CINEMA

lunedì 30 maggio 2011

RIFONDAZIONE COMUNISTA: VENT’ANNI DI STORIA



RIFONDAZIONE COMUNISTA:
VENT’ANNI DI STORIA

di Stefano Santarelli





Una nota storica ed un bilancio politico

Nel dicembre del 1991 nasceva ufficialmente il Partito della rifondazione comunista.
Un partito che ha costituito in questi vent’anni la forza politica più importante e determinante della sinistra radicale e praticamente quasi tutti i comunisti in questo arco temporale hanno transitato sia pure in tempi diversi in questa formazione provocando un enorme turn-over che ha visto centinaia di migliaia di militanti entrare in Rifondazione per uscirne subito dopo. Ed i suoi stessi fondatori e dirigenti come Garavini, Cossutta, Bertinotti, Vendola l’hanno poi abbandonata sia pure in tempi diversi.
Dopo la durissima sconfitta elettorale del 2008, una sconfitta senza precedenti nella storia italiana e della sinistra in particolare, Rifondazione si è avviata probabilmente alla sua scomparsa definitiva, ma già oggi si può tranquillamente affermare che costituisce ormai una forza marginale della società italiana.
Per ovvi motivi il testo che segue è soltanto, e non vuole essere altro che una carrellata veloce sulla sua storia, una storia che comunque merita una pacata riflessione da parte dei rivoluzionari del nostro paese.

La nascita

Una delle conseguenze del crollo del muro di Berlino fu l’annuncio a Bologna tre giorni dopo (12 novembre 1989) da parte di Achille Occhetto , segretario del Partito comunista italiano, della decisione di aprire un nuovo corso politico che prevedeva il superamento del Pci e la nascita di un nuovo partito della sinistra italiana.
Era un annuncio storico visto che riguardava il partito comunista più forte del mondo occidentale, un partito che nel 1989 poteva vantare ben 1.421.230 iscritti e con una enorme influenza in tutta la società italiana. Questo annuncio costituì un vero e proprio shock per tutti i militanti e simpatizzanti del Pci.
Infatti nei due anni seguenti si assisterà ad un durissimo confronto interno, senza precedenti nella sua storia, tra i fautori della trasformazione del Pci in una forza socialdemocratica e i sostenitori invece della conservazione del patrimonio comunista rappresentato emblematicamente da un fiero stalinista come Armando Cossutta.
Durante il XX ed ultimo Congresso del Pci il 3 febbraio del 1991 in una conferenza stampa alcuni dirigenti (Nichi Vendola, Lucio Libertini, Ersilia Salvato, Sergio Garavini, Armando Cossutta e lo scrittore Paolo Volponi) annunciano la decisione di non aderire al nuovo partito nato dalle ceneri del Pci, il Partito democratico della sinistra, costituendo invece il Movimento per la rifondazione comunista. Una settimana dopo al Teatro Brancaccio di Roma in una sala gremita viene presentato questo nuovo movimento e il 5 maggio al PalaEur di Roma in un meeting ancora più affollato questa nuova formazione prende vita.
Può già contare su un discreto numero di parlamentari (12 senatori e 4 deputati). A questi bisogna aggiungere i 4 deputati di Democrazia proletaria che nell’VIII Congresso tenutosi a giugno decide di sciogliersi per aderire al Mrc.
Il 12 dicembre del 1991 si apre il Congresso del Movimento per la rifondazione comunista che decide la sua costituzione in partito.
Questo partito si dimostra profondamente diviso fin dalla sua nascita e possiamo distinguere almeno tre componenti:

1) l’area cossuttiana che dispone di una buona rete organizzativa costituita in più di dieci anni di attività frazionista dentro il Pci e che costituisce la base organizzativa di questo nuovo partito

2) la sinistra proveniente dall’ex Pdup e dalla corrente ingraiana del vecchio Pci, da sottolineare che Ingrao, lo storico punto di riferimento di questa area, restò invece dentro il Pds dimostrando la sua solita ambiguità che ha caratterizzato la vita politica di questo personaggio.

3) l’area della nuova sinistra in cui ormai spiccano le due tendenze trotskiste di provenienza demoproletaria rappresentate rispettivamente da Livio Maitan e Marco Ferrando.

Oltre a queste componenti certamente non va sottovalutata anche la questione anagrafica tra i vecchi militanti e dirigenti formatisi durante la Resistenza e la Guerra fredda e coloro che provengono dai movimenti giovanili del ’68 e del ’77.
Un partito quindi che fin dalla sua nascita si caratterizza per la sua disomogeneità e dal suo “assemblaggio” di varie componenti profondamente diverse fra di loro.
Ma nonostante questa disomogeneità bisogna però anche riconoscere che la nascita di questo partito in quel momento storico caratterizzato dalla sconfitta storica del comunismo sovietico e dalla scomparsa del vecchio Pci rappresentava comunque un fatto enormemente positivo incanalando in un processo unitario le speranze della sinistra radicale del nostro paese.

Il nuovo partito

Il partito che nasce in quel dicembre del 1991 non deve essere assolutamente confuso con il vecchio Partito comunista italiano. Il tanto discusso centralismo democratico che caratterizzava il partito di Togliatti e Berlinguer viene rifiutato proprio perché non corrispondeva alle caratteristiche della neonata Rifondazione, e se venivano proibite formalmente la costituzione di correnti organizzate si manteneva però il diritto di mantenere pubbliche le differenti posizioni politiche.
E’ un partito dove non esiste più una guida carismatica ed un gruppo dirigente indiscusso e di cui i confini organizzativi sono molto elastici nulla quindi a che vedere con il vecchio Pci verticista ed autoreferenziale.
Il primo banco di prova è rappresentato dalle elezioni politiche del giugno ’92 e se sommando i risultati elettorali del Pds e del Prc queste due formazioni perderanno un quarto dei voti del vecchio Pci di cui sono eredi (il Pci alle politiche del 1987 raccoglieva ancora il 26,6% e alle europee del 1989 il 27,6%.) è necessario fare un doveroso distinguo.
Infatti il Pds che ha mantenuto quasi tutto l’apparato del vecchio Pci raccoglierà un risultato in fondo misero (16,1% alla Camera e 17% al Senato) entrando in una crisi di natura, ancora oggi non risolta, non riuscendo a trasformarsi definitivamente in un partito socialdemocratico.
Mentre Rifondazione che non dispone certamente di un apparato come quello del Pds coglie indiscutibilmente un buon risultato: il 5,6% alla Camera prendendo 35 deputati e il 6,5% al senato con 20 senatori. Anche se a questo consenso elettorale di massa non porta Rifondazione a diventare una forza organizzativa adatta alle gravi circostanze politiche in cui è immerso il paese.
Nel congresso del gennaio ’94 dopo l’incolore segreteria di Garavini viene eletto segretario Fausto Bertinotti. La sua segreteria sarà determinante per tutto il futuro di Rifondazione.
Iscrittosi al Prc solo pochi mesi prima e famoso solo per essere il leader della minoranza sindacale della Cgil, Essere Sindacato, e proveniente più che dalla tradizione comunista da quella socialista ed in particolare quella diretta da Riccardo Lombardi, viene catapultato alla Segreteria per la sua unica dote: quella di essere completamente estraneo alle correnti presenti in Rifondazione e quindi con la speranza che la sua segreteria possa superare le divisioni interne.
Con Cossutta presidente del partito si assiste ad una inedita e curiosa diarchia con il neo segretario Bertinotti che avrebbe caratterizzato per molti anni la gestione del Prc.
Intanto nel paese lo scandalo di Tangentopoli provoca il crollo di tutta una intera classe politica e dei suoi storici partiti.
Si giunge quindi alle elezioni politiche del ’94 con un nuovo sistema elettorale maggioritario che porta il Prc ad un “patto di desistenza” al Senato con l’Ulivo. I risultati elettorali però sono quasi identici a quelli di due anni prima e la sua rappresentanza parlamentare sarà praticamente identica nonostante che la crisi della Prima repubblica offriva obiettivamente un terreno favorevole per una forza politica alternativa alla vecchia partitocrazia come Rifondazione. Ma se Rifondazione ha mantenuto la sua forza elettorale queste elezioni vedranno invece il trionfo di Silvio Berlusconi e della sua coalizione elettorale, nasce così quella che impropriamente viene chiamata Seconda repubblica.
Ma la coalizione di Berlusconi è ancora fragile e il suo governo ha una vita dura e breve. E quando la Lega Nord ritirerà il suo sostegno, Berlusconi si troverà costretto alle dimissioni. Si formerà così un governo tecnico guidato dall’ex ministro del Tesoro Lamberto Dini.
La nascita di questo governo porterà Rifondazione alla sua prima gravissima crisi interna.
Infatti il 24 gennaio del ’95 ben 16 dei 39 deputati e 6 degli 11 senatori del Prc rompendo la disciplina del partito diretto da Bertinotti e Cossutta, che si è espresso contro la fiducia al Governo Dini, voteranno invece a favore. Da notare che uno di questi deputati è Nichi Vendola colui che oggi si presenta come il nuovo messia della Sinistra italiana.
E’ ormai evidente che la direzione di Rifondazione non riesce a controllare il suo gruppo parlamentare il quale a sua volta non riconosce più l’autorità della direzione del partito.
La scissione ormai è nell’aria e buona parte di questi parlamentari che hanno votato la fiducia al governo Dini abbandoneranno Rifondazione insieme a tutta una serie di dirigenti storici e deputati, molti di questi di provenienza Pdup come l’ex segretario Garavini, Luciana Castellina, Lucio Magri, per raggiungere la Federazione della Sinistra lanciata da D’Alema poco tempo prima.
E’ una scissione puramente di vertice che non coinvolge né i militanti né il suo corpo elettorale anche se è sintomatica di una debolezza programmatica e di una dimostrazione che il suo corpo dirigente non ha mai rotto con il riformismo che caratterizzava il vecchio Pci.



Le elezioni del ’96 e il primo Governo Prodi

Il Governo Dini aveva in fondo raggiunto il suo scopo ottenendo la riforma pensionistica con l’avallo di Cgil, Cisl e Uil, la stessa riforma che era stata duramente contestata qualche mese prima quando era il Ministro del Tesoro nel Governo Berlusconi.
Si arriva così alle elezioni politiche del ’96 che vedono Rifondazione raggiungere il suo massimo risultato elettorale. Infatti alla Camera ottiene l’8,5% dei voti superando per la prima ed ultima volta i tre milioni di votanti (3.215.960) ed ottenendo 35 deputati, mentre al Senato dove esiste il patto di desistenza in molti collegi con l’Ulivo ottiene 10 senatori.
E’ un ottimo risultato a cui si abbina la vittoria elettorale dell’Ulivo. I voti del gruppo parlamentare di Rifondazione sono determinanti per la sorte del 1° Governo Prodi a cui offre il suo “appoggio critico”.
Il 3° Congresso che si svolge a dicembre sancisce il trionfo della Diarchia Bertinotti-Cossutta con una plebiscitaria vittoria del documento di maggioranza (82,4%). Le uniche voci fuori dal coro sono quella delle due componenti trotskiste di Maitan e Ferrando che convergono in un documento unitario che ottiene il 15,2% le quali vogliono invece una rottura con il governo Prodi.
Ma dietro questa situazione apparentemente positiva si iniziano ad intravedere le prime crepe organizzative. Già nella 1° Conferenza organizzativa del giugno ’97 si denuncia una situazione veramente allarmante: oltre 20.000 iscritti lasciano il partito ogni anno e circa altrettanti vi entrano (o rientrano). E’ un turn-over che caratterizzerà tutta la vita di Rifondazione impedendo una sedimentazione dei suoi militanti e dei suoi dirigenti e la formazione di un pensiero politico omogeneo. Un fenomeno questo che non ha mai provocato nel gruppo dirigente la necessaria riflessione. E non si può non sottolineare il fatto che nessuno dei soci fondatori da Cossutta fino al segretario storico Bertinotti e al suo delfino Vendola è rimasto dentro il Prc.
La prima crisi nel governo Prodi scoppia sulla politica estera e precisamente sulla missione militare in Albania definita dal Prc “un progetto neo-coloniale” che viene però superato con l’appoggio esterno del Centro-destra.
Ma sulla politica finanziaria del governo e di fronte al rischio di una crisi provocata dall’indisponibilità del Prc a votare la legge finanziaria si intravede pubblicamente una frattura tra Cossutta favorevole ad una apertura più impegnativa nei confronti del governo e Bertinotti che vede invece nel rimanere nella maggioranza di governo “un appannamento nella percezione dell’autonomia di Rifondazione” rendendosi quindi simile alle altre forze politiche.
Inizia così uno duro scontro all’interno degli organismi di direzione che culminerà con la rottura del Comitato Politico Nazionale del 3 ottobre ’98. Il documento di Bertinotti su 332 votanti prenderà 188 voti, 112 vanno a quello di Cossutta e 5 al documento dei “pontieri”.
Il giorno dopo Cossutta si dimette dal suo ruolo di Presidente sancendo così la fine della maggioranza che si era delineata al 3° Congresso.
Le dimissioni di Cossutta precedono quella del gruppo parlamentare e 21 dei 34 deputati e 8 degli 11 senatori rompono la disciplina di partito e l’8 ottobre votano la fiducia al Governo Prodi.
Si verifica una rottura tra la delegazione parlamentare e la direzione del partito che ricorda quella avvenuta tre anni prima, ma rispetto alla frattura precedente questa volta è una vera scissione.
Il giorno dopo Cossutta, Diliberto e Rizzo tra gli altri, proclamano la nascita del Partito dei comunisti italiani.
Questa scissione comunque non riuscirà a salvare il governo Prodi che non otterrà la fiducia per un solo voto. Prenderà il suo posto un nuovo esecutivo guidato da D’Alema ed di questo nuovo governo il Pdci sarà parte integrante con due ministri (di cui Diliberto alla Giustizia) e tre sottosegretari.

Il Governo D’Alema e la guerra nel Kossovo

L’ala cossuttiana che abbandona Rifondazione è costituita da militanti e quadri che provengono dal Pci e che hanno un buon radicamento territoriale. Per la prima volta quindi Rifondazione si trova a competere con un rivale che si richiama anch’esso all’identità comunista.
Intanto il Governo D’Alema, primo governo guidato da un ex comunista, si caratterizza subito per i tradimenti agli ideali più elementari della sinistra.
Nella metà di ottobre Rifondazione si attiva in un modo obiettivamente ingenuo se non addirittura incosciente portando in Italia Ocalan laeder del Partito comunista curdo. Il responsabile Esteri del Prc, Ramon Mantovani, vola a Mosca dove si trova Ocalan e accompagna a Roma il laeder curdo che chiede subito asilo politico.
Ma le pressioni turche e statunitensi porteranno il Governo D’Alema a rifiutare l’asilo politico e imbarcare in tutta fretta Ocalan per il Kenia dove reparti speciali turchi riusciranno a rapire il laeder curdo portandolo nel carcere di massima sicurezza di Imrali.
Certo l’iniziativa di Rifondazione è stata come minimo ingenua, ma la decisione del Governo D’Alema è stata vergognosa nella sua violazione dei diritti dell’uomo.
Nel marzo del ’99 viene convocato a Rimini un Congresso straordinario (il 4°) per ridefinire i nuovi assetti interni. E’ il primo congresso del Prc senza Cossutta ed è un congresso in fondo transitorio dopo questa scissione.
Bertinotti viene rieletto alla Segreteria con l’83% dei voti ed è una maggioranza che include anche la componente di Bandiera Rossa diretta da Livio Maitan. La mozione alternativa dell’altra componente trotskista guidata da Marco Ferrando avrà poco più del 16% dei voti che costituisce il miglior risultato ottenuto da questa corrente.
Il Governo D’Alema che vede la presenza del Pdci e dei Verdi riporta l’Italia in guerra per la seconda volta dopo il 2° conflitto mondiale.
Infatti nell’aprile del ‘99 il nostro paese partecipa in prima persona ai bombardamenti della Nato nell’ex Jugoslavia. Il Prc si mobiliterà contro l’intervento militare italiano una mobilitazione che non ci sarà nel 2002 per quello in Afghanistan, evidentemente è più facile fare i pacifisti quando non si sta al governo.
Le elezioni europee del giugno ’99 vedono un pesante ridimensionamento di Rifondazione che prende solo un 4,3% con 4 seggi. Un ridimensionamento che non è tanto dovuto alla presenza della nuova formazione comunista di Cossutta, infatti il Pdci prenderà solo il 2,0% e 2 seggi, ma piuttosto ad un pesante astensionismo del suo elettorato che raggiunge in alcune zone anche il 50%.
Nell’aprile del 2000 D’Alema darà le dimissioni dopo la sconfitta del centro-sinistra nelle elezioni regionali, elezioni che videro Rifondazione presentarsi in una logica tutta interna a questa coalizione con scelte che definire discutibili è dire poco. Infatti in Lombardia il Prc sostiene la candidatura dell’ex segretario democristiano Martinazzoli o l’alleanza in Sicilia con Totò Cuffaro, oggi ospite delle patrie galere per favoreggiamento mafioso, una alleanza voluta e difesa strenuamente da Bertinotti.
Se i risultati delle Regionali videro una ripresa elettorale di Rifondazione come quarto partito italiano con il 5,1% queste scelte politiche molto controverse erano la dimostrazione di scelte politiche opportuniste e proprio per questo perdenti. Oltretutto ad una lettura più attenta di questi dati elettorali dimostra che in realtà l’emorragia di un anno prima non si era fermata e continuerà negli anni successivi.

Partito e movimentismo

Il Governo Amato succeduto a D’Alema ha solo lo scopo di portare il paese alle elezioni anticipate le cui regole impongono a Rifondazione la non belligeranza con il centro sinistra rappresentato delle liste dell’Ulivo. Le elezioni del giugno 2001 però consegnano il paese a Berlusconi con un centinaio di deputati di vantaggio alla Camera che consentiranno al centro-destra di avere un governo che sarà il più longevo della storia della Repubblica. La sconfitta del centro-sinistra favorita da una assurda legge elettorale è comunque netta. Il Pds è sempre più in crisi mentre vi è la sorpresa della lista della Margherita a cui il candidato premier del centro sinistra ha fatto da traino. Ed in questo contesto Rifondazione riesce a superare comunque la sbarramento elettorale del 4% che gli permette la sopravivenza del gruppo parlamentare pur perdendo una perdita secca di un milione e mezzo di voti che non sono giustificati dalla presenza della lista del Pdci.
Ma il vero soggetto del dibattito che contraddistinguerà l’azione di Rifondazione in quegli anni è il rapporto che deve esistere tra il partito ed i movimenti no-global. E’ la miccia è proprio la grande mobilitazione contro il G8 del luglio 2001 a Genova, manifestazione culminata con la morte di Carlo Giuliani ed i vergognosi ed ingiustificati pestaggi che i manifestanti ricevettero dalle cosiddette forze dell’ordine.
Il Prc è l’unica forza politica organizzata presente in questa grande manifestazione, ma non tutto il partito, come la tendenza degli ex cossuttiani dell’Ernesto, aderisce con entusiasmo a questa svolta movimentistica di cui comunque manca un vero e proprio progetto politico.
Il 5° Congresso svoltosi nell’aprile del 2002 risente dell’influenza del movimento no-global che provoca un processo di innovazione culturale e organizzativa senza precedenti nella storia del Prc.
Si decide formalmente il ripudio dell’esperienza sovietica e dello stalinismo e viene finalmente legittimato nello statuto il diritto delle minoranza congressuali ad esprimere pubblicamente il loro dissenso con la formazione di tendenze pubbliche.
Dietro la spinta di Bertinotti l’elemento cardine del rinnovamento culturale per una nuova identità comunista diventa la dottrina della non-violenza abbandonando l’idea leninista dell’avanguardia rivoluzionaria organizzata in partito.
La componente Progetto Comunista l’area diretta da Marco Ferrando, accusa Bertinotti di aver introdotto la dottrina della non-violenza per preparare il partito all’accordo con il centro-sinistra preparandosì così all’eventuale entrata al governo. Come si vedrà il timore di Progetto comunista è ben fondato, ma bisogna anche dire che il pensiero bertinottiano è un vero e proprio guazzabuglio tra pensiero radicale e pacifismo con una ideologia comunista molto anacquata.
In questo disordine teorico si conferma e si rafforza la leadership di Bertinotti mentre la componente trotskista diretta da Maitan firma il documento programmatico di maggioranza permettendo così di ricoprire a molti militanti di Bandiera rossa di ricoprire incarichi importanti: dal quotidiano Liberazione ai Giovani comunisti. Luigi Malabarba diviene capogruppo del Prc al Senato.
Il documento di minoranza presentato da Ferrando che raccoglierà il 12.5% dei consensi denuncia invece profeticamente che la scelta movimentista della maggioranza non esclude assolutamente la prospettiva strategica della partecipazione ad una eventuale governo del centro-sinistra.
Dopo il congresso la battaglia di Rifondazione si incentra nella campagna referendaria sull’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori puntando ad estenderlo anche alle aziende con meno di 15 dipendenti. Rifondazione quindi si getta con tutte le sue forze in questo Referendum svoltosi nel giugno 2003 insieme a circoli no-global, Fiom e sindacati di base. Era però questa già un battaglia persa in partenza: da una parte vi era la nota difficoltà di superare il quorum e dal punto di vista strettamente politico i soggetti direttamente interessati erano una netta minoranza del mondo del lavoro e, cosa certamente non secondaria, la cosiddetta piccola impresa si caratterizza per un carattere il più delle volte familiare quindi non direttamente interessata all’abrogazione di questo articolo.
Tutto questo non poteva che essere ben chiaro ad un vecchio dirigente sindacale come Bertinotti, ma questo personaggio narcisista e come venne definito da un celebre giornalista il parolaio non si preoccupò certo di questa sconfitta annunciata. L’importante era l’esposizione mediatica ed in fondo questa sconfitta nel rallentare la radicalizzazione della base apriva fatalmente la porta ad un accordo con le altre forze del centro-sinistra.
Oltretutto bisogna anche affermare che proporre dei referendum sulle tematiche del mondo del lavoro ha una valenza in fondo antidemocratica proprio perché possono votare tutti e quindi anche i padroni ed i nemici dei lavoratori.
Solo Progetto comunista comprese la strumentalità della battaglia referendaria proposta da Bertinotti ed è solo questa corrente che contrastò con coerenza l’accordo e l’apertura di un negoziato di governo tra il Prc e l’Ulivo per la nuova legislatura chiedendo quindi lo svolgimento di un congresso straordinario.

Il Congresso di Venezia

Nell’autunno del 2003 inizia un dibattito precongressuale che sancirà la svolta più importante e con effetti che alla lunga saranno catastrofici per il futuro di Rifondazione.
Il primo vero scontro avviene con la decisione bertinottiana di promuovere la nascita del Partito della sinistra europea. Un accordo che vede la partecipazione di vari partiti comunisti tra gli altri il Pcf, l’Izquierda Unida spagnola e il Pds tedesco.
Nel gennaio del 2004 la direzione nazionale si divide sul progetto di nascita di questo partito europeo (21 voti a favore contro 17). Contrari sono le tendenze dell’Ernesto, di Progetto comunista e di Bandiera rossa. Diverse sono le motivazioni di queste tendenze l’Ernesto si preoccupa di non rompere con i Pc più tradizionalisti come quello greco o portoghese, mentre il gruppo di Bandiera rossa che non a caso è la sezione italiana della Quarta internazionale punta a mantenere i contatti con la sinistra anticapitalista europea che vede nella Lcr francese la sua espressione più interessante mentre Ferrando denuncia il carattere esclusivamente riformista di questa operazione.
Nel maggio del 2004 a Roma nasce formalmente questo partito con Bertinotti presidente che risulterà in tutta la sua storia nient’altro che una associazione di partiti costituitisi solo per ricevere il finanziamento che spetta a quelle forze che hanno almeno un parlamentare in 6 paesi.
A giugno del 2004 le elezioni europee vedono Rifondazione superare il 6% di voti mentre le liste del Pdci e quella dei Verdi prendono entrambe il 2,4%. Un buon risultato della sinistra radicale a cui va aggiunto il 2% della lista Di Pietro-Occhetto. Con l’Ulivo che arriva al 31% la speranza di potere sconfiggere alla politiche il centro-destra di Berlusconi si fa sempre più concreto.
Bertinotti ormai lancia apertamente la necessità di un accordo politico con l’Ulivo aprendo alla possibilità di una partecipazione diretta di Rifondazione dentro il futuro governo con propri ministri.
Nel marzo del 2005 a Venezia si svolge il 6° Congresso, il congresso sicuramente più duro e traumatico di questo partito. Bertinotti si presenta con il 59% dei consensi pari a 409 delegati. Mentre le varie opposizioni arrivano al congresso con la tendenza dell’Ernesto diretta da Claudio Grassi, che prenderà poi il nome di Essere comunisti, con 181delegati, e le tre minoranze trotskiste con: Progetto Comunista 45- Bandiera Rossa, diretta da Malabarba anch’essa con 45 e che prenderà poi il nome di Sinistra critica- e quella di FalceMartello, uscita da Progetto Comunista e diretta da Claudio Bellotti con 11.
L’atteggiamento di Bertinotti con le opposizioni è durissimo: “Io non sono un segretario di sintesi”, “Il congresso decide con il 51%”. Gli iscritti vengono considerati solo dei numeri e vengono molte volte portati a votare senza la piena comprensione della posta in gioco.
Bertinotti si fa forte anche dell’inaspettato successo di Nichi Vendola come candidato dell’Ulivo nelle primarie per le regionali pugliesi, il quale un mese dopo ancora più sorprendentemente diventerà il Presidente della regione Puglia.
In questo clima, che vede tra l’altro anche l’iscrizione di Pietro Ingrao al Partito, non si fa nessuno sconto alle minoranze incapaci oltretutto tra di loro di unirsi e quindi anche se il congresso vedrà le opposizioni nel loro complesso giungere al 41% non vi sarà nessuna apertura o riconoscimento da parte della maggioranza bertinottiana ormai pienamente lanciata nell’alleanza con l’Ulivo.
Il suo ruolo carismatico contribuisce a ridurre ai minimi termini il carattere collettivo degli organismi dirigenti.
Ed in questa ottica Bertinotti partecipa a ottobre alle primarie dell’Ulivo che vedranno una ottima partecipazione con 4,3 milioni di elettori. Bertinotti si dovrà accontentare di un modesto 14,7 corrispondente al 7% dell’elettorato.
Come afferma giustamente Cannavò questo “congresso segna la fine di Rifondazione comunista immaginata come partito radicale, alternativo al centrosinistra, plurale e rispettoso nella sua vita interna.”



Il caso Ferrando

Le elezioni politiche sono ormai vicine. L’Ulivo presenta nel febbraio del 2006 il suo programma elettorale con un documento di ben 281 pagine che senza tema di smentita gli elettori della colazione del centro-sinistra non hanno certamente letto. Ma se gli elettori giustamente non hanno letto le 281 pagine del programma questo è stato ovviamente letto dai membri della Direzione nazionale di Rifondazione i quali approvano tale programma, ma con una maggioranza veramente risicata: 10 a 9. Una spaccatura come è facile comprendere gravissima a cui risponde come al solito la consueta arroganza di Bertinotti. Una arroganza che non può nascondere comunque la divisione ed il travaglio dentro Rifondazione.
Un travaglio che è ben rappresentato dal caso Ferrando che diventa la prima avvisaglia del cambio di vita interna dentro Rifondazione. E’ giusto ricordare questo episodio in tutta la sua integrità.
Marco Ferrando come abbiamo visto è stato il fondatore ed il massimo esponente della tendenza del “Progetto comunista” la quale è stata sicuramente l’opposizione più coerente e più conseguente dentro Rifondazione.
Durante la formazione delle liste elettorali queste vengono finalmente aperte per la prima volta in modo formale anche alle minoranze congressuali.
Ma i membri del Compitato politico nazionale facenti riferimento a Progetto comunista, ben 10 su 17, ritengono che Ferrando non debba essere candidato proprio per avere un ricambio politico. Una tesi francamente risibile visto che Ferrando non ha mai ricoperto incarichi pubblici dentro Rifondazione. Rimane comunque il fatto che Progetto comunista si spacca intorno sulla candidatura di Ferrando.
La maggioranza dei componenti del Cpn aderenti a Progetto comunista sono per la sua esclusione. Mentre lo stesso Ferrando insieme a Franco Grisolia cioé coloro che sono tra i fondatori di questa corrente rivendicano invece che hanno dalla loro l’appoggio del 70% dei delegati del congresso di Venezia e della maggioranza dei membri dei Comitati federali e regionali del Prc.
Ci troviamo di fronte ad una spaccatura incomprensibile addirittura al resto del partito, dirigenti compresi. Infatti se era pacifico dare a Progetto comunista un collegio sicuro in lista, altrettanto pacifico era darlo al dirigente storico più rappresentativo di questa corrente.
E la segreteria nazionale decide proprio in questo senso.
La conseguenza più immediata è la scissione dentro Progetto Comunista: si costituisce infatti per iniziativa di Francesco Ricci Progetto Comunista- Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori (PC-ROL) che uscirà poi da Rifondazione e nel gennaio 2007 prenderà il nome di Partito di Alternativa Comunista.

Nel febbraio del 2006 il Corriere della Sera pubblica un’intervista a Marco Ferrando che rilascia delle dichiarazioni molto chiare in merito all’attentato di Nassyria del 2003. Ne riportiamo alcuni stralci abbastanza interessanti:

“E la resistenza irachena?

«Questione più complessa. C’è un diritto sacrosanto all’autodeterminazione e a resistere a forze d’occupazione militare che stanno lì per interessi colonialistici. Poi ci sono diverse concezioni, tra movimenti di resistenza popolare e fondamentalisti. E la resistenza popolare armata è cosa diversa dal terrorismo contro la popolazione civile».


Il terrorismo contro i civili. Ma contro i militari?
«La lotta armata contro l’occupazione militare è giusta. Noi siamo per la fusione della rivolta contro l’occupazione straniera imperialistica e le lotte sociali dei lavoratori iracheni».


Quindi è giusto sparare anche sui soldati italiani?
«Noi siamo per la rivendicazione del diritto alla sollevazione popolare irachena contro le nostre truppe. Tutti gli episodi in cui ci sono stati nostri caduti, rientrano in tutto e per tutto nelle responsabilità d’una missione militare al servizio dell’Eni ».


Lei sta dicendo che i nostri soldati morti a Nassiriya erano servi dell’Eni.
«Questo l’ha detto un documento riservato prodotto dal ministero delle Autorità produttive di Antonio Marzano, sei mesi prima della guerra, in cui si sosteneva un interesse attivo dell’Eni ad andare a Nassiriya perché lì c’era la partita del petrolio. E questa è la posizione del 41% di Rifondazione, che non è soddisfatto del programma dell’Unione: dall’Iraq ci si deve ritirare e basta, senza condizioni. Io sono contro qualsiasi missione militare all’estero, nei Balcani come in Afghanistan, con o senza Onu».


Ma a Gaza o in Bosnia, i nostri vigilano su accordi di pace...
«Non esistono interventi militari umanitari o sopra le parti. Sono sempre funzionali a interessi di parte».


Su Israele, non teme d’essere paragonato a uno come l’iraniano Ahmadinejad?
«Ma che cosa dice? Io sto agli antipodi! Non civetto con posizioni antisemite. La rivolta del Ghetto di Varsavia fu fatta anche da trotzkisti. In Israele ci sono amici ebrei che sostengono le nostre posizioni. Molti compagni hanno subìto in Iran galera e torture. Io difendo il diritto degli ebrei all’autodeterminazione. E Hamas è una seria ragione di preoccupazione per i palestinesi. Questo però non toglie che Israele sia uno Stato artificiale. E le mie critiche sono alla sua forma profondamente confessionale, al primato aggressivo del suo apparato militare, al fattore propulsivo del suo espansionismo, alla negazione dei diritti di ritorno e perfino di voto della maggioranza araba».”

Questa intervista come si può ben vedere non dice nulla di scandaloso e oltretutto afferma cose che questo dirigente ha sempre detto. Anche i suoi avversari politici devono riconoscere la coerenza di Ferrando. Ma … apriti cielo!
Il parolaio Bertinotti scopre improvvisamente le posizioni rivoluzionarie di Ferrando e si affretta immediatamente a bollare come “incompatibile” la sua presenza nelle liste del Prc.
Si convoca una riunione della segreteria dopo aver sentito telefonicamente i membri del Cpn.
A onor del vero bisogna dire che i rappresentanti delle altre minoranze di Rifondazione da Grassi per Essere comunisti a Malabarba e Cannavò per Sinistra critica sono assolutamente contrarie alla sua esclusione. Favorevoli invece proprio i rappresentanti di Progetto comunista che daranno poi vita al Pdac.
La segreteria comunque toglie Ferrando dalle liste per mettere la pacifista Lidia Menapace al suo posto la quale verrà poi eletta e da buona pacifista voterà in parlamento tutte le missioni ed i crediti di guerra.
Il gruppo di Ferrando uscirà quindi da Rifondazione per formare il Partito comunista dei lavoratori.
 

Rifondazione al governo

Le elezioni politiche dell’aprile del 2006 consegnano un paese sempre più ingovernabile grazie anche alla nuova legge elettorale approvata nel dicembre del 2005 il cosiddetto porcellum di Calderoli.
Formalmente vince l’Unione che raggruppa tutte le forze del centro-sinistra (da Rifondazione all’Udeur di Mastella), ma con uno scarto alla Camera di soli 24.755 voti rispetto al centro-destra (Unione 19.002.598 – Casa delle libertà 18.997.843).
Il centro-destra praticamente riconferma i voti presi cinque anni prima a dimostrazione che il berlusconismo continua ad avere un’ottima presa sociale.
Rifondazione ottiene un buon numero di parlamentari, ma soltanto grazie ai meccanismi della nuova legge elettorale. Infatti il risultato, nel leggere bene le cifre è abbastanza deludente.
Alla Camera prende 2.229.604 voti corrispondenti al 5,8% e 41 seggi.
Al Senato invece 2.518.624 voti corrispondenti al 7,2% e 27 seggi.
Come si può vedere immediatamente Rifondazione non riesce a prendere il voto giovanile che in teoria la doveva vedere favorita in questo terreno. Rispetto alle elezioni del 2001 aumenta solo dello 0,7% e sotto quel 6% preso invece alle Europee del 2004.
Anche le altre formazioni della sinistra radicale presenti nell’Unione non aumentano i loro voti riconfermando i risultati precedenti.
Insomma una situazione di stallo che conferma un paese diviso a metà ed una Rifondazione che non riesce a fare presa su quello che dovrebbe essere il suo elettorato: i giovani, i lavorati, i disoccupati insomma i ceti sfruttati di questa società.
Questa situazione di stallo era rappresentata in modo evidente dai differenti rapporti di forza tra la Camera ed il Senato. Infatti mentre nella Camera il governo Prodi disponeva di una maggioranza sufficiente, al Senato invece si reggeva solo con pochi voti di scarto garantiti addirittura dai senatori a vita e ricordiamo la grande scienziata Rita Levi Montalcini, oggi centenaria, che era obbligata a recarsi a votare reggendosi sulle stampelle proprio per garantire la sopravvivenza del governo.
Il processo di burocratizzazione del Prc era ormai giunto al suo massimo livello con uno strato di professionisti che iniziava solo a vivere per se stesso e con un ceto dirigente che occupava questi posti per cooptazione e non come espressione delle lotte sociali.
A riprova di questo si inizia la legislatura con l’elezione di Bertinotti alla Presidenza della Camera.
Ricoprire questa carica certamente soddisfaceva l’evidente narcisismo di Bertinotti, ma non corrispondeva certo agli interessi del suo partito. Infatti secondo qualsiasi manuale Cencelli un partito come quello di Rifondazione che era diventato la quinta forza politica del paese ed un alleato fondamentale per l’Ulivo aveva diritto ad una rappresentanza ministeriale adeguata.
Invece il Prc per aver preso la Presidenza della Camera si deve accontentare di un solo ministero per giunta poco rappresentativo come quello della Solidarietà Sociale diretto da Paolo Ferrero, sei sottosegretari ed un viceministro agli esteri (Patrizia Sentinelli).
Si apre con la partecipazione diretta al secondo Governo Prodi la pagina più drammatica nella storia di Rifondazione e che provocherà neanche due anni dopo la scomparsa della sinistra nel parlamento italiano.
Nel luglio del 2006 dopo la manovra del ministro dell’Economia Padoa Schioppa che colpisce duramente gli interessi delle fasce sociali che dovevano essere difese proprio da Rifondazione il problema dell’intervento militare in Afghanistan fa scoppiare tutte le contraddizioni del Prc.
Si deve votare infatti il rinnovo della missione in Afghanistan ed in altri paesi esteri.
La posizione di Prodi era in fondo coerente con le risoluzioni votate in passato dalla sua maggioranza. Ricordiamo che di nuovo che nel Marzo del 1999 il governo D’Alema (composto anche dal Pdci e Verdi) partecipò attivamente ai bombardamenti su Belgrado mentre Rifondazione,come abbiamo visto, si mobilitò attivamente contro l’intervento militare italiano.
Adesso la posizione di Rifondazione cambia proprio per garantire la sopravvivenza del governo, ma quello che è più grave cambia anche la posizione della componente di Sinistra critica la quale dopo la morte di Maitan è diretta da Turigliatto e Cannavò. Infatti mentre alla Camera dove come abbiamo visto la maggioranza era comunque garantita, il deputato Cannavò insieme ai deputati Burgio e Pegolo di Essere comunisti e a Paolo Cacciari e Francesco Caruso eletti come indipendenti nel Prc potevano permettersi di votare contro il finanziamento militare in Afghanistan. Al Senato dove ogni voto era indispensabile per la vita del governo i senatori Turigliatto e Malabarba esordirono votando tutte le missioni militari compresa ovviamente quella afgana.
Qui Sinistra critica offre il massimo del centrismo: con il suo unico deputato vota NO alle missioni militari mentre con i suoi due senatori vota SI. Da notare che sul Libano Sinistra critica non si differenzia dal resto di Rifondazione votando la missione militare contro gli Hezbollah.
Quando però tutte queste contraddizioni iniziano ad essere insostenibili nel febbraio del 2007 il senatore Turigliatto insieme a Fernando Rossi del Pdci si astiene dal voto sulla relazione del ministro degli Esteri D’Alema e ricordiamo che per i regolamenti del Senato l’astensione equivale ad un voto contro. Questo fatto provoca l’immediata espulsione dal Prc di Turigliatto.
Questo non-voto di Turigliatto verrà poi presentato da Sinistra critica come un voto contro la missione militare in Afghanistan a cui invece lo stesso Turigliatto e Sinistra critica avevano dato e avrebbero continuato a dare il proprio sostegno.
Nonostante questa espulsione Sinistra critica non esce da Rifondazione anzi lo stesso Turigliatto voterà ancora la fiducia al governo Prodi. Un voto di fiducia non giustificato più nemmeno da una presunta disciplina di partito visto che Turigliatto ne era stato appena espulso.
Solo nel dicembre dello stesso anno Sinistra critica uscirà definitivamente dal Prc.
Si consolidava così il fallimento storico del progetto politico di Sinistra critica che dopo 15 anni di entrismo nel Pci, l’entrismo in Democrazia Proletaria e gli altri 15 anni di entrismo dentro Rifondazione si ritrova oggi con un piccolo gruppo centrista senza alcun seguito di massa e totalmente ininfluente nella politica italiana.
In ogni caso l’espulsione di Turigliatto preceduta dall’esclusione dalle liste elettorali di Ferrando sono la dimostrazione di un clima interno che non permette più nessuna reale discussione. Come abbiamo già ricordato quando nel 1995 più della metà del gruppo parlamentare di Rifondazione ruppe la disciplina del partito non venne preso nessun provvedimento disciplinare.
Il primo vero schiaffo che Rifondazione prende e che anticipa il futuro fallimento elettorale giunge il 9 Giugno del 2007 in occasione della visita del presidente Bush in Italia. Infatti il Prc organizza, insieme all’Arci e alla Fiom una manifestazione a Piazza del popolo che vede soltanto la presenza di poche centinaia di manifestanti mentre circa 30.000 persone parteciperanno invece al corteo indetto da un fronte composto da sindacati di base, pacifisti, sinistra Cgil, centri sociali, Pcl, Sinistra critica.
E’ ormai la prova visibile della spaccatura tra l’apparato di Rifondazione che difende la sua permanenza al governo e la sua politica imperialista ed un’area di sinistra certamente eterogenea, ma che sia pure confusamente ne vuole prendere le distanze.
I due anni che Rifondazione trascorre dentro il governo Prodi la porteranno fatalmente ad una crisi senza precedenti nella sua storia. Oltre a votare tutte le missioni militari all’estero nonostante i suoi proclami pacifisti il Prc voterà tutte le misure antisociali proposte da Prodi.
Ed è giusto ricordare che oltre a votare a favore delle guerre imperialiste Rifondazione non presentò nessuna legge che potesse rappresentare un avanzamento sociale del nostro paese. Per esempio non avere fatto emanare una legge di riforma della cittadinanza basata ancora oggi, unico paese occidentale, sullo ius sanguinis e che non prevede lo ius soli vale a dire concedere la cittadinanza a chi nasce in territorio italiano come tutti i paesi occidentali, Stati Uniti in testa, è la dimostrazione di un tradimento dei più elementari ideali socialisti. A cui si deve abbinare visto che c’erano anche i Verdi al governo, la legge del divieto di caccia che nel referendum del 1995 raccolse, nonostante non avesse raggiunto il quorum,l’81% dei consensi.
Sono solo due esempi tra i tanti che potremmo citare di leggi che avrebbero, se promulgate, costituito un avanzamento della nostra società. Leggi certamente non rivoluzionarie, ma anzi completamente riformiste. Leggi che non avevano neanche bisogno di nessuna copertura finanziaria.
Insomma questa sinistra radicale costituita dal Pdci, Verdi e di cui Rifondazione è stata sicuramente la forza più caratteristica è stata anche incapace di compiere delle riforme elementari che avrebbero trovato l’appoggio di grandi settori popolari per non dire della stessa Chiesa cattolica.
Come non stupirsi quindi che caduto dopo solo due anni il governo Prodi, caduto non per l’opposizione di Rifondazione, ma solo perché il Ministro della giustizia Mastella uscì dalla maggioranza dopo aver ricevuto un avviso di garanzia; ebbene come non stupirsi che nelle elezioni svoltesi nell’aprile del 2008 questa sinistra radicale (Pdci-Prc-Verdi) che si presentò unita sotto il simbolo della Lista Arcobaleno subì la più grave sconfitta della storia della sinistra italiana prendendo alla Camera solo 1.124.418 voti pari al 3,1% non superando quindi la soglia dello sbarramento elettorale del 4%.
Queste tre forze da sole, senza Sinistra Democratica, avevano preso due anni prima 3.898.460 pari al 6.9% , perdendo quindi più di 2.770.000 voti una débacle elettorale senza precedenti e che ha provocato la scomparsa delle sinistra nel parlamento. Una sconfitta come abbiamo visto dovuta ad una politica filo imperialista la quale ha tradito gli interessi dei lavoratori e degli strati più sfruttati che a parole diceva di rappresentare.



Il Congresso di Chianciano e la Federazione della Sinistra

Il congresso che Rifondazione tiene a Chianciano nel luglio del 2008, il settimo della sua storia, vede per la prima volta questo partito senza rappresentanza parlamentare. E’ un congresso confuso, disordinato, incapace di trarre un bilancio serio ed approfondito sui due anni di permanenza nel governo Prodi.
Un congresso che non riesce a fare una seria autocritica e trarre delle conseguenti lezioni.
Gli applausi calorosi ed il saluto trionfale che vengono riservati all’ingresso di Fausto Bertinotti nel congresso costituiscono elementi da vera psicopatologia politica. Infatti questi onori dato al massimo responsabile del disastro politico ed elettorale di Rifondazione comunista sono al di fuori di qualsiasi logica politica.
In questo congresso si scontrano due uomini del suo apparato e che più di ogni altro, dopo Bertinotti, hanno rappresentato le istituzioni borghesi: l’ex ministro Paolo Ferrero e il Presidente della regione Puglia Nichi Vendola. La mozione di Ferrero appoggiata dalla componente di Essere comunisti di Grassi vincerà contro quella vendoliana, la quale disponeva della maggioranza relativa dei delegati, grazie all’appoggio delle minoranze dell’Ernesto di Fosco Dinucci e di FalceMartello.
Ma questa vittoria congressuale di misura il 53% dei voti (342 delegati su 646) e che elegge segretario Ferrero con solo il 51% dei voti (142 su 280) è la classica vittoria di Pirro.
Infatti la componente vendoliana, che ha preso intanto il nome di Rifondazione per la sinistra, uscirà da Rifondazione per costituire poi Sinistra, ecologia e libertà a cui tra l’altro aderiranno Bertinotti e il precedente segretario del Prc Giordano.
Oggi Vendola viene visto come il nuovo profeta della sinistra ed è una singolare situazione questa poiché stiamo parlando di un dirigente che ha contribuito in prima persona a tutte le scelte nefaste che hanno caratterizzato la storia di Rifondazione. Ma non possiamo sottovalutare che di fronte alla mancanza di una vera alternativa rivoluzionaria la Sel può diventare il punto di riferimento della sinistra radicale.
Per quanto riguarda ciò che resta di Rifondazione ed il suo recente patto federativo con il Pdci che hanno fatto nascere la cosiddetta Federazione della sinistra ci sembra, al contrario che questa unificazione di apparati con lo scopo di fare sopravvivere il proprio ceto di burocratico non abbia di fronte a sé un grande futuro.
Infatti le elezioni europee del giugno 2009 che vedevano questi due partiti unificati hanno portato il 3,4%, dei voti non raggiungendo quindi il quorum del 4%. Ma cosa più importante i voti sono stati veramente pochi (1.038.247) e siamo facili profeti nell’affermare che questa Federazione nata da un accordo burocratico di ciò che resta di questi due partiti non riuscirà a invertire la rotta del loro ormai inarrestabile declino.


13 maggio 2011

Bibliografia


L. MAITAN -     La strada percorsa - Massari Editore 2002

S.BERTOLINO- Rifondazione comunista - Il mulino 2004

S.CANNAVO’- La rifondazione mancata - Edizioni Alegre 2009


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