CINEMA

domenica 23 gennaio 2011


Pubblichiamo dai Quaderni della Fondazione che Guevara l'interessante parallelismo che Carlo Batà compie tra la figura ormai leggendaria del Che con quella di Thomas Sankara, il più grande rivoluzionario che abbia mai espresso il continente africano.
In appendice abbiano pubblicato il bellissimo omaggio che, una settimana prima del suo assassinio, Thomas Sankara ha dedicato alla memoria di Che Guevara.
Ringraziamo la MASSARI Editore per averci gentilmente permesso questa pubblicazione.
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THOMAS SANKARA, LA RIVOLUZIONE   
BURKINABE’ E IL CHE
                                
di Carlo Batà


L’8 ottobre 1987 a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, si rende omaggio a Ernesto Che Guevara, nel ventesimo anniversario della sua morte. Sono gli ultimi giorni della rivoluzione burkinabè, spezzata come molte altre nella storia con l’uccisione del suo laeder, Thomas Sankara, colpevole di aver osato sfidare il sistema di oppressione e sfruttamento e di aver criticato la politica criminale in Africa e in Medio Oriente di Stati Uniti, Francia, Sud Africa e Israele. Troppo per un capo di stato di un piccolo paese dell’Africa subsahariana. Da quattro anni durava l’esperimento burkinabè, nato dalla volontà di ridare speranza e dignità a un paese e un continente saccheggiato e martirizzato per secoli. Quattro anni in cui nell’ex Alto Volta si cercò, invano, di consolidare una rivoluzione che potremmo definire più che in ogni altro modo, antimperialistica. Erano stati creati i Comitati di difesa della Rivoluzione e molte strutture analoghe a quelle sperimentate negli stessi anni a Cuba e nel Nicaragua sandinista.
Sankara commemora il Che, consapevole del sacrificio del rivoluzionario argentino, che prima di trovare la morte in Bolivia era stato nove mesi in Congo per cercare di risollevare le sorti del paese dopo l’assassinio di Patrice Lumumba. Erano i paesi africani le “altre terre che reclamano il contributo dei miei modesti sforzi”, come scrisse nella Carta de despedida, letta da Fidel Castro all’Avana nell’ottobre del 1965. Ecco spiegata la sua insistenza sulla situazione in Congo come paradigma della volontà dei paesi ricchi di continuare a sfruttare impunemente il Sud del mondo, anche dopo aver concesso alle ex colonie l’indipendenza.
Dopo vent’anni, Sankara sostiene che la sorte riservata ai paesi poveri è “la perpetua mendacità come modello di sviluppo”. In altri anni in cui si manifestava un attrito tra Cina e Unione Sovietica sulla politica da adottare verso i paesi del Terzo mondo, Guevara scelse di stare vicino alle vittime secolari della dominazione straniera e, dopo aver criticato nel corso del suo intervento ad Algeri, nel febbraio 1965, la posizione di Mosca, sparì nel nulla per cercare di ripetere le gesta della Sierra Madre nella giungla congolese. La carica di ministro dell’Industria, ormai non faceva più per il suo animo ribelle.
Anche Sankara, rivendicò sempre autonomia dall’Unione Sovietica, accusata di non fare abbastanza per i paesi del Terzo mondo, e denunciò l’aiuto “scandalosamente insufficiente” fornito alla lotta di liberazione dei popoli ancora oppressi:

Per quello che rappresentiamo per l’intera Africa non capiamo questa politica, questa mancanza di interesse, questo rifiuto ad aiutarci da parte di chi dovrebbe farlo. Loro dovrebbero essere dalla nostra parte”.

Nell’ottobre del 1986 Sankara si recò a Mosca: si disse ammirato della Rivoluzione d’ottobre, della sincera volontà di Gorbaciov di risolvere le lacune del sistema socialista. Però invocando la specificità e l’originalità dell’esperienza burkinabè, dichiarò: “La vostra rivoluzione deve molto all’inverno, ma da noi non c’è l’inverno”. Anche il Che aveva sempre sostenuto la necessità di tenere le dovute distanze del blocco socialista e, all’inizio del 1965, così aveva tuonato ad Algeri: “I paese socialisti sono in un certo modo complici dello sfruttamento imperialistico”.
Un centinaio di cubani si recarono quindi volontari a combattere contro l’imperialismo, che all’inizio degli anni ’60 nell’ex Congo belga si manifestava in tutta la sua crudeltà, poco prima dell’aggressione al Vietnam, dove l’intervento straniero avvenne sotto forma di armi e mercenari, tra cui anche cubani veterani della Baia dei Porci e soldati di Rhodesia e Sudafrica. E l’imperialismo, già individuato da José Martì alla fine dell’Ottocento come un pericolo mortale per le piccole nazioni dell’America latina, secondo Guevara, era addirittura “il nemico del genere umano”. Sankara riporta alla tragicità della situazione africana negli anni ’80 il concetto:

L’imperialismo è un sistema di sfruttamento che non si presenta solo nella forma brutale di coloro che vengono con dei cannoni a occupare un territorio, ma più spesso si manifesta in forme più sottili, un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto. Noi stiamo combattendo il sistema che consente a un pugno di uomini sulla terra di dirigere tutta l’umanità”.

E chi combatte il sistema ha vita difficile.
Quando Samkara si recò all’Avana, espresse piena solidarietà alla rivoluzione cubana e, soddisfatto, affermò, davanti a Fidel Castro e Armando Hart:

Noi sappiamo che avremo sempre l’appoggio del popolo rivoluzionario di Cuba e di tutti quelli che hanno abbracciato gli ideali di José Martì”.

Il Burkina Faso e Cuba avviarono una cooperazione in campo agricolo, educativo e sanitario: macchinari per la coltivazione furono inviati a Ouagadougou, medici cubani lavoravano negli ospedali del Burkina Faso, giovani burkinabè studiavano nelle scuole cubane grazie alle borse di studio concesse loro dal governo all’Avana.
Il Burkina Faso fu vicino anche a un’altra rivoluzione che prese il potere anche negli stessi anni: il Nicaragua del Fsln. Che nel 1979 aveva posto fine alla sanguinaria dittatura di Somoza e stava cercando di costruire una società più giusta. In visita a Managua, Sankara che ben conosceva la pericolosità di non soggiacere ai dettami statunitensi (era salito al potere negli stessi mesi in cui a Grenada perdeva la vita Maurice Bishop), esclamò:

Triste Nicaragua, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti: sì, in queste condizioni è proprio difficile vivere liberi”.

Sankara non poteva non ammirare il tentativo del Che di creare solidi legami tra i paesi africani che negli anni ’60 si opponevano all’ingerenza straniera: l’Algeria di Ben Bella, prima del colpo di stato del 19 giugno 1965 che portò al potere Boumadienne; l’Egitto di Nasser; il Ghana di N’krumah; il Senegal di Sénghor; la Tanzania di Nyerere. Sankara non poteva non ammirare lo stoicismo del Che nella sua lotta quotidiana contro l’asma, contro il paludismo e contro la dissenteria. Pur tra mille difficoltà, Guevara riuscì a consegnare una lettera a Winnie Mandela perché la consegnasse al marito, recluso nelle galere sudafricane, dove rimarrà altri venticinque anni. Le sue parole sono pungenti come sempre:

Nelson Mandela in prigione è mille volte più libero, mille volte più felice di quelli che fuori sono consumati dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo o, peggio, servono gli interessi dei nemici del popolo, soprattutto dell’imperialismo arrogante del nostro tempo”.

Ed era l’imperialismo arrogante, senza pudore né limiti che si stava combattendo nel 1965 in Africa centrale. Guevara, sempre nella Carta de despedia scritta a Fidel Castro, lo aveva ricordato:

Sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo e la sensazione di assolvere al più sacro dei doveri: combattere contro l’imperialismo dovunque esso sia”.

Tatu Muganda (così era chiamato il Che in Congo: in swahili Tatu significa “tre”, Muganda “dottore”) si divideva tra la cura degli ammalati e dei feriti, l’educazione e le azioni di vera guerriglia. I suoi sforzi risultarono però vani: il ritiro dalla regione avvenne senza aver portato a termine nulla di concreto. “Creare, due, tre, molti Vietnam”, ripeteva Guevara, che indossati di nuovo i vestiti del Che, cercò di far scoppiare un altro Vietnam nella selva boliviana, dove troverà la morte.
Nel discorso dell’8 ottobre 1987 Sankara però ricorda:

Le idee non si possono uccidere; le idee non muoiono. Ecco perché Che Guevara, incarnazione delle idee rivoluzionarie e del sacrificio di sé, non è morto… Che Guevara, argentino di nascita, ma cubano per l’impegno e il sangue che egli sparse per il popolo cubano, fu soprattutto cittadino del mondo libero – il mondo libero che insieme vogliamo costruire. Ecco perché Che Guevara è anche africano e burkinabè”.
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                COMMEMORAZIONE DI CHE GUEVARA

                                    di Thomas Sankara


L’8 ottobre 1987, una settimana prima di essere assassinato, Thomas Sankara presiedette la cerimonia di commemorazione di Ernesto Che Guevara. Una delegazione cubana, di cui faceva parte il figlio del Che, Camilo Guevara March, fu presente per l’occasione a Ouagadougou.


Ouagadougou, 8 ottobre 1987

Stamane, in modo modesto e semplice, abbiamo aperto la mostra che cerca di riepigolare la vita e il lavoro del Che. Vogliamo oggi dire al mondo che per noi Che Guevara non è morto. Perché ovunque esistono luoghi dove i popoli lottano per la libertà, più dignità, più giustizia, più felicità. Ovunque c’è chi lotta contro l’oppressione e il dominio, contro il colonialismo, il neocolonialismo e l’imperialismo, e contro il sfruttamento di classe.
Cari amici, uniamo le nostre voci a quelli che ovunque nel mondo ricordano il giorno che un uomo chiamato Guevara, con il cuore pieno di fede, inizio la lotta con altri uomini e accese così la scintilla che tanto ha disturbato le forze della prevaricazione e che ha illuminato una nuova era anche in Burkina Faso mettendo in moto una nuova realtà nel nostro paese.
Che Guevara fu tolto di mezzo dalle pallottole imperialistiche, sotto il cielo boliviano. Ma per noi Che Guevara non è morto.
Una delle belle frasi spesso ripetute dai rivoluzionari –dai grandi rivoluzionari cubani- è quella ripetuta da Fidel Castro, l’amico del Che, il suo compagno di lotta, suo fratello. La disse un giorno uno degli ufficiali del dittatore Batista che, benché parte di quell’esercito reazionario e oppressore, fu capace di stringere un’alleanza con le forze che lottavano per il benessere del popolo cubano. I rivoluzionari che avevano appena tentato senza successo un assalto alla caserma del Moncada stavano per essere fucilati dai soldati di Batista. Nell’attimo cruciale, l’ufficiale disse semplicemente: “Non sparate, le idee non si possono uccidere”.
E’ vero, le idee non si possono uccidere; le idee non muoiono. Ecco perché Che Guevara –incarnazione delle idee rivoluzionarie e del sacrificio di sé- non è morto, e voi siete venuti qui oggi, e noi traiamo ispirazione da voi.
Che Guevara, argentino per nascita, ma cubano per l’impegno e il sangue che egli sparse per il popolo cubano, fu soprattutto cittadino del mondo libero – il mondo libero che insieme vogliamo costruire. Ecco perché Che Guevara è anche africano e burkinabè.
Il suo berretto con stella, che egli chiama boina , è conosciuto in tutta l’Africa e tutta l’Africa da nord a sud lo ricorda.
La gioventù senza paura –gioventù assetata della dignità, del coraggio, delle idee e della vitalità che egli simboleggia in Africa- si è ispirata a Che Guevara per bere alla sua fonte, quella fonte di vita che l’eredità rivoluzionaria del Che ha rappresentato per il mondo. Alcuni di coloro che ebbero l’opportunità e l’onore di essergli vicini, e che sono ancora in vita, sono qui fra noi oggi.
Il Che è burkinabè, perché partecipa alla nostra lotta; perché le sue idee ci ispirano e sono iscritte nel nostro discorso di orientamento politico; perché la sua stella è nella nostra bandiera, perché una parte del suo pensiero vive in ognuno di noi nella lotta che quotidianamente conduciamo.
Il Che era un uomo che ha saputo educarci nell’idea che dobbiamo osare aver fiducia in noi stessi, nelle nostre capacità. Il Che è fra noi.
E il Che, per noi, è prima di tutto la convinzione rivoluzionaria, la fede rivoluzionaria… la convinzione che la vittoria è nostra e che la lotta è l’unica nostra risorsa.
Il Che è anche compassione, compassione umana, generosità, sacrificio di sé, che facevano di lui non solo un argentino, un cubano, un combattente internazionalista, ma anche un uomo pieno di calore umano.
Il Che chiede molto a se stesso, con la severità di uno che ebbe la fortuna di nascere in un’abbiente famiglia argentina –non abbiamo niente contro le famiglie argentine- ma seppe voltare le spalle a una strada facile e dire di no alla tentazione mostrando di essere un uomo che fa causa comune con il popolo e con le sofferenze degli altri. Il carattere “severo” del Che è qualcosa che ci dovrebbe ispirare di più.
La convinzione, la compassione umana, il rigore verso se stesso – tutto ciò ha fatto di lui il Che. E tutti coloro i quali sono capaci di combinare in sé stessi tali qualità, anch’essi possono ritenersi dei Che, esseri umani fra gli esseri umani, rivoluzionari fra i rivoluzionari.
Queste fotografie cercano di ritrarre meglio possibile una parte della vita del Che. Malgrado la forza della loro espressione, esse non riescono a parlare del suo animo, la parte più determinante dell’uomo. Le pallottole dell’imperialismo miravano molto più allo spirito del Che che alla sua immagine. La sua fotografia è conosciuta in tutto il mondo, ma dobbiamo sforzarci di conoscerlo meglio.
Andiamogli più vicino, ma non come ad adorare un Dio o l’immagine posta fuori e al di sopra dell’uomo; bensì piuttosto con il sentimento che ci avvicina a un fratello che ci parla e a cui possiamo parlare. Altri rivoluzionari, hanno tratto ispirazione dallo spirito del Che e anch’essi sono diventati internazionalisti, anch’essi, con altri hanno compreso come costruire la fede –nella lotta che cambia le cose- e come combattere l’imperialismo e il capitalismo.
E a te compagno Camino Guevara, non ci rivolgiamo come a un figlio orfano. Il Che è di tutti noi. E’ di tutti noi, in eredità a tutti i rivoluzionari. Non puoi sentirti solo e abbandonato, perché trovi in tutti noi dei fratelli e delle sorelle, amici e compagni. Sei come noi un cittadino del Burkina Faso, perché hai seguito le orme del che, del Che che è padre di tutti noi.
Ricordiamo quindi il Che semplicemente come questo eterno eroe romantico, di un eroismo giovane, fresco e vitale, e al tempo stesso ricordiamo la lucidità, la saggezza e la dedizione che solo esseri profondi e compassionevoli possono avere. Il Che era la giovinezza del diciassettenne, e insieme la saggezza del settantasettenne. Questa combinazione piena di giudizio, dovrebbe essere sempre anche la nostra.
Grazie ai compagni cubani per lo sforzo di essere qui con noi. Grazie a quelli che hanno viaggiato per migliaia di chilometri e attraversato gli oceani per venire in Burkina Faso a ricordare il Che. Grazie a quelli che con il loro contributo personale faranno in modo che questo giorno non sia una mera data di calendario, ma giorni, molti giorni per anni e secoli, durante i quali si griderà che lo spirito del Che è eterno.
Compagni, esprimo la mia gioia nell’immortalare l’ideale di Che Guevara qui a Ouagadougou intitolando a lui questa strada.
Ogni volta che pensiamo al Che, cerchiamo di essere come lui, di far vivere ancora quest’uomo, il combattente. E specialmente, ogni volta che cercheremo di agire come lui, con spirito di sacrificio, respingendo gli agi borghesi che tentano di alienarci, rifiutando il cammino facile, educandoci alla rigorosa disciplina della moralità rivoluzionaria, ogni volta che cercheremo di agire così, serviremo al meglio le idee del Che e le faremo rivivere.

Patria o morte, vinceremo!

Traduzione dal francese di Marinella Correggia

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