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martedì 18 gennaio 2011
IL FASCISMO OGGI
di Roberto Massari
(Prima parte)
Pubblichiamo la prima parte dell'introduzione al celebre libro di Daniel Guérin "Fascismo e gran capitale"(Erre emme edizioni- Roma 1994) di Roberto Massari. La seconda parte verrà pubblicata nei prossimi giorni.
Ringraziamo l'autore che ha permesso la pubblicazione in rete di questo suo interessante saggio.
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a mio nonno materno
Otello Di Peppe
falegname ebanista
amante della lirica
e di filosofia orientale
militante comunista
torturato a via Tasso
imprigionato a Regina Coeli
assassinato alle Fosse Ardeatine.
E’ il testo più celebre di Daniel Guérin, comunista libertario, antifascista, antistalinista e anticonformista, sopravissuto alle demoralizzazioni del dopoguerra, imbevuto di cultura rivoluzionaria –dall’arte al sesso, dall’economia alla storia- schierato con i neri antillani e con quelli nordamericani, con il popolo algerino contro la madrepatria coloniale, dalla parte dei giovani, del Maggio francese e del movimento della sinistra rivoluzionaria di quegli anni, internazionalista e cosmopolita, diffusore del pensiero di Reich in Francia e del marxisme libertaire (termine da lui coniato) ovunque, difensore degli omosessuali, degli immigrati, dei diversi, antistatalista e antirazzista fino alla morte.
Emblema della cultura radicale di questo morente ventesimo secolo.
Personalmente considero un privilegio aver potuto conoscere Guérin a Parigi nei primi anni ’70, quando –entrambi nella redazione di Autogestion et socialisme- ci trovammo a collaborare nella diffusione di studi e di ricerche sulla democrazia diretta: era il filo conduttore di quella rivista ed era il problema dei problemi all’indomani della grande ascesa rivoluzionaria verificatasi in Francia, in Europa e nel mondo.
Guérin ci ha lasciato qualche anno fa e la democrazia diretta continua ad essere il problema dei problemi. Anche se c’è sempre chi s’illude di averlo definitivamente sepolto.
Questo libro fa rivivere entrambi.
La definizione “classica” del fascismo
Cosa fu dunque il fascismo, in termini sintetici ed essenziali? Quali connotati lo caratterizzarono, talmente “forte” da avercene fatto parlare ininterrottamente nei decenni successivi alla sua caduta e da farci paventare oggi un suo ritorno sotto mentite spoglie?
Al IV congresso del Comintern (novembre 1922), riunito pochi giorni dopo il trionfo della Marcia su Roma, il presidente in carica Zinoviev rispose alle domande di cui sopra negando ogni specificità al fenomeno italiano, vedendovi solo l’antesignano di una serie di governi autoritari in corso di assestamento e arrivando a prevedere un’estensione di tale forma reazionaria all’intera Europa (in mancanza ovviamente di una valida risposta da parte del movimento operaio).
E mentre Radek poneva maggiore enfasi sullo stato di prostrazione delle classi lavoratrici, Trotsky contestava l’idea della generalizzazione fascista, prevedendo al contrario il ricorso a regimi di “kerenkismo”, di alleanza cioè tra i settori più avanzati del capitalismo e le organizzazioni del riformismo (socialdemocratici e laburisti).
Nel decennio successivo a quel congresso dell’Ic –l’ultimo prima che Stalin prendesse il sopravvento sul vecchio gruppo dirigente bolscevico e sul Comintern nel suo complesso- vi fu una sottovalutazione della problematica del fascismo, alla luce anche del fatto che in paesi come la Francia, la Gran Bretagna, la Svezia, la Danimarca e la stessa Germania si era verificata l’ipotesi dell’interludio democratico anticipata da Trotsky. (1) La definizione standard del fascismo divenne quella di “movimento reazionario di massa”, sottintendone il carattere di classe borghese, ma considerandone praticamente il seguito piccolo-borghese come un accidente storico, inevitabile in assenza di una decisa politica di classe da parte del proletariato.
Nel corso delle semplificazioni demagogiche, uniche voci dotate di un minimo di qualità e originalità furono quelle di Karl Radek e di Clara Zetkin.
Quest’ultima in particolare aveva messo in guardia fina dal 1923 sulla natura composita e contraddittoria del seguito di massa del fascismo. (2) La guerra, la miseria, i processi congiunti di declino dell’economia capitalistica e di decomposizione del suo apparato statale concorrevano ad aggravare i processi di proletarizzazione dei ceti medi, dei piccoli contadini, degli intellettuali. Costoro, “alla ricerca di nuove possibilità di esistenza, di un lavoro stabile e di una posizione sociale garantita” andavano ad aggiungersi all’esercito di disoccupati generato dalla guerra nelle file degli ex combattenti e del proletariato industriale. La delusione delle loro aspettative di un cambio sociale radicale spingeva questi settori di uomini e di donne nelle braccia della mistica nazionalistica e di un ideale comunitario incarnato dallo stato forte fascista, in assenza dell’ideale comunistico incarnato da un proletariato politicamente organizzato e combattivo.
Ugualmente attenta agli orientamenti della piccola borghesia –da non lasciare in blocco all’avversario fascista e da non considerare perduta, in quanto semplice massa di manovra della reazione borghese- era l’analisi di Karl Radek. Ma questi verrà espulso nel 1927, poi riammesso dopo aver capitolato a Stalin e infine definitivamente liquidato con il grande processo del 1937.
Oltre che sul seguito di massa del fascismo, l’analisi di quegli anni si centrò anche sulle caratteristiche del movimento politico, dello Stato fascista e delle sue nuove istituzioni. Si può ricordare l’analisi di August Thalheimer (oppositore di “destra” eliminato dalla direzione blanderiana del Kpd nel 1924). Nella ricerca di un equilibrio di classe tra borghesia e proletariato,lo Stato fascista verrebbe ad assumere un ruolo bonapartistico. Ciò gli conferirebbe un’autonomia relativa in quanto Stato rispetto alle esigenze delle classi dominanti e alle dinamiche del conflitto di classe: il fascismo sarebbe stato quindi per Thalheimer una forma particolare di bonapartismo. (3)
Sulla stessa scia, l’analisi di Gramsci che negando la possibilità del permanere di un equilibrio, ma affermando al contrario l’inevitabilità di una crisi politica di carattere risolutivo, arriva a concepire il ruolo dello Stato autoritario in termini di cesarismo. Tale fenomeno sorgerebbe nella ricerca di un nuovo equilibrio alla conclusione di una crisi politica catastrofale, foriera a sua volta di un ruolo di autonomia relativa dell’apparato statale borghese nei confronti della classe politica egemone: il fascismo sarebbe un caso specifico di “cesarismo”. Va ricordato comunque che Gramsci in carcere rifiuterà nettamente la caratterizzazione dei socialisti e degli ex aventiniani come “socialfascisti”. (4)
All’orizzonte si delinea il nazismo. Nell’Ic ormai non esiste più alcun margine di dibattito e quando Stalin emana la direttiva internazionale della “svolta”, ai partiti comunisti non rimane che applicarla. La teoria del socialfascismo si fonda su una presunta imminenza della rivoluzione proletaria, sul carattere definitivo e catastrofale della crisi del capitalismo, sulla trasformazione del carattere di classe della socialdemocrazia e sull’inevitabile radicalizzazione dello scontro su scala mondiale (il famigerato “classe contro classe”). In Germania il Kpd rifiuta testardamente il fronte unico con i socialisti e Hitler si trova la strada spalancata per la conquista legale del potere. In Russia la “svolta” copre invece la dekulakizzazione, vale a dire lo sterminio di milioni di contadini recalcitranti, la deportazioni di intere popolazioni, l’inizio della eliminazione fisica di pressoché tutta la vecchia guardia bolscevica. Un orizzonte nero
La vittoria del nazismo tedesco, da Trotsky prevista e abbondantemente analizzata, gli consente di formulare una definizione più esauriente del fenomeno fascista:
“Il movimento fascista in Italia è stato un movimento spontaneo di larghe masse, con nuovi leader provenienti dalle sue file. E’ stato un movimento popolare alle origini, diretto e finanziato dai maggiori capitalisti. E’ nato tra la piccola borghesia, il sottoproletariato e anche, per certi aspetti, dalle masse proletarie; Mussolini, un ex socialista, è un uomo “che si è fatto da sé”, un prodotto di questo movimento…
Il movimento in Germania è analogo soprattutto a quello italiano. E’ un movimento di massa, con dirigenti propri, che usano molta demagogia socialista. Ciò è necessario per la creazione di un movimento di massa. La vera base (del fascismo)è la piccola-borghesia. In Italia essa ha una base molto ampia – la piccola-borghesia della città e delle campagne. Anche in Germania c’è una larga base per il fascismo…” (5)
Il fascismo rappresenterebbe quindi la realizzazione di un processo autoritario del grande capitale, (6) possibile solo per il fatto che questi è riuscito, nel corso del suo moderno sviluppo, a mettere radici nel ceto medio, a conquistarne il consenso, a finalizzarne la capacità di mobilitazione, ma anche a fargli “svolgere il ruolo di autentica forza sociale”, permettendogli di comparire “sulla scena politico, in modo relativamente autonomo e con un peso politico specifico”.
Di qui la definizione più matura del fascismo come prodotto storico di due processi convergenti: a) L’abbandono del grande capitale della fiducia nella capacità di contenimento della lotta di classe nelle panie dello Stato democratico (autoritarismo, passaggio allo “Stato forte” ecc.) e b) la radicalizzazione dei ceti medi deviata dal solco storico fondamentale del programma operaio.
Vi è una duplicità di ruolo nella radicalizzazione dei ceti medi. Questi possono garantire il proprio appoggio alla soluzione della crisi strutturale del capitale, sia “democraticamente” (facendo da tramite per quel consenso da parte di milioni di operai che attraverso il riformismo, viene garantito alla grande borghesia), sia col fascismo.
Da questa analisi Trotsky deduceva anche l’inevitabilità del Secondo conflitto mondiale, quale sbocco logico dell’acuirsi delle contraddizioni interimperialistiche provocato dal rafforzamento dei regimi fascisti a scapito delle “democrazie” occidentali. Egli anticipava i termini del futuro grande massacro di quasi un decennio, ma non poteva immaginare che alla conclusione del conflitto mondiale le borghesie dei grandi paesi imperialistici avrebbero continuato a dominare la vita economica e sociale del pianeta in condizioni di egemonia sostanzialmente immutate.
Evidentemente, anche nelle migliori analisi del movimento marxista mancava un qualche elemento essenziale che non fosse riducibile sic et simpliciter alla dinamica tra le classi e al ruolo delle istituzioni.
il “piccolo uomo comune represso”
Mancava la comprensione della dinamica conflittuale che i meccanismi della repressione sociale (sessuale) generano all’interno della struttura caratteriale umana. Mancava la proiezione dinamica, a livello di comportamenti sociali, del reciproco contrapporsi di pulsioni biologiche dell’individuo e della loro deviazione ad opera dei meccanismi autoritari della civiltà (“civilizzazione“, ma anche “cultura” dominante).
Eppure non mancavano gli strumenti per compiere tale analisi, visto che gli anni di crescita dei fascismi erano stati anche gli anni di diffusione e rafforzamento del patrimonio teorico freudiano. Nè manco una sintesi brillante del primo incontro –ingenuo quanto si vuole, ma entusiastico- tra psicoanalisi e sociologia marxista. Semplicemente quell’analisi, osteggiata dagli stessi meccanismi pulsionali sessuonegativi che essa intendeva smascherare, fu relegata al contributo di uno solo tra gli psicoanalisti creativi della scuola freudiana –Wilhelm Reich- e ai circoli molto ristretti che al suo pensiero si rifecero prima della Seconda guerra mondiale (Sexpol).
Divenuta veramente nota solo dopo l’edizione inglese del 1946, Psicologia di massa del fascismo (terminata a settembre del 1933) partiva dalla constatazione, ricavata in sede di ricerca clinica e di terapia medica, che il “fascismo” non fosse altro che “l’espressione politicamente organizzata della struttura caratteriale umana media”:
“Secondo il significato caratteriale il “fascismo” è l’atteggiamento emozionale fondamentale dell’uomo autoritariamente represso dalla civiltà delle macchine e dalla sua concezione meccanicistico-mistica della vita. Il carattere meccanicistico-mistico degli uomini del nostro tempo crea i partiti fascisti e non viceversa”. (7)
Il semplicismo sconcertante di formulazioni come quella appena citata può lasciare perplesso il lettore odierno. Ma non si dimentichi che Reich aveva fatto tesoro del dibattito sul fascismo che aveva animato per una prima fase il Comintern e poi, dopo la vittoria del nazismo, le correnti “classiche” dell’estrema sinistra europea. In particolare egli dava per scontata la definizione del fascismo come fondato sulla mobilitazione spontanea dei ceti medi, della piccola-borghesia e ampi settori delle masse popolari, nel quadro di un rafforzamento delle strutture autoritarie dello Stato borghese. Insomma la definizione di cui si è detto.
Ma di suo aggiungeva una riflessione sul fenomeno nuovo e apparentemente incomprensibile, per il quale il movimento fascista, a differenza di tutti gli altri movimenti reazionari della storia, “viene sostenuto e diffuso dalle masse umane”. Evidentemente, proseguiva la riflessione di Reich, in questo suo essere sorretto fondamentalmente da masse umane il fascismo deve in qualche modo tradire i tratti e le contraddizioni della struttura caratteriale di quelle stesse masse umane,, deve dimostrare nelle sue manifestazioni politiche di non essere un movimento puramente reazionario, ma un “amalgama tra emozioni ribelli e idee sociali reazionarie”:
“La ribellione fascista nasce sempre là dove un’emozione rivoluzionaria viene trasformata in illusione per paura della verità”. (ibid.)
Questa fuga dalla realtà angosciosa di un mondo psichico paralizzata dal blocco delle pulsioni si traduce in un più generale atteggiamento irrazionale nei confronti della realtà stessa. Si sostituiscono i destinatari di quelle pulsioni, si deviano gli impulsi vitali, si ricercano valvole di sfogo alternative per accumuli di tensione lipidica che altrimenti si risolverebbero in malattia per l’individuo stesso.
Tipico è il caso della psicopatologia da razza che ritrova oggi una sua attualità. Da un lato, c’è il razzismo del piccolo o grande proprietario, che deve difendere i privilegi acquisiti in colonia o nella metropoli imperiale, che risponde a determinati connotati di classe: esso si può spiegare con un’analisi per l’appunto di classe. Ma c’è poi il razzismo prodotto dalla perversione di istinti biologici naturali, da turbe emotive non altrimenti controllabili, da motivazioni psicopatologiche ormai sconfinate nel mondo dell’irrazionalità.
Questo tipo di razzismo non si identifica più meccanicamente con gli interessi materiale del colonialista, piccolo o grande che sia: è la proiezione sul colonizzato di pulsioni deviate non altrimenti accettabili, classificate da Freud tra le pulsioni di morte, e riprese invece in tempi più recenti da Franz Fanon come vere e proprie psicopatologie da bisogno di dominio, di autoaffermazione ecc. Il razzista entra così ufficialmente nella categoria dei casi clinici, dopo essere stato variamente cantato e celebrato nella più trita retorica del fascismo “fondatore d’imperi”. Ancora secondo Reich,
“L’ideologia razziale è una tipica espressione caratteriale biopatica dell’uomo orgasticamente impotente”.
Concetti analoghi possono valere nell’esame del rapporto del fascismo con la religione, dove il connotato masochistico tradizionale della sottomissione all’autorità si perverte nel suo contrario, nel sadismo della celebrazione rituale, sacrificale, del ritorno alle cerimonie cruente del premevo patriarcato, nella forma più o meno accentuata della mistica fascista. Un misticismo che apre la porta a tutto un prontuario di diagnosi sessuofobiche, quali il lettore può anche facilmente immaginare, appena si cominci a parlare del mito della forza maschile, della virilità, della prolificità femminile, del sangue, della purezza della stirpe.
Temi che si ritrovano nella pubblicistica dei movimenti fascisti o nazisti attuali e che possono portare facilmente alla conclusione che niente sia cambiato sotto il sole: l’irrazionalismo sessuofobico è quello di sempre e casomai si sono solo raffinate nel trascorrere dei decenni e le forme di camuffamento di questi istinti irrazionali, di questi “fiori del male” prodotti diretti dell’impotenza orgastica. In realtà i contesti cambiano e anche le valenze di deteminati simboli.
Si pensi ad un istante alla questione della “purezza del sangue” in un’epoca contrassegnata dall’angoscia da Aids. Nell’era dell’universalizzazione da Sindrome da immunodeficienza acquisita, l’istinto sadico che anima l’ideologia dell’ “igiene sanitaria” fascista non può che aggravare l’opposizione tradizionale al già tanto aborrito cosmopolitismo, provocando una ricaduta in termini di più rigido nazionalismo (razzismo, xenofobo, antisemita ecc.). Sessuofobie convertite in razzismo, impotenza orgastica convertita in misticismo, angoscia da Aids convertita in riti simbolici di iniziazione cruenta: ecco ancor oggi gli elementi costitutive del modello reichiano del piccolo uomo comune represso. Ma ecco anche dei canali disponibili per esprimere la rabbia e la carica di ribellione ingenerate dalle frustrazioni della società industriale moderna, le culture pseudo metropolitane ecc.: e questo perché il piccolo uomo nel frattempo non è cresciuto, non è riuscito cioè a trovare canali naturali e diretti per l’espressione dei propri istinti vitali,delle proprie pulsioni biologiche.
Il nazionalismo veterofascista riusciva a fondere insieme una serie di risposte in grado di appagare le manifestazioni più vistose di questi istinti pulsionali pervertiti e deviati: vi concorreva infatti il razzismo della delimitazione dall’altro (meglio se africano, di coloro o primitivo), il sadismo da attrazione sessuale innapagata (“faccetta nera”, le “scuregge del Negus ecc.), la volontà di potenza, il culto dell’eroe-condottiero-coloniale, il misticismo della cultura esotica.
Oggi quel tipo di nazionalismo non funziona più. Anche i “fascisti” attuali –vale a dire coloro che tali si “autodefiniscono”, più o meno fondatamente- vanno in vacanza ai Caraibi, frequentano corsi di macrobiotica o fanno le fortune delle case editrici specializzate in esoterismo (tanto per evocare dei tipi culturali, ancor prima che caratteriali). (8) Ebbene, la società dei consumi fagocita tutto ciò, nel momento stesso in cui tratta queste prestazioni irrazionalistiche alla pari di merci come le altre. Le “razionalizza” in un certo senso e quindi le sottrae alla dimensione mistico-escatologica con cui le avrebbe vissute un seguace dello Zarathustra nietzschiano più di mezzo secolo fa. E infatti, la dimensione culturale della ricerca di un oggetto di sublimazione sessuofobica per le pulsioni biologiche più incontrollabili si esercita oggi su tutt’altro piano. Un piano per il quale fondamentale diventa il connotato della ripetitività (di contro alla vecchia presunta “irripetibilità” dell’atto eroico) della riproduzione seriale (di contro alla vecchia mitologia dell’ ”irriducibilità” dell’Ego), della massificazione standardizzata (di contro alla vecchia assolutezza “avanguardistica”, “nietzschiana” ecc.) . In parole povere,sono cambiati i meccanismi produttivi e riproduttivi del “piccolo uomo comune represso”, in accordo a mutamenti intervenuti nella struttura sociale del capitalismo, della mercificazione delle sue manifestazioni ideologiche, della sua trasmissione di valori sessuobici “dominanti”. Vi torneremo tra breve.
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NOTE
(1) Il discorso meriterebbe d'essere approfondito e ampliato facendo riferimento all'esauriente monografia di Leonardo Rapone, Trotsky e il fascismo, Bari 1978, in particolare alle pp.7-8 sgg.
(2) Si veda Gilbert Badia, Clara Zetkin, femminista senza frontiere, Romaa 1994, in particolare il cap.23 "Sul fascismo". La Zetkin morirà nel 1932 dopo aver fatto di tutto per modificare l'orientamento del Partito comunista tedesco e la linea del "socialfascismo"che tanta responsabilità doveva avere nella vittoria del nazismo in Germania.
(3) Nicos Poulantzas, Fascisme et dictature, Paris 1970,pp.62-3
(4) Sul contesto italiano della "svolta" e la discussione sul fascismo non mancano i buoni lavori. Suggeriamo tra i migliori Ferdinando Omea, Le origini dello stalinismo nel Pci, Milano 1978 e Giancarlo de Regis, La "svolta" del Comintern e il comunismo italiano, Roma 1978.
(5) "What is Fascism?" - 15 nov.1931, in The Militant, 16 gen.1932 - (trad. it. in Trotsky-Scritti sull'Italia, a cura di Antonella Marazzi, Roma 1990, pp.105.6)
(6) Per amore di sintesi riprendiamo qui, in forma abbreviata, la parte dedicata all'analisi trotskiana del fascismo nel nostro Trotsky e la ragione rivoluzionaria, Roma 1990, pp.260-83.
(7) Wilheim Reich, "Prefazione" del 1942 a Psicologia di massa del fascismo, Milano 1974, p.11
(8) Come si vedrà nel proseguimento della nostra argomentazione non pensiamo che basti dichiararsi
"fascisti" o "nazisti" per esserlo realmente, vale a dire per esercitare il ruolo politico corrispondente. Ciò non toglie che in Europa esista una vasta gamma di gruppi, associazioni o movimenti che ai simboli dell'estrema destra si richiama. Di loro qui non si parla perché considerati irrilevanti rispetto ai grandi e profondi processi di "radicalizzazione della destra" effettivamente in atto. Ci riferiamo ovviamente al National Front, il British National Party o gli skinheads inglesi; i Republikaner, il Npd o i naziskin tedeschi; il Vapo austriaco; con le dovute distinzioni anche il Front National di Le Pen; il Vlaams Blok del Belgio fiammingo; la Hrvatska Stranska Prava in Croazia ecc. Per l'analisi di questi movimenti non si può che rimandare al lavoro di Guido Caldiron, Gli squadristi del 2000, Roma 1993. Per la Francia in particolare, Gilles Martinet, Le reveil des nationalismes français, Paris 1994
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