anche di fronte ad eventuali possibili rallentamenti, sempre costante, chiara e visibile, attraverso la qualità del programma, o dell’azione di governo, la sua direzione di marcia nel senso della progressiva realizzazione di condizioni di mutamento reale dei rapporti di forza tra le classi.

Emblematica a tale proposito la sua esortazione alle forze della sinistra politica e sindacale a considerare nelle proprie piattaforme rivendicative, o nei propri programmi, il salario quale variabile indipendente dai processi economici, condizione indispensabile, oltre che per la tutela dei livelli di vita dei lavoratori, per rovesciare a favore dei lavoratori, nel modo di pensare sociale, i criteri di riferimento tradizionalmente usati dalle classi dirigenti per qualificare le variabili economiche dello sviluppo sociale.

La definizione identificativa del pensiero Lombardiano, come " Riformismo Rivoluzionario ", riassume correttamente questa peculiare concezione del Socialismo come un processo democratico di aggregazione progressiva attorno al mondo del lavoro, modernamente inteso dal punto di vista sociologico, di forze sociali diverse, attraverso l’elaborazione di un programma di profonde riforme in grado di avviare una graduale trasformazione dei rapporti economici e sociali verso un modello socialista, del tutto nuovo rispetto all’esperienza autoritaria delle società comuniste, e del tutto diverso rispetto alle politiche assistenziali e redistributive delle grandi Socialdemocrazie europee, non finalizzate, con la sola eccezione del piano MEIDNER in Svezia, ad intaccare la natura dei rapporti produttivi delle società più avanzate.

In questo sforzo di originale elaborazione teorica Lombardi si poneva innanzitutto l’interrogativo su come una politica di trasformazione democratica e socialista del Paese, compiuta attraverso riforme strutturali dirette progressivamente a modificare la natura economica del sistema, dovesse necessariamente essere realizzata riuscendo a mantenere elevati livelli di creazione della ricchezza collettiva, convinto che il Socialismo nella interpretazione più matura ed autentica fosse una teoria politica realizzabile in forma pienamente democratica unicamente nelle società in cui i livelli produttivi ed il grado di avanzamento delle strutture tecnologiche avessero raggiunto un elevato livello di sviluppo e di maturazione.

Per tale ragione il mantenimento degli elevati livelli di ricchezza sociale prodotta dal sistema capitalistico avanzato che si intendeva modificare avrebbero dovuto essere preservato in tutta la fase della transizione, al fine di garantire la qualità democratica della nuova società nascente.
Emblematica nel rappresentare tale convinzione è la famosa metafora, più volte da lui enunciata in discorsi pubblici ed elaborazioni scritte, per cui il compito delle forze della Sinistra sarebbe stato quello di cambiare in corsa i pezzi di un motore senza causarne lo spegnimento.
Fondamentale in Lombardi è sempre rimasta ad ogni modo la considerazione primaria di come l’azione del movimento operaio in un paese non potesse essere pensata al di fuori di una globale considerazione dei rapporti economici internazionali, allora letti nel quadro esistente del conflitto tra l’imperialismo economico americano ed il ruolo egemonico svolto dall’Unione Sovietica nell’Europa dell’Est .
In tal senso la contrapposizione a queste due diverse espressioni di autoritarismo, economico ad Ovest, e statuale ad Est, rappresentava nel pensiero lombardiano un elemento centrale ed ineludibile dell’azione dei socialisti, espressa al massimo livello nel contributo determinante alla distensione internazionale tra le grandi potenze, e al contemporaneo sostegno dei movimenti di liberazione del terzo mondo.

In tal senso, la critica frontale dell’imperialismo americano, approfondita nella valutazione di tutti i condizionamenti e le conseguenze economiche da esso indotte nei rapporti di produzione dei paesi arretrati o in via di sviluppo, nella considerazione della sua capacità di alterazione delle regole economiche dei mercati internazionali ,anche nei confronti di economie ben più robuste quali quelle dei paesi europei, e nelle drammatiche conseguenze autoritarie da esso imposte nei paesi in cui l’equilibrio capitalistico veniva messo in discussione dalle forze della sinistra, ha sempre rappresentato una costante fondamentale della sua azione politica.

La sua critica dell’imperialismo è stata sempre sviluppata non in virtù di un antiamericanismo di maniera o di principio, a lui, convinto estimatore come tutti gli ex azionisti della Democrazia americana ed anglosassone, assolutamente estraneo, ma esclusivamente in ragione della necessità di porre sempre l’analisi globale dei reali processi economici in atto a fondamento delle sue risposte politiche, e dal concepire il Socialismo come una costruzione in grado di trasformare la società partendo dalla trasformazione dei rapporti economici per come essi concretamente si attuano nel quadro di tutte le interazioni esistenti.

Questo aspetto del pensiero di Lombardi della considerazione essenziale dell’analisi dei rapporti economici e produttivi internazionali, quale premessa della azione della Sinistra, costituisce senza ombra di dubbio una impostazione concettuale di assoluta modernità, il cui valore deve oggi essere ancor più considerato alla luce degli sviluppi degli attuali processi di globalizzazione dei rapporti economici e finanziari, che travalicando le capacità di governo e di controllo degli Stati nazionali influenzano, fuori da ogni possibile controllo democratico, gli scenari economici dei singoli paesi condizionandone in modo determinante le politiche statuali e sociali.

Riccardo Lombardi, intellettuale di formazione cattolica, impegnato da subito e con prezzi personali nella lotta antifascista, militante del Partito d’azione durante la lotta partigiana, è divenuto quindi, nella storia della sinistra italiana del dopoguerra , forse al di là della sua formazione culturale e delle sue consapevoli intenzioni, un grande ed originale interprete di un marxismo eclettico, eterodosso e non dogmatico , che ha costituito il retroterra della formazione culturale di una intera generazione di militanti Socialisti e di tutta la Sinistra italiana, fino a divenire oggi probabilmente l’ultimo punto di riferimento di una cultura di sinistra che voglia ancora porsi in termini critici rispetto allo sviluppo capitalistico delle società avanzate.


III

La sua critica al Governo di centrosinistra nacque pertanto dalla presa d’atto della incapacità dei socialisti, e più in generale di tutte le forze della politica e sindacale, compreso il PCI e la CGIL, di vincere la resistenza delle forze conservatrici alla realizzazione di quella politica inizialmente ipotizzata di apertura degli spazi democratici e di realizzazione di profonde riforme strutturali, che avrebbe dovuto trovare nella politica economica di programmazione e nell’intervento pubblico dello Stato nell’economia glii strumenti destinati a far prevalere l’interesse pubblico e le esigenze delle classi subalterne rispetto agli interessi delle tradizionali classi dirigenti economiche, industriali e finanziarie.
Quindi Lombardi intravide il rischio che il centrosinistra potesse divenire un vero e proprio pantano nel quale l’energia riformatrice dei Socialisti sarebbe potuta rimanere imprigionata portando al fallimento di tutta quella originale elaborazione teorica e programmatica avviata dal P.S.I. in seguito all’invasione dell’Ungheria ed alla denuncia della natura autoritaria del sistema sovietico, che avrebbe successivamente costituito la base di riferimento di tutti i futuri processi di innovazione culturale e politica della Sinistra Italiana negli anni a venire.
Lombardi fu quindi il primo politico della Sinistra storica italiana a comprendere come il ’68 operaio e studentesco, al di là di forzature velleitarie e massimaliste, rappresentasse un mutamento profondo dei costumi e dei comportamenti socialisti degli italiani, che avrebbe scosso in profondità ed in modo irreversibile i rapporti sociali precedentemente esistenti tra le classi.

Questa ventata innovativa avrebbe potuto costituire per la sinistra l’opportunità di concepire in modo nuovo l’azione politica riformatrice ,come il prodotto di una attività di elaborazione programmatica e di riforme da svolgere sul terreno istituzionale e di una azione di sollecitazione, partecipazione e rappresentanza dei grandi movimenti di massa, i quali andavano a rappresentare nella società veri e propri contropoteri in grado di garantire sul terreno della mobilitazione e della costruzione del consenso una garanzia ed un presidio dell’azione riformatrice svolta sul terreno istituzionale.

Sotto questo profilo RICCARDO LOMBARDI, nella sua azione politica, nella sua elaborazione teorica, nel suo costante rapporto di scambio politico e culturale con la sinistra socialista movimentista francese (rivista "socialisme ou barbarie"), con gli intellettuali impegnati ad una rivisitazione critica del pensiero Socialista (Castoriadis , Sweezy, Martinet) ,con gli esponenti dei nuovi filoni del marxismo americano ed anglosassone ("monthly review"), con la sinistra socialdemocratica tedesca (jusos), con gli esponenti della sinistra terzo-mondista di estrazione latino americana , con gli esponenti della sinistra cattolica italiana ( MPL, ACPOL, Labor, Carniti), ed in un rapporto diretto con il movimento operaio e studentesco nel periodo ’69-’74, ha rappresentato in forme spesso antesignane il principale esponente politico di una terza via nella sinistra italiana.

A questo patrimonio di esperienza e di cultura oggi tutte le forze politiche, anche provenienti da altre esperienze, di natura movimentista o di formazione comunista, che intendono mantenere un profilo critico nei confronti del modello di società esistente, stanno approdando con convinzione, a compimento di un percorso politico che può realmente costituire la premessa della ricostruzione della Sinistra Italiana.
Tutti questi compagni vanno ormai riconoscendo il valore e l’utilità di una elaborazione teorica, e l’amore per la libertà e la democrazia di un dirigente SOCIALISTA dotato di grandissima qualità intellettuale e di uno spiccatissimo senso del dovere morale individuale.

Un dirigente SOCIALISTA che ha sempre lavorato per individuare una direttrice di azione politica per la sinistra che potesse coniugare nel senso pieno della parola il Socialismo, come ipotesi di società alternativa nei suoi valori e nei suoi assetti al capitalismo, e la Democrazia come pratica politica rispettosa, per dirla con Rosa Luxemburg, anche della "libertà di chi la pensa diversamente".

IV

L’attualità politica del pensiero di Lombardi deve essere valorizzata sopratutto per le indicazioni di metodo implicate dalla sua visione dell’ analisi dello sviluppo dei rapporti sociali.
La sua visione della politica delle alleanze risente infatti ancora di una considerazione della centralità della classe operaia, interpretata come classe generale nel senso marxiano del termine, che deve evidentemente essere riletta alla luce della riarticolazione dei soggetti produttori rispetto agli attuali processi di creazione della ricchezza sociale propri dei paesi più sviluppati.

La visione della società di Lombardi presenta in questo senso molti più aspetti di omogeneità nei soggetti sociali rispetto al dato odierno essendo stata elaborata in un quadro generale in cui i processi produttivi appartengono ancora alla fase della assoluta prevalenza del momento industriale nelle economie dei paesi occidentali più avanzati.

Ciò non toglie che torni oggi prepotentemente di attualità proprio il punto chiave del suo ragionamento relativo alla sottrazione del salario alla considerazione dei margini del profitto,che negli anni della affermazione prepotente del sistema economico e finanziario, oggi entrato nella profonda crisi di sistema a cui stiamo assistendo, e’ stato maggiormente avversato e considerato irreversibilmente caduco, anche nella analisi prevalente delle forze che fanno riferimento al Riformismo Socialista, in perfetta assonanza con la filosofia mercatistica divenuta egemone nella fase storica oggi in via di superamento.
In particolare trova nuova legittimità, stavolta non più sotto un profilo strettamente ed esclusivamente di classe, l’idea che il salario, come elemento centrale del reddito reale dei prestatori di lavoro dipendente ,debba assumere le caratteristiche di una variabile indipendente dei processi di produzione del valore aggiunto, assumendo una centralità nei rapporti sociali ed economici per lo meno della stessa valenza del profitto d’impresa.

Questa autentica "Bestemmia" Lombardiana, tale considerata, anche a sinistra, dalla nuova aggressiva cultura del mercato, dell’impresa e della prevalenza sociale del profitto, che ha dettato le regole del modello di sviluppo globale ,avviato inizialmente dal Tacherismo e dal Reaganismo e successivamente consolidato in seguito alla riunificazione dei mercati seguita alla fine del socialismo reale, torna oggi ad assumere un significato" politico" rilevante di fronte alla crisi di un sistema che ha preteso di sostituire il debito alla creazione di ricchezza reale, finalizzando l’incremento dei profitti realizzati con la diminuzione dei costi monetari e sociali del lavoro alla garanzia della aspettative di redditività dell’investimento in titoli o in altri strumenti finanziari di natura speculativa.

Il reddito del lavoro dipendente, diretta epressione della ricchezza effettivamente prodotta nei processi produttivi reali di beni e servizi, viene oggi a riaffermare ,oltre la sua valenza economica effettiva, il significato e la rilevanza "politica" di valore sociale assoluto, cardine di un diverso modello di sviluppo, specularmente contrapposto alla rendita finanziaria divenuta il principale fattore di sostegno della domanda aggregata in sostituzione della normale utilizzazione del credito quale elemento primario di espansione ed innovazione dei fattori produttivi.reali.

In tal senso è proprio la inquietante assenza di senso di responsabilità sociale dimostrata dalle classi dirigenti finanziarie ed imprenditoriali che rilegittima la rivalutazione di un pensiero sociale alternativo che ,all’interno di una nuova concezione dello sviluppo sociale ed economico , vuole restituire al reddito reale dei lavoratori, modernamnente intesi rispetto alle forme produttive esistenti, una nuova centralità quale elemento di garanzia, imprescindibile ed autonomo, non solo dell’equilibrio sociale, come finora è stato comunemente inteso, ma addirittura come fattore di continuita di una crescità economica complessiva, e come garanzia di equilibrio e stabilità di una rinnovata e governata concezione del mercato, inteso quale sistema di regolazione dello scambio dei beni e dei servizi realmente prodotti ,e legittimamente commerciabili secondo valutazioni di qualità e di valore riaffidate al momento istituzionale dell’esercizio democratico della sovranità.

In tal modo la concezione sociale del salario,articolata oggettivamente in relazione ad una nuova condivisa e partecipata concezione della produttività, fondata sulla organizzazione l'innovazione e la valorizzazione del fattore lavorativo umano, viene ad assumere nel vivo della dialettica tra le forze sociale una superiore rilevanza di natura" istituzionale" nelle stesse categorie della "economia politica", tale da consentire di ricostruire un consenso maggioritario attorno ad un progetto di riorganizzazione complessiva della società che trasforma i rapporti sociali ed economici in una logica di salvaguardia dello sviluppo.

Lascio quindi alla valutazione dei lettori la riflessione sulla portata innovativa di un simile sistema di pensiero, recuperato appieno al patrimonio culturale della cultura del SOCIALISMO EUROPEO.





10 Agosto 2009

dal sito  http://www.socialismoesinistra.it/web/home.html
 

lunedì 18 giugno 2012

UNA CONFERENZA INTERESSANTE di Stefano Santarelli



UNA CONFERENZA INTERESSANTE

di Stefano Santarelli




La pubblicazione di una nuova edizione, tra l’altro estremamente curata, del celebre testo di Victor Serge “Memorie di un rivoluzionario” da parte della Massari editore costituisce una iniziativa editoriale di notevole importanza.
Importante proprio per la figura straordinaria di Victor Serge, un bolscevico veramente originale la cui formazione politica è inizialmente anarchica. E benché continuasse a considerarsi anarchico aderisce nel 1919 al Partito bolscevico partecipando poi alla fondazione dell’Internazionale comunista organizzandone così il primo servizio stampa. Serge ha avuto la fortuna di partecipare ai processi rivoluzionari più significativi del Novecento (dalla Rivoluzione russa a quella spagnola).
Con l’avvento della dittatura staliniana il destino di Serge è segnato, può solo dedicarsi alla stesura di romanzi:
Concepisco la letteratura come un mezzo di espressione e di comunione tra gli esseri umani: un mezzo particolarmente potente agli occhi di coloro i quali vogliono trasformare la società. Dire ciò che si è, ciò che si vuole, ciò che si vive, ciò per cui si soffre e si lotta, ciò che si conquista. Bisogna dunque far parte di chi lotta, soffre, cade conquista.”
Egli è il primo ad elaborare il concetto di totalitarismo accomunando lo stalinismo al nazismo e al fascismo, un concetto poi reso famoso da Hannah Arendt la quale però non riconoscerà a lui nessun merito teorico.
Espulso dalla Russia nel 1936 dopo aver attraversato la Polonia e la Germania nazista raggiunge Bruxelles dove riprende i contatti epistolari con Trotsky allora in esilio in Norvegia.
Nel 1936 allo scoppio della Rivoluzione spagnola diventa corrispondente dell’organo del POUM, la Batalla. In prima fila nella lotta contro le calunnie dei Processi di Mosca collabora con la Commissione Dewey che doveva stabilire se Trotsky fosse o non fosse una spia nazista.
Nel 1940 giunge come il grande rivoluzionario russo anche lui a Città del Messico dove poi troverà la morte nel 1947 secondo alcuni, tra cui lo stesso Massari, per opera degli agenti stalinisti.
Un personaggio quindi di grande valore e spessore che è però quasi sconosciuto al grande pubblico, specialmente quello italiano.
E questo nonostante la fortuna dei suoi lavori letterari. Ricordiamo infatti che in Italia le “Memorie di un rivoluzionario” venne pubblicato la prima volta nel lontano 1956 con un discreto riscontro editoriale: ben quattro edizioni tra l’altro di case editrici di primo piano come La Nuova Italia e la Mondadori e che hanno venduto decine di migliaia di copie

Questa nuova edizione ha quindi il pregio di riproporre al pubblico italiano un testo che ha superato la prova del tempo e che è “indispensabile per capire la tragedia delle rivoluzioni sconfitte che è al tempo stesso, un classico della letteratura e una commovente testimonianza umana” (Claudio Albertani).
Ed è proprio per valorizzare un testo ed un autore veramente importante per tutta la sinistra che l’editore Roberto Massari ha organizzato a Roma il 15 giugno una interessante conferenza con la partecipazione di due dei più importanti dirigenti sindacali del nostro paese come Giorgio Cremaschi e Piero Bernocchi.

Sintetizzo qui brevemente questi tre interventi di notevole spessore.

Cremaschi dopo un interessante excursus storico ha sottolineato l’ispirazione morale del lavoro di Serge. Una battaglia quella di Serge che si indirizza su due fronti: da un lato contro l’avversario di classe e dall’altro contro le degenerazioni bolsceviche. Sottolineando la differenza di fondo esistente tra il totalitarismo nazista e fascista nei confronti di quello stalinista. Infatti mentre il totalitarismo nazista e fascista realizzò il suo programma politico, basti solo pensare al “Mein kampf” di Hitler. Quello stalinista al contrario tradì il suo stesso programma, quello comunista, che si batteva per la libertà, la democrazia e i diritti dei ceti più deboli della società.
E l’attualità di questo testo emerge oggi più che mai nell’odierno momento politico che vede una profonda crisi del sistema capitalista che si avvita su se stessa. Facendo così emergere la necessità di una alternativa a questo sistema e quindi di un cambiamento di fondo.
Cremaschi ha ricordato giustamente che nessun rivoluzionario ha fatto le rivoluzioni, ma solo le masse popolari quando esse non hanno più nessuna possibilità di ottenere dei cambiamenti tramite le riforme. E oggi è necessario battersi contro lo strapotere della burocrazia che soffoca i diritti della maggioranza della popolazione.
L’intervento di Bernocchi è stato forse quello più interessante dal punto di vista teorico.
Infatti ha sottolineato come il totalitarismo staliniano si trovasse già in nuce nel marxismo. Rivalutando così il celebre testo di Bakunin “Stato e Anarchia” dove veniva descritta 60 anni prima la dittatura staliniana. Ed infatti gli anarchici denunciarono per primi la dittatura del partito.
Marx d’altronde era convinto che con l’avvento del proletariato al potere terminassero i conflitti, ma questi conflitti purtroppo esisteranno sempre perché ci saranno sempre interessi diversi.
Neanche la grande Rosa Luxembourg metteva in discussione il predominio e la centralità del partito. E questa idea dell’unicità del partito e del sindacato si trovava quindi già nello stesso Marx. Non è quindi una invenzione staliniana.
E tornando all’attualità Bernocchi ha sottolineato che viviamo in una fase di transizione in cui può succedere di tutto e non sempre in senso positivo.
L’ultima relazione di Roberto Massari, che ricordiamo non è solo un editore ma è stato un dirigente storico della Quarta internazionale, si è soffermata sulla figura di Victor Serge. Un uomo che abbraccia tutta la storia del 900: il mondo anarchico, la Rivoluzione russa, la crisi dello stalinismo.
Serge è certamente un grande intellettuale, ma non è un teorico. Questi avvenimenti non li studia: li vive.
Per quanto riguarda il testo in questione bisogna riconoscere che le “Memorie di un rivoluzionario” è un bel libro anche dal punto di vista estetico come ha dichiarato lo stesso Massari che lo ha tradotto.
E questo libro conferma la grande qualità letteraria di questo rivoluzionario che è stato anche un grande romanziere.
In Serge vive una profonda nostalgia della I Internazionale, il cui vero nome ricordiamolo era Associazione internazionale dei lavoratori. Una Associazione estremamente eterogenea, dove non esisteva un verbo unico. Vi si trovavano anarchici, comunisti, ma anche mazziniani, garibaldini.
E quando si rompe questa storia si assiste ad una gigantesca tragedia. Una tragedia che ha provocato un grandissimo trauma e di cui le maggiori responsabilità sono di Marx.
Nell’ottobre del ’17 si prende il potere con la consegna “Tutto il potere ai Soviet ”. E sono ben sette le forze politiche organizzate che guidano questo processo rivoluzionario: il Partito bolscevico, certo, ma anche quello Menscevico e il Partito Socialista Rivoluzionario (che occorre ricordarlo aveva la maggioranza nei Soviet) e ben quattro formazioni anarchiche anch’esse per dare tutto il potere ai Soviet. Eppure un mese dopo al governo troveremo soltanto il Partito bolscevico con i socialisti rivoluzionari di sinistra, i quali resteranno al potere coi bolscevichi fino al marzo 1918 (pace di Brest-Litovsk). E questo nuovo governo farà subito nascere la Ceka, cioè la polizia politica, facendo quindi iniziare una degenerazione che provocherà la più grande tragedia della rivoluzione russa: la dittatura stalinista.
Questa conferenza è stata, come si può facilmente comprendere sia pure in questa mediocre sintesi, di grandissima levatura intellettuale di cui purtroppo non siamo più abituati a vedere dentro la sinistra italiana.
Voglio terminare dando la parola proprio a Victor Serge:

“(…) una trentina d’anni fa, con delle scoperte che hanno cresciuto prodigiosamente la potenza tecnica dell’uomo – senza accrescere proporzionalmente la sua coscienza - siamo entrati in un ciclo di trasformazione del mondo. Vi siamo entrati prigionieri di sistemi sociali logori al punto di non avere più alcuna possibilità di sviluppo. Formati a loro volta da un mondo sorpassato, i più lungimiranti e i meglio intenzionati tra i militanti della mia generazione si sono spesso rivelati, nelle tormente più che semiciechi. Nessuna dottrina ha resistito all’urto. Niente di sorprendente, per questo. Tanto valgono l’uomo e la dottrina, tanto valgono il mondo e l’uomo. E tuttavia non è un circolo vizioso. Alcune grandi linee degli eventi in corso di realizzazione si sprigionano dal caos.
Non sono più i rivoluzionari che fanno l’immensa rivoluzione mondiale, sono dei dispotismi insensati che l’hanno scatenata suicidandosi. E’ la tecnica industriale e scientifica del mondo moderno che rompe brutalmente con il passato e mette i popoli d’interi continenti davanti alla necessità di ricominciare la vita su nuove basi.
Che queste basi debbano essere, non possono essere che di organizzazione razionale, di giustizia sociale, di rispetto della persona umana, di libertà, e questa per me attuale.
L’avvenire mi appare, quali che siano le nuvole all’orizzonte, pieno di possibilità più ampie di quelle che avevamo intravisto nel passato. La passione, l’esperienza amara, gli errori della generazione combattente alla quale appartengo possono illuminare un po’ le strade. A questa sola condizione, divenuta un imperativo categorico: non rinunciare mai a difendere l’uomo dai sistemi che pianificano l’annientamento dell’individuo.”


16 giugno 2012

dal sito   http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/ 


lunedì 11 giugno 2012

FINE DELL'EURO: GUIDA ALLA SOPRAVVIVENZA di Peter Boone e Simon Johnson




FINE DELL'EURO: GUIDA ALLA SOPRAVVIVENZA
di Peter Boone e Simon Johnson



Nel loro Blog The Baseline Scenario  Simon Johnson e Peter Boone sostengono che l'uscita della Grecia farà crollare l'eurozona, e qui spiegano come secondo loro accadrà



In ogni crisi economica arriva un momento di chiarezza. In Europa, presto, milioni di persone si sveglieranno e si renderanno conto che l'euro-come-lo-conosciamo non c'è più. Li attende il caos economico.
Per capire perché, prima spogliatevi delle vostre illusioni. La crisi Europea fino ad oggi è stata una serie di presunti "decisivi" punti di svolta, ciascuno dei quali si è rivelato essere solo un altro passo giù verso il burrone. Le prossime elezioni del 17 giugno in Grecia sono un altro momento del genere. Benché le forze cosiddette "pro-bailout" possano prevalere in termini di seggi parlamentari, una qualche forma di nuova moneta presto invaderà le strade di Atene. E' già quasi impossibile salvare l'appartenenza della Grecia alla zona euro: i depositi fuggono dalle banche, i contribuenti ritardano i pagamenti delle imposte, e le aziende posticipano il pagamento dei loro fornitori - sia perché non possono pagare sia perché si aspettano che presto potranno pagare in dracme a buon mercato.

La troika della Commissione Europea (CE), Banca Centrale Europea (BCE), e Fondo Monetario Internazionale (FMI), non si è dimostrata in grado di riportare la Grecia in una prospettiva di ripresa, e qualsiasi nuovo programma di prestiti incontrerà le stesse difficoltà. Con un'evidente frustrazione, il capo del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha osservato la scorsa settimana:
"Per quanto riguarda Atene, penso anche a tutte quelle persone che cercano continuamente di sfuggire al carico fiscale."
L'empatia di Ms. Lagarde si sta esaurendo, e questo è un peccato – soprattutto perché il fallimento Greco dimostra quanto sia sbagliata una moneta unica per l'Europa. La reazione Greca riflette l'enorme pena e difficoltà connessa al tentativo di organizzare una "svalutazione interna" (un eufemismo per pesanti tagli salariali e dei consumi) al fine di ripristinare la competitività e ripagare un eccessivo livello di indebitamento.

Di fronte a cinque anni di recessione, a oltre il 20 per cento di disoccupazione, a ulteriori tagli, e a una serie di promesse non mantenute dai politici dentro e fuori il paese, una reazione politica sembra del tutto naturale. Con i dirigenti del FMI, i funzionari Europei, e i giornalisti finanziari che fanno ventilare l'idea di una "exit Greca" dall'euro, chi ora potrebbe investire o firmare contratti a lungo termine in Grecia? L'economia della Grecia può solo peggiorare.

Alcuni politici Europei ora ci dicono che nelle condizioni attuali un'uscita ordinata della Grecia è possibile, e che la Grecia sarà l'unico paese ad uscire. Si sbagliano. L'uscita della Grecia è semplicemente un altro passo in una serie concatenata di eventi che conduce verso una dissoluzione caotica dell'eurozona.

Durante la prossima fase della crisi, l'elettorato Europeo aprirà bruscamente gli occhi sui grandi rischi finanziari che gli sono stati imposti nei tentativi falliti di mantenere in vita la moneta unica. Se la Grecia abbandona l'euro entro la fine dell'anno, il suo governo andrà in default per circa 300 miliardi di euro di debito pubblico estero, compresi i circa € 187 miliardi dovuti al FMI e al Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF).
Ancora più importante, e allo stato attuale meno evidente agli occhi dei contribuenti Tedeschi, la Grecia probabilmente andrà in default per 155 miliardi direttamente nei confronti del sistema dell'euro (composto dalla BCE e dalle 17 banche centrali nazionali dell'eurozona). Questo include 110 miliardi di euro forniti automaticamente alla Grecia attraverso il sistema dei pagamenti Target2 - che gestisce le transazioni tra le banche centrali dei paesi che utilizzano l'euro. Man mano che i depositanti e gli istituti di credito fuggono dalle banche Greche, qualcuno deve finanziare questa fuga di capitali, altrimenti le banche Greche fallirebbero. Questo ruolo viene assunto dalle altre banche centrali dell'area dell'euro, che hanno a disposizione dei fondi ingenti, con i saldi riportati nel conto Target2. La maggior parte di questi prestiti è, in pratica, fatto dalla Bundesbank, dal momento che la fuga di capitali si dirige per lo più verso la Germania, anche se tutti i membri del sistema euro condividono le perdite in caso di default.

La BCE ha sempre negato con veemenza di aver assunto dei rischi eccessivi, nonostante le sue politiche di finanziamento sempre più largo. Ma soltanto tra Target2 ed acquisti diretti di obbligazioni, i crediti del sistema dell'euro verso i paesi periferici in difficoltà ammontano a circa € 1.100 miliardi (questa è la nostra stima basata sui dati ufficiali disponibili). Che equivale a oltre il 200 per cento del capitale (in senso lato) del sistema euro. Nessuna banca responsabile dovrebbe sostenere che queste somme sono rischi marginali per il suo capitale o per i contribuenti. Questi crediti corrispondono anche al 43 per cento del PIL Tedesco, che ora è intorno a 2.570 miliardi di euro. Con la Grecia che sta a dimostrare come tutto questo finanziamento sia profondamente rischioso, il sistema euro apparirà molto più fragile e pericoloso ai contribuenti e agli investitori.

Jacek Rostowski, il Ministro delle Finanze Polacco, ha recentemente avvertito che la calamità di un default Greco è suscettibile di provocare una fuga da banche e debito sovrano in tutta la periferia, e che - per evitare una sciagura più grande - tutti i paesi membri restanti devono essere provvisti di un finanziamento illimitato per almeno 18 mesi. Mr. Rostowski esprime la preoccupazione, tuttavia, che la BCE non sia pronta a fornire un firewall di questo genere, e che nessun altro soggetto abbia la capacità, la legittimità, o la volontà di farlo.

Siamo d'accordo: una volta che la gente si accorgerà che la BCE ha già una grande quantità di rischio di credito sui suoi libri, sembra molto improbabile che la BCE possa iniziare a fornire fondi illimitati a tutti gli altri governi che si trovino sotto pressione nel mercato obbligazionario. La traiettoria Greca di austerità-default è probabile che si ripeta altrove - quindi perché i Tedeschi dovrebbero acconsentire a che la BCE improvvisamente raddoppi o quadruplichi i prestiti a tutti gli altri?

Lo scenario più probabile è che la BCE, con esitazione e riluttanza, fornisca fondi ad altri paesi – secondo un modello di sostegno a singhiozzo - e che semplicemente questi fondi non saranno sufficienti a stabilizzare la situazione. Dopo aver visto la distruzione di un'uscita Greca, e sapendo che sia la BCE che i contribuenti Tedeschi non tollereranno un numero illimitato di ulteriori perdite, gli investitori e i depositanti risponderanno con la fuga dalle banche degli altri paesi periferici ed evitando investimenti e spese.

La fuga di capitali potrebbe durare per mesi, lasciando le banche della periferia a corto di liquidità e costringendole a contrarre il credito - portando le loro economie verso la più profonda recessione e mandando in collera gli elettori. Anche se la BCE si rifiuta di fornire grandi quantità di finanziamenti visibili, i meccanismi automatici del sistema dei pagamenti Europeo farà sì che la fuga di capitali dalla Spagna e dall'Italia verso le banche Tedesche si trasformerà de facto in sempre maggiori prestiti dalla Bundesbank alla Banca d'Italia e al Banco de Espana, in sostanza agli stati Italiano e Spagnolo. I contribuenti Tedeschi cominceranno a comprendere questo schema e avranno paura di ulteriori perdite.

La fine del sistema dell'euro sembra che sarà così. La periferia soffre sempre più profonde recessioni - non riuscendo a rispettare gli obiettivi fissati dalla troika - e il peso del loro debito pubblico diventerà ovviamente sempre più insostenibile. L'euro si deprezzerà notevolmente rispetto alle altre valute, ma non in un modo che possa rendere l'Europa più attraente come luogo per gli investimenti.
Invece, ci sarà la consapevolezza che la BCE ha perso il controllo della politica monetaria, è stata costretta a creare crediti per finanziare la fuga di capitali e sostenere i sovrani in difficoltà - e che tali crediti potrebbero non essere rimborsati in pieno. Il mondo non considererà più l'euro come moneta sicura, gli investitori eviteranno i titoli emessi da tutta l'area, e anche la Germania potrebbe avere problemi di emissione del debito a tassi di interesse ragionevoli. Infine, i contribuenti Tedeschi dovranno sopportare un'inflazione inaccettabile e un conto che sembrerà diventare incontrollabile per salvare i loro partners dell'euro.

La soluzione più semplice sarà che la Germania stessa lasci l'euro, costringendo le altre nazioni ad affrettarsi per seguirne l'esempio. Il senso di colpa della Germania per i conflitti del passato e la paura di perdere i benefici di 60 anni di integrazione Europea senza dubbio potranno rimandare l'inevitabile. Ma qui sta il guaio di rimandare l'inevitabile - quando la diga finalmente si rompe, le conseguenze saranno molto più devastanti, dal momento che i debiti saranno maggiori e l'antagonismo più intenso.

Una rottura disordinata dell'area dell'euro sarà molto più dannosa per i mercati finanziari globali della crisi del 2008. Nell'autunno 2008, la decisione era se e come i governi avrebbero dovuto fornire un sostegno alle grandi banche e ai creditori delle banche. Ora, alcuni governi Europei devono essi stessi affrontare l'insolvenza. L'economia Europea equivale a quasi 1/3 del PIL mondiale. Il debito sovrano totale in essere ammonta a circa 11.000 miliardi di dollari, di cui almeno 4.000 miliardi devono essere considerati come a rischio di ristrutturazione a breve termine.

I ricchi mercati Europei dei capitali e il sistema bancario, compreso il mercato di 185.000 miliardi di dollari in contratti derivati in essere denominati in euro, saranno in fermento e ci sarà una grande fuga di capitali fuori dall'Europa verso gli Stati Uniti e l'Asia. Chi può essere sicuro che le nostre megabanche globali siano realmente in grado di sopportare le probabili perdite? E' quasi certo che un gran numero di pensionati e di famiglie vedranno i loro risparmi direttamente spazzati via, o erosi dall'inflazione. Il potenziale di disordine politico e di disagio umano è sconcertante.

Negli ultimi tre anni i politici Europei hanno promesso di "fare tutto il possibile" per salvare l'euro. E' ormai chiaro che questa promessa va oltre la loro capacità di mantenerla - in quanto richiede misure che sono inaccettabili per i loro elettori. Nessuno sa con certezza quanto tempo potranno ritardare il completo collasso dell'euro, forse mesi o ancora diversi anni, ma ci stiamo muovendo costantemente verso una brutta fine.

Ogni volta che le nazioni vanno in crisi, inizia il gioco della colpa. Alcuni nella leadership Europea e del FMI stanno già cercando di coprire le loro tracce, intendendo che la corruzione e quei "Greci che non pagano le tasse" hanno portato tutto al fallimento. E' sbagliato: il sistema euro sta generando disoccupazione e crisi profonde in Irlanda, Italia, Grecia, Portogallo e Spagna. Nonostante i programmi di aggiustamento sponsorizzati dalla Troika, nella periferia la situazione continua a peggiorare. Non possiamo incolpare di tutto questo i politici Greci corrotti.

E' tempo che i funzionari Europei e del FMI, con il sostegno degli Stati Uniti e di altri, si mettano a lavorare su come smantellare l'area dell'euro. Anche se nessuno scioglimento sarà mai veramente ordinato, ci sono mezzi per ridurre il caos. Molte questioni tecniche, legali e finanziarie potrebbero essere risolte in anticipo. Abbiamo bisogno di piani per gestirlo: l'introduzione di nuove valute, molteplici default sovrani, la ricapitalizzazione delle banche e dei gruppi assicurativi, e distribuire le attività e le passività del sistema euro. Alcuni paesi avranno presto bisogno di riserve in valuta estera per sostenere loro nuove valute. La cosa più importante, l'Europa deve recuperare i suoi grandi successi, tra cui il libero scambio e la mobilità del lavoro in tutto il continente, mentre cerca di districarsi da questo errore colossale della moneta unica.

Purtroppo per tutti noi, i nostri politici si rifiutano di farlo - odiano ammettere gli errori e le incompetenze del passato, e in ogni caso, il compito di coordinare diciassette paesi in disaccordo nella fase calante di questo regime monetario è, forse, irraggiungibile.
Dimenticatevi di un salvataggio del G20, del G8, del G7, di un nuovo Tesoro dell'Unione Europea, dell'emissione di eurobonds, di un grande schema di mutualizzazione del debito su larga scala, o di qualsiasi altra favola. Siamo da soli.


1 giugno 2012

dal sito http://vocidallestero.blogspot.it/

sabato 9 giugno 2012

STEPHEN HAWKING E L'ALDILA' di Riccardo Achilli





STEPHEN HAWKING E L'ALDILA'
di Riccardo Achilli



I vichinghi, come tutti gli antichi germanici, credevano che le eclissi di sole fossero provocate da un lupo che viveva nel cielo, Skoll, che ingoiava il sole, e che urlando per spaventare il lupo, sarebbe stato possibile farlo fuggire. Gli aztechi credevano che per far sopravvivere il sole e farlo risorgere ogni mattina fosse necessario nutrirlo con il sangue dei sacrifici umani, dedicati a Quetzálcoatl, che oltre ad essere una divinità autonoma, era anche il principio che consentiva la rigenerazione del sole, facendolo sorgere ogni mattina. Gli antichi riti voodoo di origine Fon e Yoruba, trapiantati ad Haiti, ritengono di poter resuscitare i morti sotto forma di zombie, imprigionando la parte più sottile ed eterea dell’anima (il piccolo angelo guardiano, in creolo haitiano il ‘Tit Bon Ange) dentro una bottiglia.

In realtà, oggi sappiamo che le eclissi di sole dipendono dai movimenti reciproci fra terra, sole e luna; che il sole non si nutre di sangue e che gli zombie sono soltanto dei malcapitati cui viene somministrata una potente tossina estratta dal pesce-palla, la tetradotossina, che induce uno stato di morte apparente e una successiva vita in condizioni vegetative e di sostanziale demenza, utile soltanto per imprigionarli in una vita di schiavitù nelle piantagioni.

Man mano che la scienza progredisce, i confini del mito e della religione arretrano, sotto il peso schiacciante delle leggi naturali che vengono scoperte a spiegazione di fenomeni precedentemente attribuiti agli dei o alla magia. Oggi Stephen Hawking, il noto fisico e cosmologo britannico, lancia l’ultima sfida: Dio non esiste, o quantomeno la sua esistenza non è una spiegazione convincente della stessa nascita dell’universo. Hawking espone le sue tesi nel libro “The Grand Design”, scritto insieme al fisico Leonard Mlodinow.

Hawking non è un nome da poco nella fisica moderna: è un autentico peso massimo. Scopritore dei buchi neri, e delle loro proprietà termodinamiche e di irraggiamento di raggi gamma (la famosa radiazione di Hawking, che dovrebbe portare ad una “evaporazione” del buco nero, e che oggi si sta sperimentando negli acceleratori di particelle), nonché autore di un modello cosmologico aperto, privo cioè di confini nello spaziotempo, ed è peraltro anche membro della Pontificia Accademia delle Scienze. Gli argomenti con i quali sostiene l’inesistenza di un Creatore dell’universo sono estremamente complessi, perché riguardano il confine stesso della scienza moderna, e sono così riassumibili:

- Il big bang ha creato una quantità di energia (e quindi di materia, posto che materia ed energia sono sostanzialmente due manifestazioni di una stessa cosa, se accettiamo la famosa equazione di Einstein E=MC2) positiva esattamente uguale alla quantità di energia (e quindi di materia) negativa. Se energia positiva e negativa si equivalgono al momento del big bang, allora la loro somma algebrica è pari a zero. E’ quindi teoricamente possibile che la creazione di un universo ne crei un altro (un universo a energia negativa) in automatico, senza intervento di un teorico Creatore;

- In fisica quantistica, è possibile dimostrare che, in alcune condizioni, le particelle sub atomiche possano nascere dal nulla. E’ un concetto molto difficile da comprendere con la normale razionalità, ma perfettamente coerente con i principi di fondo della meccanica quantistica. A livello subatomico e in condizioni di non-vuoto, la variazione di energia in un intervallo infinitesimo di tempo è approssimativamente pari alla costante di Dirac (cioè a un valore energetico piccolissimo, grosso modo pari a 1,05 preceduto da 34 zeri joules). Ciò significa che per brevissimi periodi di tempo è possibile che sia violato il principio di conservazione dell’energia. Cioè che si crei ex novo energia, e che tale energia generi ex novo una particella (poiché come detto energia e materia sono manifestazioni diverse della stessa cosa). Ora, l’universo prima del big bang era una particella piccolissima, di dimensioni da particella sub atomica. Quindi è teoricamente possibile che tale particella di partenza si sia creata “da sola”, ovvero da una fluttuazione quantistica del vuoto, senza intervento divino;

- Secondo la teoria della relatività, spazio e tempo sono strettamente correlati fra loro, tanto da costituire una trama unica spaziotemporale. Ora, se lo spazio è stato creato dal big bang, allora anche il tempo è stato creato nello stesso momento. Non esisteva tempo prima del big bang. Infatti, nei buchi neri, che rappresentano il modello più simile a quello del big bang, il tempo rallenta man mano che ci si avvicina al centro del buco nero, fino a fermarsi completamente. Se non esisteva il tempo prima del big bang, non esiste più il nesso di causalità fra un Creatore e la sua creatura. Non può esserci stato un Creatore che abbia realizzato il nucleo elementare da cui è scaturito il big bang, perché….non avrebbe avuto il tempo di realizzare tale opera.




Gli argomenti addotti da Hawking sono molto seri scientificamente, ma purtroppo per lui, non conclusivi rispetto alla dimostrazione dell’inesistenza di Dio. Il fatto che il big bang abbia creato una quantità di energia di segno negativo e di valore assoluto pari a quello dell’energia “positiva”, tale cioè da poter generare un nuovo universo negativo, non è incompatibile con il fatto che oramai la fisica più avanzata sta accettando in modo sempre più convinto la teoria della molteplicità degli universi. Tale teoria è infatti l’unica possibile per risolvere problemi matematici e probabilistici irrisolvibili in una ipotesi di universo singolo, ed è l’unica che possa spiegare fatti misteriosi, come ad esempio la constatazione che l’interazione gravitazionale nel nostro universo è inferiore a ciò che dovrebbe essere (spiegazione che può essere fornita dalla teoria delle stringhe, che prevede la possibilità che parte della gravità del nostro universo trasmigri in altri universi; inoltre, seguendo la teoria delle stringhe, è chiaro che se vi sono dimensioni aggiuntive rispetto alle tre dimensioni spaziali + una temporale in cui è strutturato il nostro universo, devono esistere altri universi in cui tali dimensioni si estrinsecano, anche se si tratta di universi piccolissimi, tali cioè da non poter essere da noi visti). Francamente tutto ciò non è incompatibile né con l’esistenza, né con l’inesistenza, di Dio.

Riguardo alla creazione dal vuoto della particella elementare che ha dato luogo al nostro universo a seguito del big bang, in realtà si è dentro una frontiera della fisica quantistica ancora inesplorata, e che riserverà ancora molte sorprese. Intanto occorre chiarire il concetto di “vuoto quantistico”. Si tratta di un vuoto che in fondo non è poi così “vuoto”. Questo perché in fisica quantistica esiste un principio fondamentale, che peraltro è stato confermato da una serie impressionante di verifiche empiriche, ovvero il principio di indeterminazione di Heisenberg. Tale principio ci dice, in soldoni, che, a livello subatomico, e quindi nel campo quantistico, è impossibile misurare con precisione assoluta e margine di errore pari a zero contemporaneamente posizione e velocità di una particella. Se nel vuoto quantistico non esistesse, sia pur a livelli infinitesimali, una qualche energia, allora una particella che si creasse dentro questo vuoto sarebbe immobile e priva di energia, e quindi sarebbe possibile misurarne con esattezza posizione e velocità. Ma ciò, per l’appunto, violerebbe il principio di indeterminazione.

Quindi nel vuoto quantistico “primigenio” esistono quantità, sia pur minime, di energia sotto qualche forma, nonché una serie di potenzialità di realizzazione di particelle (particelle virtuali) che possono realizzarsi effettivamente in corrispondenza con fenomeni (forse di tipo meccanico) chiamati “fluttuazioni quantistiche”, ovvero vere e proprie “onde” che si formano nel vuoto. Quindi l’obiezione del credente sarebbe immediata: ammettiamo che la particella primigenia dell’universo si sia formata “da sola” all’interno del vuoto quantistico. Ma chi ha creato quella quantità minima di energia, e quei fenomeni ondulatori, che increspano la superficie piatta del vuoto quantistico primigenio, se non un Creatore?

Anche il ragionamento relativo all’assenza di un tempo prima della creazione, per quanto sembri logico, in realtà lascia il tempo che trova (mi si perdoni il gioco di parole). Noi infatti stiamo ragionando all’interno del mondo subatomico dei quanti, che segue regole e meccanismi diversi da quelli cui siamo abituati (non a caso la fisica moderna è ancora alla ricerca del sacro Graal di una teoria unificante del tutto, in grado cioè di mettere insieme fisica quantistica e fisica relativistica). Non è detto quindi che abbia senso ragionare in termini di legami causa-effetto, che ovviamente sono correlati allo scorrere, sia pur infinitesimale, di una certa quantità di tempo, poiché in realtà il campo quantistico funziona sulla base dei concetti di casaulità e probabilità. Stiamo parlando di un mondo, quello quantistico, in cui le particelle appaiono “dal nulla” e scompaiono nel “nulla”, in cui addirittura è stato dimostrato che una singola particella può esistere contemporaneamente in due luoghi diversi. Come possiamo applicare a tale bizzarro mondo le regole di causa/effetto che vigono nel nostro mondo?

Con tutto questo non voglio dire che Hawking non abbia ragione. Voglio solo dire che secondo me la questione di chiedersi, sotto un profilo scientifico, se Dio esista o meno, è mal posta. Perché si utilizzano metodi scientifici per approcciare una questione irriducibilmente metafisica. Quando Galileo scoprì che la terra gira attorno al sole, e non viceversa, il suo obiettivo fondamentale non era quello di confutare la dottrina cosmologica della Chiesa. Il suo obiettivo, da buon scienziato, era di interrogarsi su un fenomeno fisico (la rotazione degli astri) e stabilire la verità. Che poi questa verità distruggesse il dogma cattolico è stato un risultato collaterale. Quando Darwin elaborò la sua teoria evoluzionistica, il suo obiettivo era di interrogarsi su una questione scientifica (l’origine delle specie viventi). Poi le sue scoperte distrussero le favolette bibliche sulla creazione. Ma non era quello il problema fondamentale da risolvere. Se Darwin avesse avuto come obiettivo principale quello di confutare, in qualche modo, la teoria biblica della creazione, probabilmente si sarebbe disperso in mille rivoli, magari anche di tipo teologico o filosofico, e non avrebbe mai portato a realizzazione la sua teoria evoluzionistica.

L’impostazione scientificamente corretta del problema che si pone Hawking è quella di chiedersi come è nato l’universo, cosa ci fosse, ammesso che ci fosse qualcosa, prima dell’universo, e da cosa questo qualcosa era nato, o era causato. Una simile ricerca naturalmente ci condurrà anche a rispondere al quesito circa l’esistenza di Dio, ma in forma derivata. Altrimenti ci si perde in un loop senza uscita. Perché se l’analisi del vuoto quantistico primigenio è fatta sotto l’angolatura di stabilire se Dio esiste o meno, allora ci si perde in una discussione infinita su chi creò la fluttuazione quantistica, su chi creò l’energia minima presente nel vuoto quantistico primigenio, e così via. Diventa una dispersione di energie.

Peraltro, il porsi obiettivi metafisici per portare avanti processi di ricerca scientifica è anche molto pericoloso per la stessa comunità scientifica. Se si diffonde nel grande pubblico l’idea che i fisici quantistici ed i cosmologi stanno indagando sull’esistenza di Dio, non è da escludere che un futuro presidente degli Stati Uniti di impostazione cattolica integralista tagli i fondi pubblici per la ricerca. C’è già la Chiesa a compiere la malsana operazione di affibbiare etichette morali o religiose alla ricerca scientifica, con il risultato di creare enormi problemi all’avanzamento della stessa (si pensi alla vexata quaestio della ricerca sulle cellule staminali). Sarebbe il caso di evitare che anche gli scienziati cadessero nello stesso errore.

E tra l’altro, il porsi obiettivi metafisici nel campo della ricerca scientifica porta a ragionamenti devianti: Hawking conclude, bello bello, che siccome non esiste Dio, allora non esiste nemmeno una vita dopo la morte. In realtà non è possibile, con le nostre attuali conoscenze, stabilire un simile nesso. Potrebbe non esistere un Dio personale, ma esistere la vita dopo la morte, o viceversa potrebbe esistere Dio, ma non una vita ultraterrena. Cosa ne sappiamo noi? Intanto siamo ancora lontani dall’avere una definizione scientifica della vita. Gli esperimenti di creazione in vitro di nuova vita unicellulare sono di lunga data, potendo farsi risalire all’esperimento di Miller del 1953, che tentò di ricreare in laboratorio le condizioni di “brodo primordiale” che dettero avvio alla vita sulla terra. Questo filone di ricerca, sinora, non è riuscito a fare altro che costruire, in vitro, catene di aminoacidi, ovvero il mattone primordiale di ogni forma di vita, ma senza riuscire a creare un organismo, sia pur unicellulare, vivente. Anche l’esperimento, tanto pubblicizzato, realizzato nel 2010 da Craig Venter, è ben lontano dall’avere creato nuova vita in vitro. Venter non ha fatto altro (si fa per dire, perché in realtà ha raggiunto un risultato straordinario) che ricostruire sinteticamente un intero genoma, andandolo però poi a incollare su un citoplasma già esistente in natura, creando quindi non una vita artificiale, ma modificando radicalmente il patrimonio genetico di un organismo già esistente. Peraltro lo stesso genoma ricostruito artificialmente non è stato inventato ex novo dagli scienziati, ma è la copia pedissequa del genoma di un microrganismo già esistente in natura, il Mycoplasma Micoides. Tale genoma è quindi stato inserito in un altro microrganismo esistente in natura, privato del suo DNA originario, il Mycroplasma Capricolum. Creando quindi un ibrido. Replicando quindi nel mondo batterico un esperimento fatto da millenni dai contadini: prendi una cavalla, la accoppi con un asino, e ti esce un ibrido chiamato mulo. Altro che vita artificiale!

Naturalmente ho il massimo rispetto per le opinioni di Hawking, e per ciò in cui crede. Tuttavia, l’affermazione apodittica secondo cui non esiste la vita dopo la morte non è scientifica, per il semplice motivo che non sappiamo ancora cosa sia la vita, figuriamoci se siamo in grado di sapere cosa sia la morte. Il suo campo scientifico, però, sta sempre più accreditando l’ipotesi del multiverso. In tale ipotesi, esisterebbero n universi paralleli, in ciascuno dei quali opererebbe una copia perfetta, un sosia di noi stessi, che ha fatto scelte esistenziali, o ha intrapreso strade, diverse dalla nostra. Per cui se in un universo io mi sono sposato con una certa donna, immediatamente nasce un altro universo in cui un mio sosia perfetto sposa un’altra donna, ed ancora ne nasce un altro in cui il mio sosia non si sposa affatto, rimanendo per sempre scapolo (e mi si consenta di avere una certa invidia per questo mio sosia). Per cui, se in un universo io muoio, ci deve essere necessariamente un altro universo in cui evito l’evento mortale e sopravvivo. E spingendo al limite il ragionamento, deve esistere almeno un universo in cui nessuno di noi è nato, ed un altro universo in cui nessuno di noi può morire.

Circa un anno fa sono dovuto andare al funerale di un mio paesano. Il parroco, nella sua omelia funebre, dichiarò: “il nostro caro amico oggi non è morto. Vive in un’altra dimensione”. Mi ha portato sollievo il pensiero che chissà quanti luminari della fisica moderna si sarebbero trovati perfettamente d’accordo con questa affermazione di un umile parroco di campagna.
 
 
 
17 maggio 2012
 
 
dal sito  http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/
 

giovedì 7 giugno 2012

A DIFESA DELL'ART.18 LA FIOM PROCLAMI SCIOPERO GENERALE! di Sergio Bellavita




A DIFESA DELL'ART.18 LA FIOM PROCLAMI SCIOPERO GENERALE!
ASSEDIARE I PALAZZI, NON ENTRARCI!
di Sergio Bellavita



Ancora un appello di Sergio Bellavita, della segreteria nazionale FIOM, perché il suo sindacato si assuma la responsabilità di organizzare lo sciopero generale e l’assedio delle due camere che devono approvare definitivamente la sostanziale cancellazione dell’articolo 18. Sarebbe tanto più necessario in un momento in cui il parlamento è sempre più screditato: non solo approva qualunque proposta indecente del governo Monti-Fornero, ma non esita neppure a negare l’autorizzazione all’arresto di un miserabile trafficante di voti e di milioni come Sergio De Gregori, con una larghissima maggioranza, quindi con l’apporto di decine di senatori del PD che hanno scelto di fare i “franchi tiratori” in nome di una squallida solidarietà di categoria. Bellavita conclude polemicamente che organizzare il presidio permanente dei palazzi, significa anche rifiutare di interloquire, come nell'iniziativa di sabato 9 proposta da Landini, con partiti di governo come il PD, al cospetto del quale il moderato Hollande è un temibile sovversivo.

Antonio Moscato 7/6/12

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Sarà necessario aprire una riflessione profonda su quanto sta accadendo in questi ultimi mesi sul terreno sociale. Sarà necessario e impellente farlo per chi si pone il problema di verificare, fuori dalla retorica di piazza o mediatica, l'adeguatezza o meno della risposta che è in campo rispetto alla inaudita gravità dell'attacco che viene portato da padroni governo e dai loro complici. Dobbiamo purtroppo constatare che stiamo procedendo a passo spedito verso la sconfitta sociale più cocente dal dopoguerra ad oggi e senza nessuna vera resistenza organizzata.

Al di là dei tempi della dinamica parlamentare, da qui a poche settimane lo screditato e mai cosi poco amato parlamento italiano approverà la sostanziale cancellazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori, rendendo praticamente libero il licenziamento per instaurare, grazie al drammatico combinato disposto con la crisi e i suoi effetti, la paura nelle fabbriche, negli uffici.

Prima della necessaria riflessione vorrei però si facesse di tutto per tentare di bloccare il Parlamento.

L'agenda dell'opposizione sociale è clamorosamente scarna di impegni. Sono programmati presidi davanti al parlamento venerdì 8, la Fiom sostiene iniziative il 13 e il 14. Il 22 giugno il variegato mondo del sindacalismo di base ha proclamato sciopero ed è un fatto positivo sebbene non sia lo sciopero generale di cui abbiamo un disperato bisogno. Oggi solo la Fiom, grazie allo straordinario consenso che in questi due anni si è accumulato potrebbe rappresentare il perno su cui costruire un vasto fronte sociale. La proclamazione dello sciopero generale dei metalmeccanici avrebbe il pregio di aggregare tutte le soggettività resistenti. Produrrebbe nuove pressioni verso un gruppo dirigente cgil appagato dalla finta modifica sull'art. 18.

Lo sciopero Fiom rimetterebbe al centro della discussione del paese l'art. 18, mentre oggi è del tutto evidente che in campo ci sono solo le pressioni di segno opposto, da Confindustria a settori politici. Lo sciopero Fiom potrebbe essere il volano per quella mobilitazione generale, prolungata che è resa necessaria dalla dimensione dello scontro. Ma il segretario generale Landini ha detto no, prima in segreteria poi all'assemblea dei delegati Fiom, ad una nuova proclamazione di sciopero della sola Fiom dopo quello dello scorso 9 marzo. Capisco la necessità di chiedere conto ad una Cgil che proclama 16 ore di sciopero per non farle, ma se non lottiamo ora, prima che il parlamento cancelli l'art. 18,quando lo faremo?

Se non ora quando?

Dobbiamo proclamare sciopero generale e da subito organizzare il presidio permanente dei palazzi, evitando di interloquire, come nell'iniziativa di sabato 9, con partiti di governo come il PD, al cospetto del quale il moderato Hollande è un temibile sovversivo. I palazzi vanno presidiati, non bisogna entrarci.


7 giugno 2012



dal sito http://antoniomoscato.altervista.org/



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