LA VERA MAMMY DI "VIA COL VENTO" CI AIUTA A SUPERARE GLI STEREOTIPI SUI NERI
di Igiaba Scego
Via col vento ha debuttato al cinema nel 1939. Io non ero nata, nemmeno mia madre era nata. Ma molti anni dopo, verso gli anni ottanta, il primo canale pubblico della televisione italiana lo trasmise dividendolo in due parti affinché la visione non risultasse una maratona infinita.
Probabilmente Via col vento era già passato in televisione. Ma io ero troppo piccola per ricordarmelo. Quella sera mia madre mi disse: “Preparati c’è un film elegante su Rai 1”. A mamma piacevano e piacciono ancora i film in costume, più gli abiti sono sontuosi e a ombrello più lei si rilassa. I riti un po’ teatrali dell’upper class e dell’aristocrazia l’hanno sempre divertita. Ecco perché quella sera ero pronta a divertirmi a più non posso anch’io. Volevo bearmi tra stoffe multicolori, balli all’aperto, banchetti sontuosi, civetterie antiquate.
Invece dopo pochi minuti è apparsa lei. Era enorme. Tutto in lei era eccessivo. Aveva una grande testa, un grande corpo, due occhi che sembravano satelliti, un fondoschiena più grande di una stalla. La guardavo sgomenta. Era vestita di stracci, con un foulard che le cingeva la testa malamente. Era goffa. Sembrava unta. Grondava sottomissione. E poi parlava in un modo orribile. Non so se nella versione originale, che non ho mai visto, Mammy parlasse quella lingua priva di grazia e di grammatica. Ma in italiano Mammy, la schiava nera del film, risultava sconcertante per l’estrema bruttezza della sua lingua.