CINEMA

mercoledì 6 ottobre 2010

VINCERE (2009) recensione del film di Marco Bellocchio





VINCERE  (2009)

recensione del film
di Marco Bellocchio

di Pino Bertelli












O del buffone di corte che fu adorato come un duce da un popolo di voltagabbana e fu impiccato per i piedi (con la sua puttana e i sui bravacci) a un distributore di benzina, come si appende un’opera d’arte surrealista o concettuale al gancio di un macellaio...




“Con le budella dell’ultimo papa, impiccheremo l’ultimo padrone”.

dal film Vincere, di Marco Bellocchio

I.  UN ERETICO DELL’ERESIA

In principio è stato I pugni in tasca, il con il quale ha esordito nel cinema, in maniera anarchica e fulminante, Marco Bellocchio… correva l’anno 1965. Bellocchio annuncia con quest’opera ribelle e aconformista, la germinazione (se non la nascita) del ’68. Era un film contro la morale e il pregiudizio… opera di un Anarca che andava a inaugurare una delle più importanti cinevite del cinema italiano. Eretico dell’eresia, da I pugni in tasca a Vincere, Bellocchio ha costruito il suo fare-cinema su viatici trasversali al mercantilismo e si è fatto maestro di una ribellione etica ed estetica che combatte la vigliaccheria e l’immobilità. Le tematiche che ha trattato lungo il suo percorso di autore singolare di cinema civile… hanno sempre avuto al centro dei suoi interessi sociali e politici, una percezione della libertà, della disobbedienza, della rivolta contro l’ordine costituito e contro la menzogna delle chiese… più di ogni cosa Bellocchio ha lavorato su una cartografia umana dell’esistenza e si è fatto incendiario dei luoghi comuni e della genuflessione… di più, ha mostrato che nessuna opera d’arte è degna di questo nome, senza manifestazione di uno stile. I suoi film, nessuno escluso, portano tutta intera la sua visione del mondo e dicono che per raggiungere una qualche felicità occorre scegliere, incidere o cancellare… rovesciare un mondo rovesciato e fare dell’uomo, della donna, la misura di tutte le cose.
La psicologia del profondo che circola nel cinema-anarca di Bellocchio (come nelle opere di Pier Paolo Pasolini, Marco Ferreri, Luigi Faccini…) è una sorta di “scatola degli arnesi” che porta alla percezione dell’anima del mondo per mezzo dell’immaginazione. Del resto James Hillman, altro corsaro dell’anima insorta, scrive, da qualche parte: “La riscoperta della storia dell’anima si manifesta nel ridestarsi dell’emotività, della fantasia e dell’attività onirica… La storia dell’anima emerge via via che mi scrollo di dosso la storica clinica [dei saperi, delle fedi, delle politiche di repressione istituzionali...] ovvero, in altre parole, emerge con la mia morte [o di-sobbedienza, insurrezione, diserzione] al mondo inteso come arena della proiezione” oracolare dell’impostura e della falsificazione mediatica delle democrazie consumeriste e dei comunismi al potere.

L’Anarca è l’angelo ribelle o necessario che forza l’apparire e lo disvela… la di-sobbedienza che pratica, abita il senso sotterraneo delle cose e scardina le falsità degli idoli… il profumo di resistenza e insubordinazione che sparge ovunque pianta le sue idee di sovversione non sospetta della realtà imposta, libera derive libertarie che vanno a scardinare alla radice la percezione e quindi l’immaginazione delle rappresentazioni istituzionali dominanti. La ciascunità dell’Anarca (avrebbe detto Ernst Jünger) altro non è che l’individuazione o un farsi particolare dell’anima in ciascuno e in tutti… i sogni, come le opere d’arte, restituiscono alla coscienza il senso di molteplicità e infinità dell’anima e i percorsi della rivolta, non solo affabultiva, che si porta addosso, aderiscono al fantastico di tutte le ribellioni… l’evento archetipale che rappresentano rimanda non tanto a qualcosa che accade, quanto a un gesto antico che si compie di nuovo per cogliere ancora attimi estremi di libertà.

I pugni in tasca, La Cina è vicina, Nel nome del padre, Matti da slegare (con Rulli, Petraglia e Agosti), Marcia trionfale, Diavolo in corpo, L’ora di religione, Buongiorno notte, Vincere… sono alcuni film di Bellocchio che, più di altri, credo, frantumano la crosta dei significati codificati della pubblica morale e liberano nuove intuizioni e vi-sioni della comunità che viene. Creare significa trasmettere non solo le proprie sofferenze ma anche la bava originaria di tutte le insurrezioni sociali. Buongiorno notte era un’opera-testamento sul Sessantotto, una sorta di quaderno aperto su una stagione libertaria mai finita… Bellocchio è riuscito qui a ripercorrere la bellezza di una rivoluzione dei costumi, antiautoritaria, senza capi né programmi scritti da rivoluzionari di professione... che chiedeva di godere senza limiti, si prendeva il diritto di giudicare la società dell’apparenza e imponeva ai centri di potere (sindacati, università, partiti, chiese…) che la sostenevano, di tacere o sparire… l’Utopia era di quelle buone! Coloro che sostengono con forza e amore le loro idee, anche le più estreme, non hanno bisogno di antenati, né di padri… lo spirito del Maggio Sessantotto raccoglieva le speranze dei dannati della terra e i suoi figli gioiosi hanno sollevato una tempesta sociale che ha scosso alle fondamenta i codici immutabili della servitù volontaria dei popoli… hanno danzato sulle teste dei potenti e, anche se per poco, hanno permesso agli uomini, alle donne di fare un piccolo passo nella storia, ma un grande balzo in avanti per il cammino dell’umanità verso la conquista della felicità tra liberi e uguali.

Vincere racconta la storia di un traditore inveterato, un clown senza talento, un criminale di bassa lega, Benito Mussolini, osannato dall’intero popolo italiano… manovrato dalla nascente borghesia industriale, dalle trame antisemite della chiesa di Roma, dai settori devianti di poteri più o meno occulti orchestrati da quella casta di cri-minali dei Savoia… Bellocchio fa finta di parlare della storia d’amore tra una signora dabbene e il Duce degli italiani… tuttavia mette molto altro nel film, specie un’atmosfera politica generalizzata, completamente complice con le efferatezze di un arrampicatore sociale e le stupidità dialettiche di un pagliaccio da osteria che hanno portato un folle (e questo vale per tutti i dittatori) alla guida di una nazione. I tiranni, come gli stupidi, sono sempre ammazzati troppo tardi.

II.  VINCERE

Agli inizi del secolo Benito Mussolini è un giovane sindacalista, giornalista, socialista rivoluzionario… conosce una signora della borghesia milanese, Ida Dalser e hanno una storia d’amore… lei impegna tutti i sui soldi per aiutare Mussolini a fondare Il popolo d’Italia (c’erano anche gli industriali milanesi dietro la nascita di quel foglio e non solo...) e gli darà anche un figlio, Benito Albino… Mussolini lo riconosce e sposa Ida in chiesa. Intanto contrae matrimonio civile con Rachele Guidi, popolana semianalfabeta, che gli ha dato la figlia Edda. Mussolini ascende al potere e decide di escludere dalla sua vita l’esistenza di Ida e di Benito Albino… moriranno entrambi in manicomio e nei registri della chiesa nulla si riesce a trovare del matrimonio della Dalser con il dittatore.
Il film di Bellocchio è bello, fin troppo elaborato, con qualche “effetto speciale” del quale non c’era proprio bisogno, i bei nudi di Giovanna Mezzogiorno sono un po’ troppo ripetuti… mai volgari… e i baci con la lingua in bocca della Mezzogiorno con Filippo Timi esprimono un erotismo salutare che buca lo schermo… l’interpretazione di Timi, nel doppio ruolo di Mussolini e del figlio Albino, giovane… non è proprio centrata, a tratti è caricaturale e non aderisce al carattere schizofrenico del dittatore... ha poco a che fare con l’ebetismo plateale del Duce e molto con la fatturazione del cinema corrente italiano, tutto mossette e atteggiamenti da operetta… Vincere però è un film (come un buon libro) di quelli al quale tornare e rileggere… è un piccolo trattato di geografia umana dove gli atteggiamenti diventano forme e le forme convinzioni o convenienze politiche. Non c’è governo, né chiesa, senza una politica che li sostenga e giustifichi i loro crimini.
A ritroso. Il film di Bellocchio è una rilettura (in parte) del notevole documentario Il segreto di Mussolini (una produzione americana), diretto dai giornalisti Rai, Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli (dura quasi due ore), trasmesso dalla terza rete Rai il 14 gennaio 2005. La moglie austriaca e il figlio di Mussolini celati alla storia, erano già stati oggetto di un reportage di Alfredo Pieroni degli anni ’50, fatto per La settimana INCOM illustrata. Il segreto di Mussolini è composto di interviste a Ida Dalser, Giacomo Minella, Giulio Bernardo, Arrigo Petacco, Antonio Petroni… nel 2000 Marco Zeni pubblica il libro La moglie di Mussolini. Sia il documentario che il libro non hanno il seguito informativo e culturale che gli autori si aspettavano.
In Il segreto di Mussolini Ida Dalser finisce al confino, nei pressi di Caserta. Quando torna a Trento vive del sostegno dei parenti. Mussolini la fa sorvegliare dalla polizia politica. Non vuole vedere il figlio. Il fratello Arnaldo, divenuto direttore de Il popolo d’Italia e amministratore del partito fascista, le passa pochi soldi… nel 1926 la polizia arresta la Dalser e la confina nel manicomio di Pergine Valsugana… medici compiacenti al regime falsificano le cartelle cliniche e la donna subisce la camicia di forza… viene distrutta nel fisico e nella mente… Benito Albino, sotto la protezione di Arnaldo, è inviato in un collegio dei padri Barnabiti, a Moncalieri… alla morte di Arnaldo Mussolini, a Benito Albino viene cambiato il cognome in Bernardi e trasferito in un istituto periferico… Ida Dalser non sa più nulla del figlio e Benito Albino ha ormai raggiunto l’età per arruolarsi in marina, su una nave da guerra che ha fatto rotta per i mari della Cina… sarà presto rimpatriato (gli fanno credere che la madre è morta) e rinchiuso in manicomio. Ida Dalser muore nell’ospizio per pazzi di San Clemente a Venezia nel 1937 (per un’emorragia celebrale, dicono le carte), Benito Albino muore in manicomio per deperimento fisico nel 1942 (in realtà subisce torture, vessazioni e dopo ripetute iniezioni d’insulina finisce nove volte in coma, dicono le cartelle cliniche ritrovate)… il film di Bellocchio, in qualche modo, ripercorre le tracce del documentario di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli, ma l’affresco della stagione fascista è visto con lo sguardo del poeta, non della cronaca, e riporta la vicenda del figlio ripudiato di Mussolini su binari dell’interpretazione e della visione personale. Belloccio racconta la storia di una sconfitta dove l’unica morale buona è quella del carnefice. La guerra partigiana poi mostrerà, armi alla mano, che i ragazzi, gli uomini e le donne autentici vivono di verità e gli assassini di ogni libertà saranno impiccati al palo della menzogna. La storia dei vinti è la sola che conta, quella dei vincitori è, per definizione, un’impostura.
Vincere è un piccolo trattato di psicologia applicata contro la ragione di una madre che non ha mai cessato di gridare la verità sulla follia di un megalomane e, più ancora, è un atto di accusa gettato contro il fascio delle istituzioni e delle connivenze che hanno permesso al fascismo di produrre il delirio collettivo di un’intera nazione. La regia di Bellocchio è generosa, incline al melodramma e alla citazione futurista, tutta lavorata su inquadrature forti, anche metaforiche, degna dei grandi maestri del cinema in forma di poesia (Pasolini, De Oliveira o Herzog), tuttavia si ha la sensazione di assistere a una tragedia epica che travalica la storia raccontata e si assesta nell’intimità tradita di una donna davvero particolare. Ci rifiutiamo di credere che l’incenso dei dominatori, dei ministeri, delle chiese… porti alla salvezza dell’uomo… giustizia, libertà, autogestione dell’esistenza nascono sul fumo delle rovine istituzionali e sulla fine della produzione degli stupidi.

In Vincere le immagini di repertorio s’intrecciano a piani sequenza importanti, la narrazione risente di pesantezze dovute all’uso interattivo del computer, tuttavia la forza etica di Bellocchio passa dove passa il pensiero e mostra che ogni potere è senza difesa di fronte alla bellezza e alla verità… la Mezzogiorno è brava, inquietante, bella come solo le donne speciali lo sono… Bellocchio ha la mano felice quando le lascia attraversare la scena, tuttavia è proprio con Timi che il personaggio di Mussolini frana... e non poco… è difficile riconoscere nella sua interpretazione la pomposità del dittatore e anche l’infelice linguaggio degli stolti che lo elevava nel ruolo di buffone… le facce, i corpi delle figure di secondo piano riempiono il film di un’autentica bellezza figurativa… e l’immaginazione del regista mostra che nessun ricordo è innocente. Da una parte c’è sempre la libertà, dall’altra le gogne del potere.

Il film è scritto da Bellocchio con Daniela Caselli e Alfredo Pieroni, e a tratti sembra balzare da una storia all’altra con disinvoltura, forse troppa, tuttavia la tessitura filmica è partecipata e ribalta l’emozione storica in interrogazione. Di più. Il film scava buchi nel perbenismo dell’Italia fascista e dove la barbarie s’impone, la rivolta riporta alla realtà. La fotografia di Daniele Ciprì è di notevole prestigio, i chiaroscuri degli interni sono davvero belli e anche i rimandi estetici del tempo sono accurati, colgono l’oblìo e l’attimo del suo folgorare. Il montaggio di Francesca Calvelli ricama l’intero film su accostamenti anche difficili (dati i vari aspetti linguistici) e riesce comunque a non cadere mai nell’anonimato di mestiere. La scenografia di Marco Dentici e la musica di Riccardo Giagni conferiscono all’impalcatura figurativa un’aria di falsa magniloquenza e oppressione che afferra il tempo e la storia, senza mai dimenticare le nefandezze di un potere che aveva nell’immaginario collettivo il proprio infausto consenso.

Vincere è forse un film imperfetto… Bellocchio non vuole convincere né costringere gli spettatori oltre il limite di spazi truccati del regime fascista… il suo film è un dispositivo di idee dove tutto è da apprendere, denunciare, rovesciare… il potere ignora la libertà e solo con l’adulazione riesce a imporre il consenso e l’udibilità della menzogna… Vincere taglia le ali alle giustificazioni politiche di ogni tirannia e le deposita nel fango della storia… il suo film si scaglia contro l’onnipotenza del corpo politico, del corpo sociale, del corpo religioso e deride i meccanismi con i quali i tagliagola del potere sottomettono i popoli… sotto un certo taglio, Vincere mostra un’estetica della politica e il crepuscolo degli dèi che contiene… la politica, tutta la politica istituzionale, aderisce al fanatismo che la abita. “L’identico dispone di un impero là dove il diverso è proibito” (Michel Onfray). Là dove la violenza statale devasta tutto al suo passaggio, occorre opporre la forza libertaria della disobbedienza, della resistenza, dell’insubordinazione… si tratta di spezzare i legami ideologici, religiosi, mercantili dell’ordine costituito, opporsi alla cultura dell’ostaggio e fare della derisione dei saperi, il principio di tutte le rivolte. Diffidare di ogni autorità, per principio, significa aspirare alla comunità che nasce tra liberi e uguali. Si tratta di odiare il potere solo per meglio distruggerlo.

 agosto 2009

dal Blog "Utopia rossa"

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     ELEZIONI BRASILIANE :
     I PREFISSI TELEFONICI







                                                                     


Nelle elezioni di domenica in Brasile l'estrema sinistra ha collaudato i suoi legami con le masse carioca: PSOL 0,87%, PSTU di ZE' MARIA (sezione brasiliana del Partito D'Alternativa Comunista di Francesco Ricci) 0,08%, PCO (sezione brasiliana del Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando) 0,01. Questi prefissi vanno naturalmente fatti dopo il prefisso quarta internazionale per il Brasile.





dal blog "Spazio alternativo"


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