CINEMA

venerdì 18 marzo 2011



   LO STATO NAZIONE COME SPETTACOLO POSTUMO


                              di Miguel Martinez



Concludiamo -dopo il bel saggio di Dorato, la lettera di Fontana e l'articolo di Nobile- questo breve numero dedicato all'unità italiana con questa interessante riflessione di Miguel Martinez.



L’altro giorno, tremila “fascisti del Terzo Millennio” di  Casa Pound  hanno sventolato il tricolore per le strade di Bozen/Bolzano, in difesa di un antiestetico monumento in stile Novecento – mussoliniano? staliniano? bengurioniano? – che segna la sudditanza dei sudtirolesi   a Roma.
Al suono assordante di musica rock, i giovani intrusi hanno deposto un notevole numero di rose davanti a un oggetto dedicato a Giuseppe Mazzini.

Vicino a casa mia, invece, c’è un palazzo che, per varie vicissitudini, appartiene quasi tutto a una famiglia allargata di intellettuali democratici, laici e progressisti. E da ogni finestra sventola una bandiera tricolore.
All’edicola, sotto il palazzo, una locandina di uno dei servili micro-quotidiani berlusconiani locali annuncia orgogliosa la Notte Tricolore, una fusione di alpini, crocerossini e oratori liberal che  culminerà con un
meraviglioso spettacolo pirotecnico tricolore. Dopo il corteo storico, per placare la fame spaghettata per tutti presso la sede del Dopolavoro Ferroviario.”
A Roma, la Lista Alemanno regala una bandiera tricolore raccoglismog a chiunque voglia esibirla alla finestra di casa.


Infine, i teledipendenti ci informano che durante il rito più sacro della cultura nazionale, il festival di Sanremo, Roberto Benigni abbia fatto irruzione su di un cavallo bianco, agitando un tricolore. Ignazio La Russa e Nichi Vendola hanno dichiarato il loro entusiasmo per la scenetta. Non conosciamo il parere degli addetti che hanno dovuto ripulire il palco dallo sterco, ma possiamo presumere che fossero extracomunitari e quindi non contano.

Questa caricaturale brodaglia la possiamo capire, solo se ci rendiamo conto di un principio semplice.
Lo Stato Nazione è la sanità pubblica, costruita sui cadaveri e garantita dalla menzogna.
Quando muore lo Stato Nazione, si denunciano i cadaveri, cade il velo della menzogna e finisce la sanità pubblica.
Nel momento dell’agonia, alcuni si attaccano alla difesa ad oltranza della menzogna, mentre la maggioranza osserva indifferente.
Ora, la sanità pubblica è una cosa buona. I cadaveri e la menzogna sono cose cattive. Eppure sono inestricabilmente legate tra di loro. Quindi chi tifa per la sanità pubblica è costretto in qualche modo a rimuovere o a difendere il male; chi condanna il male è in qualche modo complice della distruzione di un bene molto concreto.
Per “sanità pubblica” intendiamo, telegraficamente, un complesso di cose positive che rispecchia i vecchi eserciti di massa.
In cui tante persone, anonime e intercambiabili, venivano tutte nutrite, tutte vestite, tutte usate; ma si pensava anche ai futuri combattenti, ancora inutili, ma da formare; e si prendeva in qualche modo cura dei feriti, degli irrimediabilmente mutilati e dei morti. Lo Stato Nazione, quindi, pensa a lungo termine, e per farlo, si dota di innumerevoli istituzioni anonime che hanno vita propria.
L’esercito di massa, lo Stato Nazione – con scuola di massa, ospedale di massa, trasporti e comunicazioni di massa, pensioni di massa – erano però stretti parenti della fabbrica di massa e del relativo sistema economico.
Ogni Stato Nazione costituiva un sistema economico relativamente chiuso. Relativamente, perché doveva pur pescare le proprie risorse da qualche parte; e quindi lo Stato Nazione o era un impero o cercava di diventarlo.
Uno Stato Nazione, in condizioni normali, tendeva a cooptare il massimo numero di cittadini e a smussare i conflitti interni: ecco perché lo Stato Nazione era tendenzialmente democratico, nel senso che legalizzava e istituzionalizzava i conflitti di ogni sorta.
Ma le “condizioni normali” richiedevano un costante aumento del benessere per i cittadini – il mitico “progresso“; e quindi il saccheggio di risorse dalla natura e dal resto del mondo. Ecco perché, esattamente al contrario di quanto sostengono i neocon, sono state le democrazie e non le dittature a fare la maggior parte delle guerre della storia moderna. Basti pensare alla Francia e all’Inghilterra. [1]
In un momento di grave crisi, lo Stato Nazione, che in fondo è un’istituzione paramilitare, può passare al modello del comando unico. Ecco che abbiamo varie forme di dittatura; che però non durano mai a lungo. Ma lo Stato Nazione rimaneva sempre quello: c’era una chiara continuità, ad esempio, dal risorgimento al fascismo, ma anche dal fascismo alla repubblica. Una continuità che non stava solo nella bandiera o nelle svolte degli opportunisti, ma in un intero modo di affrontare la questione di ciò che oggi si chiama “identità nazionale”.
La continuità si basa su un mito: la Nazione, costruita dal caso politico, diventa un “destino” che proviene da lontane radici, unisce un popolo e si proietta in un futuro sempre migliore. E su questo erano e sono d’accordo Cavour, Mussolini e Napolitano; il popolo reale, molto di meno. Certo, le persone nate in questo paese, da Trento a Trapani, condividono alcune cose, anche se non in misura eccezionale. Insistendo molto su quelle cose, si può anche dire che gli italiani siano un “popolo”; ma perché mai un “popolo” deve diventare uno “Stato Nazione”?

Il problema se lo poneva già Giosuè Carducci:

“A questa nazione, giovine di ieri e vecchia di trenta secoli, manca del tutto l’idealità; la religione cioè delle tradizioni patrie e la serena e non timida coscienza della missione propria nella storia e nella civiltà, religione e coscienza che solo affidano un popolo all’avvenire”.

Alla realtà mancante, ogni Stato Nazione deve quindi supplire con i cadaveri e la menzogna.
Molti di voi conoscerete il libro di Pino Aprile, ,Terroni quindici ristampe nel giro di un anno. Che svela una parte dell’atroce violenza con cui l’Italia è stata costruita. Scrive l’autore:

“io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. ma tante volte, per anni.
E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.
Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico. [...]
Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin”.

Così fu costruita l’Italia; e così la Turchia, così la Francia, così il Messico.
C’è chi si indigna perché si svela questa radicale verità. Io credo che sia un grandissimo bene. Che si sappia con quanto sangue siano impastate le storie che raccontano. Che si sappia cosa hanno fatto, per “costruire l’Italia”, anche agli sloveni, ai sudtirolesi, agli etiopi…
La menzogna dello Stato Nazione non consiste solo nella rimozione dei cadaveri.

La menzogna è resa indispensabile dalla contraddizione di fondo di tutti gli Stati Nazione. Ogni Stato Nazione funzionava allo stesso modo – più o meno gli stessi ministeri, gli stessi programmi scolastici, gli stessi modi di organizzare l’esercito. Ma fingeva di essere radicalmente diverso dal proprio vicino, facendo il pignolo sulla lingua o parlando di eroi del passato morti perché anche il paese in cui erano nati avesse il filo spinato ai confini, dello stesso tipo del paese accanto.
Il culmine di questa menzogna erano ovviamente le bandiere nazionali, tutte diverse, ma tutte della stessa identica misura.
Ma non è vero che “non si sapeva”. Non si voleva sapere. Quando ero ragazzo, raccoglievo piccole pubblicazioni di eccentrici solitari, di destra e di sinistra, che denunciavano la barbarie italiana al Sud; o trovavo qualche anziano che nel Sudtirolo mi raccontasse ciò che aveva subito per mano italiana.

Ciò che è cambiato è che lo Stato Nazione è moribondo, e quindi non è più in grado di imporre la propria menzogna.
Ma non mettiamo il carro davanti ai buoi. Se lo Stato Nazione è in agonia non è per opera di “revisionisti” come Pino Aprile; non è per opera di utopisti anarchici; non è nemmeno per le battute di qualche assessore leghista.
Con le armi, con le tasse e con la programmazione politica, lo Stato Nazione ha costruito il capitalismo nel mondo. La Mano Invisibile non avrebbe potuto controllare il pianeta, senza gli eserciti, gli esattori fiscali e le scuole.
Ma la stessa Mano Invisibile oggi sta spazzando via lo Stato Nazione.[2] Il capitalismo globale non è certo una novità; però negli ultimi decenni, è diventato insieme sistema unico di governo reale e ideologia totalizzante.

Certo, rimangono simulacri, con molti poliziotti per l’ordine pubblico, ma il resto è in via di liquidazione: a pochi chilometri da dove i giovani di Casa Pound manifestavano per un simbolo particolarmente brutto, il Brennero per cui lo Stato Nazione ha fatto morire 600.000 dei propri cittadini non è più custodito da un solo doganiere. L’esercito italiano riceve i suoi ordini da funzionari a Bruxelles, la scuola viene smantellata e venduta e il potere dei politici si misura ormai solo nel numero di prostitute che riescono a comprarsi.
E’ un bene o un male? Il punto importante è che non è possibile esercitare alcuna forma di democrazia in un sistema più grande dello Stato Nazione. E quindi il controllo delle cose viene diviso, nei fatti, tra due realtà.

I fenomeni globali vengono governati dai consigli di amministrazione delle grandi aziende totalitarie, assieme ai loro funzionari nelle istituzioni internazionali.

I fenomeni locali vengono presi in mano, in gran parte, da realtà piccole ed evanescenti. Visto con occhio partigiano, c’è una bella differenza tra un comitato di quartiere che organizza corsi di alfabetizzazione per immigrati, e una ronda leghista; ma in una prospettiva storica, sono entrambi la stessa cosa – il vano tentativo di affrontare fenomeni globali sul piano locale. E uno può facilmente trasformarsi nell’altro: in Italia esistono ormai migliaia di iniziative locali che solo un teologo potrebbe classificare come di “destra” o di “sinistra”.
Crolla la menzogna unica e si apre la strada alla verità, o a molte verità, o alla semplice fantasia. Ma crollano anche la sanità, la scuola e ogni forma di coesione sociale.
La situazione diventa insostenibile, eppure senza alcuna apparente alternativa.
L’immensità della catastrofe si sovrappone alle solite beghe italiche.

Marcello Veneziani, in un commento decisamente discutibile, coglie però un aspetto interessante:

“Per decenni abbiamo visto bandiere rosse al posto di tricolori, abbiamo sentito insulti e visto sputacchiare tutto ciò che evocasse l’amor patrio, abbiamo sentito ripeterci che siamo cittadini del mondo, e ora ve la prendete con i leghisti se gli italiani sono apatici e snazionalizzati?
Ma non sono leghisti i “prof” che insegnano a denigrare il proprio Paese, a rimuovere bandiere, eventi e simboli della tradizione italiana, e disprezzano il suo premier, definendolo arcitaliano… Non è leghista la cultura neoilluminista che secerne ancora veleni su tutto ciò che è nazionale, bollandolo come provinciale, controriformista, oscurantista, antimoderno.
Lasciate stare l’amor patrio, ve ne siete sempre fregati e ora volete tirarlo fuori per attaccare il governo in carica.”

E’ difficile trovare l’aggettivo giusto per definire l’intelligenza di qualcuno che crede che la crisi dello Stato Nazione sia colpa degli insegnanti sessantottini, e non di un governo/impresa che manda truppe in Afghanistan sotto comando USA, favorisce chi delocalizza e ci regala il Grande Fratello come forma suprema di cultura. [3] La scuola pubblica, non Mediaset, “è” lo Stato Nazione; e lo Stato Nazione è il prodotto più concreto dell’illuminismo con cui Veneziani se la prende.
Lasciamo poi perdere l’”amor patrio” che consiste semplicemente nel rimuovere il fatto che questo paese, dal giorno della sua fondazione, ha condotto esclusivamente guerre di aggressione, peraltro con scarsi risultati (Viva Menelik!).

Ma Veneziani coglie bene la natura reattiva e infantile della sinistra italiana: siccome i leghisti, che non contano nulla, per fare scena parlano male del Tricolore (mentre partecipano in pieno al regime romano), allora bisogna fare controspettacolo tirando fuori la bandierina. Assieme a Casa Pound e la Lista Alemanno.

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NOTE

[1] Gli Stati Uniti non si sono mai immaginati come Stato-Nazione, e costituiscono un sistema a parte.

[2] Semplifico radicalmente. Non intendo affatto aderire alla tesi di Toni Negri sulle meraviglie del mondo globalizzato; le disuguaglianze ci sono più che mai, e una parte di queste disuguaglianze è regolamentata dalle frontiere. Che però non hanno più nulla a che vedere con i “sacri confini della Patria”.

[3] E qui finisce, per me, la disputa, se “Berlusconi è fascista”. Certo che sfrutta alcuni meccanismi della psiche italica, come faceva Mussolini; ma Berlusconi non può essere fascista, perché questo missionario dello smantellamento dello Stato è l’esatto contrario di un sostenitore dell’autarchia e della mobilitazione nazionale.
E l’autarchia e la mobilitazione nazionale sono l‘essenza concreta del fascismo.

 17 Marzo 2011
 
dal sito  http://www.megachipdue.info/

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