MARX E LA QUESTIONE EBRAICA
di
Nathan Weinstock
Dal celebre testo di Nathan Weinstock "Storia del Sionismo-Ed.Massari 2006", poi rinnegato dall'autore, pubblichiamo questa riflessione sul saggio di Marx riguardante la questione ebraica.
Quando il giovane Marx scrive “La questione ebraica” (Zur Iudenfrage) nel 1844, il suo pensiero è ancora in piena formazione. Il fondatore del socialismo scientifico, non ancora emancipato spirituale. Nei suoi Manoscritti economici-filosofici scritti nello stesso anno, Marx scopre che l’alienazione del lavoro salariato è la chiave di volta della società capitalistica, gettando così le basi del comunismo.
Occorre osservare che Marx non ha studiato direttamente e personalmente la questione ebraica. La sua dissertazione si presenta come una critica dell’idealismo di Bruno Bauer che aveva dedicato due studi a questo problema nell’ “Allgemeine Liberatur-Zeitung”.
L’analisi di Marx si basa dunque su dati di seconda mano e questo lo si avverte del resto dal carattere astratto del suo studio. Egli conosceva senza dubbio la borghesia ebraica “assimilazionista” della Germania –che era il suo ambiente d’origine- ma ignorava completamente la condizione delle masse ebraiche dell’Europa orientale. E non poteva, ovviamente, prevedere il capitalismo decadente della fase imperialista e le sue ripercussioni sul problema ebraico.
Non sarà questo il caso di F. Engels il quale, circa mezzo secolo dopo –quando l’antisemitismo sarà divenuto uno dei temi prediletti della destra europea -, sottolineerà con soddisfazione l’importanza e la combattività del proletariato ebraico dell’Inghilterra, degli Stati Uniti e di Salonicco. Egli insiste del resto in questo stesso scritto del 1890 –e lo stesso farà Lenin- sul contributo dato dagli ebrei al movimento operaio. (1)
Queste precisazioni definiscono i limiti e le debolezze del tentativo marxiano. La questione ebraica si fonda, infatti, su una premessa estremamente discutibile, che Marx ha mutuato dai giovani hegeliani e da Feuerbach in particolare: l’affermazione cioè che il giudaismo sarebbe la religione dell’egoismo, del commercio e del denaro: in altre parole, lo spirito del capitalismo.
Questa concezione è generalmente ammessa dagli hegeliani di sinistra. Anche Moises Hess, precursore del sionismo, non fa eccezione. Secondo il suo biografo, egli avrebbe del resto “manifestamente ispirato” il saggio di Marx. Nel suo studio del denaro (Ueber das Geldwesen), scritto nel 1844 per gli “Annali franco-tedeschi”, in cui Marx pubblica La questione ebraica, Hess identifica il mondo ebraico con quello dei commercianti e afferma che il compito storico degli ebrei è stato quello di aver liberato nella storia naturale del mondo animale sociale (sozialen Tierwelt) l’animale da preda insito nell’essere umano. (2)
E’ fuor di dubbio che la funzione economica degli ebrei abbia caratterizzato profondamente il loro pensiero religioso. L’evoluzione della dottrina rabbinica relativa all’usura ne dà un eccellente dimostrazione. Così, nella società essenzialmente agraria degli ebrei, o anche durante l’antichità classica, il prestito a interesse era proibito come attestano il Pentateuco e la Mishna (commento orale della Bibbia). Tuttavia la dottrina si farà notevolmente più elastica nell’insegnamento di Maimonide (1135-1204) “Infatti questo ammorbidimento era divenuto necessario a quell’epoca poiché gli ebrei non vivevano più in colonie agricole compatte come quelle della Palestina e di Babilonia dei tempi del Talmud e della Mishna, ma erano stati costretti a diventare mercanti, mediatori e usurai”, si legge nella Jewish Encyclopedia. (3) Le legittimità del prestito a interesse viene ammessa nel Shulkhan Arukh (la Tavola servita, compendio di dottrina) di Joseph Caro (1488-1575). (4) Si potrebbero citare agevolmente moltissimi altri esempi che illustrano il parallelismo tra le trasformazioni sociali e il relativo adattamento della dottrina ebraica.
Ma la semplicistica ipotesi feuerbachiana, secondo cui il giudaismo non sarebbe altro che l’espressione dello spirito di lucro, trascura completamente le rivalità di scuole nell’ambito del giudaismo sin dall’inizio della nostra era: opposizioni che riflettono indubbiamente lo scontro di classi sociali antagoniste (Sadducei, Farisei, Zeloti, ecc.). Essa non permette più di cogliere la straordinaria somiglianza tra la teologia medievale ebraiche e le analoghe correnti cristiane e musulmane. Citiamo, a titolo d’esempio, la setta eretica ebraica dei Caraiti la cui comparsa è contemporanea a quella del movimento musulmano di Mu’tazila, al punto che certi scritti dei primi possono essere confusi con le opere dei secondi. (5) E’ evidentemente nelle contraddizioni della società araba del Medioevo che occorre cercare la fonte principale del conflitto ideologico che porterà allo scisma caraita. Uno storico così poco incline alle interpretazioni materialistiche come Cecil Roth collega tuttavia questo avvenimento direttamente alla “atmosfera di malessere politico (…) propizia ai conflitti religiosi” che regnava nel califfato di Bagdad. Lo stesso autore mette in rilievo il fatto che gli aderenti all’eresia caraita vengono reclutati a decine di migliaia “tra gli ebrei più incolti”, probabilmente cioè nelle classi inferiori. (6) A quel tempo in Egitto i caraiti formano lo strato più miserabile della comunità ebraica.
Aggiungiamo che, nelle opere della maturità, Marx ha espressamente combattuto la teoria dell’ideologia come espressione immediata della struttura e ha insistito sul carattere di mediazione e complesso della sovrastruttura. (7)
Ci sembra più giusto considerare la religione ebraica come l’espressione della coscienza globale degli ebrei nel loro specifico quadro sociale e più precisamente della loro condizione in seno a questa società. I movimenti messianici, per esempio, esprimono in maniera acuta la disperazione di una comunità di mercanti e di artigiani oppressa, condannata dall’emergere di una borghesia autoctona che ne distrugge la ragion d’essere. Una concezione che proprio Marx ha mirabilmente sviluppato nella sua Critica alla filosofia del diritto di Hegel: “La miseria religiosa esprime tutta la miseria reale quanto la protesta contro la miseria reale. La religione è il gemito dell’oppresso, il sentimento di un mondo senza cuore, e insieme lo spirito di una condizione senza spiritualità. Essa è l’oppio del popolo”. (8)
Marx sottolinea subito i limiti di tale emancipazione politica che non è emancipazione umana: “… lo Stato può essere un libero Stato senza che l’uomo sia un uomo libero”. (9) Le libertà istituite dallo Stato non liberano l’uomo. Le critiche dell’emancipazione politica porta così alla costatazione che la questione ebraica si risolve “Nella questione generale dell’epoca”. (10)
Ritornando sul giudaismo, prosegue: “… la capacità di emanciparsi dell’ebreo di oggi è il rapporto del giudaismo verso l’emancipazione del mondo di oggi. Tale rapporto risulta necessariamente dalla posizione particolare del giudaismo nell’asservito mondo odierno”. (11)
Così “la chimerica nazionalità dell’ebreo è la nazionalità del commerciante, in generale dell’uomo di denaro” (12). Ora per Marx , il giudaismo è l’espressione ideologica della funzione economico-sociale specifica degli ebrei (il commercio, il denaro). E’ chiaro quindi che fino ad oggi “gli ebrei si sono emancipati nella misura in cui i cristiani sono diventati ebrei”, nel quadro cioè della generale alienazione capitalistica. La vera emancipazione umana esige la soppressione di questa alienazione: “L’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l’emancipazione della società dal giudaismo”. (13) Nel contesto il giudaismo viene inteso nell’accezione hegeliana di ideologia del bisogno pratico, cioè, per il giovane Marx, del capitalismo. In altri termini, Marx ha dimostrato con una brillante analisi teorica che l’emancipazione degli ebrei è legata al più vasto problema sociale della emancipazione umana.
________________________________________________________________
NOTE
(1) Lettera del 19 aprile 1890 a un corrispondente sconosciuto in K.MARX e F.ENGELS, Selested Correspondance 1846-1895, with Commentary and Notes, London, 1943, p. 471
(2) E.SILBERNER, Moses Hess. Geischichte seines Lebens, Leiden, 1966, pp.181 e 192. Cfr. A.MANOR, La question national, Tel Aviv, s.d., p.75.
(3) The Jewish Encyclopedia, Ktav Publishing House, New York, s.d., voce “Usury”
(4) Ibidem.
(5) I.HUSIK, A History of Mediaeval Jewish Philosophy, New York, 1959, pp. XXIII-XXIV.
(6) C.ROTH, Histoire du peuple juif, 2° ed., Paris, 1956, pp. 179-180
(7) A.GRAMSCI, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, (Opere di Antonio Gramsci, 2) 6° edizione, Einaudi, Torino, 1955, pp. 47-49 (Concetto di “ideologia”p. 230 (in Benedetto Croce e il materialismo storico).
(8) K:MARX, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, in K.MARX-F.ENGELS, Le opere, 2° ed., Editori Riuniti, Roma, 1969, p. 58.
(9) K.MARX, La questione ebraica, in K. MARX-F.ENGELS, Le opere …, p. 82
(10) Ivi, p. 79.
(11) Ivi, p. 103.
(12) Ivi, p. 107.
(13) Ivi. P.104.
Nessun commento:
Posta un commento