EDUCARE ALL'ODIO: LA "DIFESA DELLA RAZZA"
(1938 – 1943)
di Loredana Baglio
Umberto Eco, nella sua breve introduzione al libro di Valentina Pisanty (1), chiarisce subito i due elementi fondamentali che hanno permesso la diffusione dell’antisemitismo e del razzismo in Italia. Il primo elemento è rappresentato dalla tesi revisionista che parla di un “antisemitismo blando” del regime fascista, nonostante l’entrata in vigore delle leggi razziali che colpirono soprattutto la popolazione ebrea confinata, a Roma, nel Ghetto del Portico d’Ottavia; vittima non solo delle persecuzioni dei gerarchi fascisti, ma anche delle successive rappresaglie del Maggiore delle SS Herbert Kappler e del boia Erick Priebke.
Il secondo punto è che molti cittadini si opposero all’applicazione delle leggi razziali, aiutando e proteggendo molta parte della popolazione ebrea. Italiani brava gente, insomma! Tuttavia, nonostante l’opposizione di alcuni cittadini e coscienti antifascisti, nel 1938 Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, firmava le leggi razziali, dando così maggior corpo alla già esistente corrente di pensiero razzista ed antisemita italiana, che in quegli stessi anni stava preparando il terreno a più atroci esperimenti segregazionisti.
In questo contesto “La Difesa della razza” una rivista quindicinale di indottrinamento delle masse italiane sulla questione razziale ed antisemita, si pone come punto centrale della costruzione di un quadro sociale, culturale e scientifico che alimenterà tutto il clima intellettuale del regime. La rivista, infatti, pubblicata con il benestare del Ministero della cultura popolare e del Duce, intende proclamare la superiorità della razza italica su quella degli ebrei, ma anche sulle altre etnie non “ariane”. L’individuazione dei tratti caratteristici dell’una o dell’altra razza sono condotti attraverso l’applicazione dei concetti elaborati dall’antropologia e dalla biologia. Nelle pagine della rivista trovano spazio reperti antropologici e somatici : tratti del volto ripugnanti, mostruosi, osceni, abnormi forme del cranio provocati dai matrimoni misti. Tratti somatici che vengono riprodotti a mo’ di logo sulla copertina di tutti i numeri della rivista. La pubblicazione de “La Difesa della razza” dura cinque anni – dall’agosto 1938 al giugno 1943 -. Sono da subito ben chiari gli scopi ed i temi trattati all’interno delle pagine, suddivise in tre sezioni - Scienza, Documentazione e Polemica- Sul primo numero l’editoriale del direttore Telesio Interlandi, affiancato dal segretario di redazione Giorgio Almirante, sottolinea il progetto educativo, pedagogico, e “scientifico” che sosterrà la costruzione e definizione del “problema razziale” in Italia.
Contemporaneamente e, sempre nel 1938, viene redatto il Manifesto degli scienziati razzisti, sottoscritto inizialmente da dieci intellettuali ideologicamente allineati al regime (2), ai quali successivamente si affiancano altri 180 sostenitori, fra cui Alessandro Pavolini, Agostino Gemelli, Rodolfo Graziani, Giorgio Almirante, Pietro Badoglio, Dino Alfieri, Giacomo Acerri, Galeazzo Ciano ed altri ancora. Viene pubblicato, in forma anonima, su “Il Giornale d’Italia” con il titolo “Il Fascismo e i problemi della razza” (15 luglio 1938); successivamente è ripubblicato sul primo numero della rivista “La Difesa della razza” - nella sezione “Scienza” -, uscito il 5 agosto 1938.
E’ interessante ricostruire le circostanze che portarono alla nascita di questa rivista, annunciata da Guido Landra, antropologo all’Università di Roma, con una lettera inviata al Duce, che incontrerà per definire i dettagli del progetto. Inoltre lo stesso Mussolini lo incarica di formare un comitato per lo studio e l’organizzazione della campagna razziale fascista in Italia sotto l’egida del segretario del Partito Nazionale Fascista, Achille Starace e del Ministro della cultura popolare, Dino Alfieri. Da questa collaborazione derivò anche un Ufficio Studi sulla razza, con il compito di contestualizzare i punti che definiscono il concetto di razza. Gli scienziati e gli antropologi misero a punto un documento collettivo, suddiviso in dieci assiomi, conosciuto come il famoso e famigerato “Manifesto della razza” (o “Carta della razza”) pubblicato il 14 luglio 1938 sul “Giornale d’Italia”.
Ma quali sono i punti di questo decalogo? Il primo dice che le razze umane esistono, il secondo afferma che esistono grandi razza e piccole razze, mentre il terzo dice che il concetto di razza è puramente biologico, il quarto specifica che la popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana, il quinto afferma che è una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici, il sesto informa che esiste ormai una pura “razza italiana”, il settimo esorta : “è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti”, l’ottavo dice che è necessario fare una netta distinzione fra i mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte e gli orientali ed africani dall’altra, il nono afferma che gli ebrei non appartengono alla razza italiana, il decimo dice che i caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani, non devono essere alterati in nessun modo.
Apparentemente i sostenitori e sottoscrittori del Manifesto concordano sui punti principali della definizione di razza, ma all’interno della rivista è evidente una scissione fra chi sostiene la tesi che la razza deriva da un fattore biologico, fra chi parla di nazional-razzismo, e chi definisce la razza in termini di razzismo esoterico (in particolare Julius Evola, confutato da Almirante).
In cinque anni di pubblicazione, la tiratura della rivista, passa dai 140-150.000 copie, alle 19-20.00 copie del periodo compreso tra luglio e novembre 1940. Viene diffusa attraverso gli abbonamenti ai lettori e favorendo l’invio alle scuole del Regno. Particolare cura fu data anche alla grafica della copertina che presenta in tutti i suoi numeri un logo fisso con i tratti dei volti delle tre razze umane : la ariana, la semitica e la camitica. Visi che vengono disegnati e separati fra loro : da una parte la razza ariana che assume le fogge di una statua romana, e dall’altra parte c’è la razza camitica, personificata da una testa africana, a cui è affiancata quella semitica, rappresentata da una scultura con i tratti stilizzati di una caricatura.
L’analisi dettagliata delle tre forme di razza e delle loro caratteristiche peculiari sono ben tracciate dai loro propugnatori : Landra parla di un razzismo biologico e ne descrive minuziosamente le caratteristiche in un lungo articolo, mentre lo stesso Julius Evola traccia i connotati della definizione di razzismo esoterico e Giuseppe Maggiore descrive il razzismo psicologico. Tutti, comunque, si scagliano contro la popolazione ebrea e sono concordi nell’affermare che qualunque cosa siano le razze, esse vanno tenute ben separate le une dalle altre, per evitare ogni forma di ibridazione. Per cui gli scienziati razzisti tracciano una catalogazione delle razze in modo da creare una scala gerarchica fra razze superiori e le altre considerate inferiori. Su piano teorico questa suddivisione non pone problemi, ma quando si confrontano alcune razza considerate identiche, cioè ariane, diventa molto difficile riscontrare similitudini somatiche e psicologiche ad esempio fra italiani e tedeschi o fra italiani e giapponesi. Gli identikit individuati comprendono una lunga lista di razza: gli Africani (Pigmei, Etiopi, Boscimani), gli Albanesi, gli Amerindi, gli Australiani, i Cinesi, i Giapponesi, i Corsi, i Finlandesi, le razze dell’URSS, i Francesi, gli Inglesi, i Lapponi, i Lituani, gli Estoni, i Lettoni, i Messicani. Di tutti vengono descritti i volti e le abitudini culturali e psicologiche.
Un discorso a parte è riservato dai redattori della Rivista alla questione della popolazione zingara. Gli Zingari (o Nomadi), sono appaiati agli Ebrei in un articolo firmato da Vincenzo De Agazio. Secondo De Agazio partendo dal presupposto che la prima e più importante forma di sussistenza umana (o la prima forma di economia) sia l’agricoltura, arriva ad affermare che gli Zingari, in quanto Nomadi, non danno alcuna importanza alla proprietà terriera. Quindi sono incapaci di coltivare i campi e per questo motivo non contribuiscono all’accumulazione della ricchezza; essendo incapaci di lavorare la terra (e vivere dei suoi prodotti, anche vendendoli al mercato), sono considerati parassiti, perché vivono mendicando. L’assenza di una vita agricola negli Zingari (che sono di razza orientale) determina in loro anche l’incapacità di sostentarsi attraverso attività lecite. Muovendosi continuamente da un posto all’altro, attraversano l’Europa, non mantengono alcuna proprietà immobile, cercano fortuna altrove. Inoltre sono caratterizzati da uno spirito libero, dall’idea di libertà primitiva, vivono seguendo i loro bisogni naturali, in totale assenza di Leggi e Religioni che li possano guidare nella costruzione di una loro peculiare cultura. La loro prole è quasi sempre meticcia, sono asociali; considerati molto pericolosi in quanto difficilmente distinguibili dagli Europei in quanto, per assimilazione, apprendono usi e costumi del luogo dove vivono. Per queste caratteristiche, un articolo di Landra mette in guardia gli Italiani da “tutti gli individui che vivono vagabondando alla maniera degli zingari”. Ed aggiunge, “gli Zingari si differenziano dalla popolazione italiana perché sono sfaccendati, alieni dall’essere attaccati alla proprietà terriera e alla sua coltivazione. Sono anche privi di senso morale e se avvicinano qualcuno lo rendono indegno”. Tutti gli Zingari dunque vivono mendicando, così come tutti gli Ebrei vivono ammassando oro e denari.
Il secondo bersaglio della rivista sono gli Ebrei, dei quali si evidenziano alcuni atteggiamenti negativi fra cui spicca l’avidità e la cupidigia, difetto sottolineata da Julius Evola in un suo articolo inserito nella sezione “Polemica”, dove sostiene, tra l’altro,anche che agli Ebrei può essere attribuita una particolare “psicologia criminale ebraica”, che si traduce nella tendenza a congiurare, complottare trame insidiose ai danni della razza ariana. Sfogliando le pagine della rivista si possono leggere molti articoli che discutono ed evidenziano i difetti della popolazione ebrea. La maggior parte di essi sono inseriti nella sezione “Polemica” proprio perché gli autori intendono evidenziare il progetto del regime fascista volto a diffondere l’idea più generale che “gli ebrei sono degli eterni parassiti”. Inoltre tutti gli articoli pubblicati prendono spunto – per denigrare gli Ebrei – da argomenti tradizionali come il deicidio o la pratica dell’infanticidio rituale, oppure rispolverano la tesi che gli Ebrei ed i Sionisti, in particolare, esercitano poteri (anche occulti) nel mondo della finanza. Altri articoli trattano di storia e di antropologia. In essi si traccia una “tipologia” fisica e somatica distintiva dell’Ebreo (naso adunco, labbra carnose, mento sfuggente, capelli lanosi ed occhi sporgenti). Sono tutti inseriti nella sezione “Documentazione”, proprio per sottolineare il lavoro di ricerca dei redattori sull’argomento. Altri autori analizzano l’attualità storica, politica ed economica di quegli anni segnalando il contributo che, a loro parere, gli stessi Ebrei danno. Di volta in volta li si accusa di essere “sionisti/massoni/comunisti/capitalisti”. In alcuni articoli si affronta la questione “scientifica”della razza ebrea (tratti somatici, caratteriali, psicologici). Qualcun altro si chiede “cosa fare con gli ebrei dopo la fine della guerra?”. Le soluzioni caldeggiate sono quella di una espulsione di massa della popolazione verso il Madagascar, mentre altri caldeggiano la formazione di uno stato di Israele.
L’ultima parte di “Educare all’odio : “La Difesa della razza” affronta la costruzione e definizione del concetto di “Pura razza italiana”, la cui celebrazione fa da contro altare alla denigrazione degli ebrei, degli zingari e delle altre razze inferiori. Anche in questo caso i redattori della rivista partono dal sesto assioma del “Manifesto della razza” nel quale essi dichiarano che “una razza italiana si è ormai formata da molti millenni”. Ma come si può determinare la purezza della razza italica? Quali radici, quali popoli hanno contribuito alla sua formazione? Per rispondere a queste domande i redattori de “La Difesa della razza” guardano al passato, partendo dall’osservazione di un primo elemento : la Romanità. L’antica Roma è il principale riferimento per i razzisti che desiderano celebrare le “virtù” del sangue italiano attraverso i secoli. L’Urbe è presa a modello e come esempio di quello che sotto il regime fascista tornerà ad essere Roma e l’Italia.
Anche su questo argomento i redattori - Almirante, Evola, Lelj -, si dividono. La questione da risolvere è “quando si è andata formando la genesi della razza italiana?”. Si scarta subito la questione delle varie dominazioni straniere – Longobardi, Unni, Visigoti, Franchi, Arabi, Saraceni; popoli che a detta di tutti gli articolisti, non hanno lasciato alcuna traccia (soprattutto quando ci si riferisce a i Normanni (tipo biologico biondo) ai Saraceni (tipo biologico moro) che hanno occupato l’Italia meridionale e la Sicilia, in particolare. Di essi sostengono Lelj e Giorgio Almirante, non è rimasta che qualche sporadica traccia, che tuttavia, non ha determinato contaminazioni culturali nel carattere e nello spirito con cui si è forgiata la “pura razza italica”.La posizione più complessa è quella teorizzata da Julius Evola che afferma “la nazione italiana è un elite razziale ario-romana dotata di una particolare spiritualità”. La sua tesi sostiene che il concetto di razza si esprima attraverso tre gradi : corpo, anima e spirito. Quindi i caratteri della razza italica sono la virilità, l’eroismo, la solarità. Su questa questione entrano in gioco altri redattori che esaltano la plebe romana (Massimo Lelj) e non il patriziato o l’aristocrazia di cui parla Evola, mentre altre ipotesi sono più concilianti (Mario Baccigalupi) che si appella a Livio per dimostrare che la plebe ed il patriziato romano erano uguali, anche se i patrizi avevano un “pregiudizio” nei confronti della plebe. Per ovviare a queste contraddizioni, Lidio Cipriani risolve il problema richiamandosi a “generici valori romani” che sarebbero ancora presenti nella “razza italiana”. Quindi l’Italia avrebbe proseguito la politica romana non per una precisa scelta programmatica, ma per istinto, come obbedienti ad un impulso “di razza”. Per chiarire meglio il concetto di “romanità” si richiama Caracalla, criticando il suo celebre “Editto”con il quale concedeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero (articolo di Giorgio Almirante, 1939). Un altro redattore, Paolo Emilio Giusti, richiama invece l’Imperatore Costantino VII che avrebbe fatto sposare suo figlio con una figlia del “re d’Italia”, discendente da Carlo Magno, ma cerca disperatamente di affermare, smentendo quanto asserito dal Manifesto della razza, che il sangue decadente dell’Impero romano ormai non c'è più e quindi la razza italica si deve considerare pura.
In questa ridda di ipotesi ed affermazioni controverse, “La Difesa della razza” si trova di fronte ad un problema insormontabile : gli Etruschi, popolazione vissuta nell’età pre romana. Ci si chiede “Sono di razza indoeuropea, quindi ariana, ma la loro lingua non è indoeuropea. Come rimediare a questo problema? Alcuni redattori fra cui Evola affermano che gli Etruschi non sono ariani, o se lo sono vengono definiti “ariani della decadenza”, Il concetto di Evola un po’ oscuro, fa riferimento alla sua posizione esoterica e “mistica” della razza che darebbe vita ad una forte spiritualità della razza italiana – romana. Sulla medesima linea si colloca un articolo di Felice Graziani che riconosce agli Etruschi un origine “misteriosa”, definiti “gente di alta maturità politica e culturale, ma di vitalità biologica limitatissima” Quindi gli Etruschi influenzarono la nascente Roma, ma solo dal punto di vista culturale e politico, perché qualunque fosse la loro origine non avrebbero comunque potuto modificare la “razza” dei popoli italici, essendo molto meno “vitali” (leggi : molto meno virili). Il problema dell’origine ariana o non ariana della popolazione etrusca, rimane quindi aperto ed irrisolto, ma il potenziale lettore de “La Difesa della razza” non si pone certamente domande imbarazzanti rispetto alla superficialità storica e scientifica dei redattori che per chiarire l’origine degli Etruschi prendono a prestito le teorie di Fischer che conclude “visto che la razza degli Etruschi non può collegarsi a nessuna di quelle conosciute, né in Europa né in Asia, né in Africa, bisogna concludere che essa forma una razza a sé ed è caratterizzata da un elemento peculiare del viso : la forma del naso sottile ed adunco.
Inoltre all’interno della rivista altri redattori - Emilio Villa si occupano del problema linguistico degli etruschi che appartenevano “in senso generico” alle lingue indoeuropee, in quanto forma di transizione tra un proto indoeuropeo e un indoeuropeo vero e proprio. La tradizione secondo il quale gli Etruschi sono originari della Lidia (3) riprende la formulazione storica di Erodoto che affermava che una parte dei Lidi, condotti dal fratello del Re Lido, Tirreno avrebbe originato gli Etruschi (4). Anche un altro articolo, quello di Claudio Colosso riprende la teoria di Emilio Villa, ma senza citarlo.
Insomma la “scientificità” con cui viene analizzato il popolo etrusco, la popolazione ebrea o quella Zingara è molto discutibile, ma la questione fondamentale che emerge dalla lettura dell’intera pubblicazione quinquennale de “La Difesa della razza” è il tentativo di piegare l’obiettività dei dati storici e biologici agli usi e alle finalità politiche ed ideologiche del regime di Mussolini e del Ministero della cultura popolare che, come dice chiaramente, Lidio Cipriani intende “ utilizzare a scopi sociali quanto di meglio sappiamo sulle differenze innate delle razze umane”, al fine di costruire una società gerarchicamente ordinata secondo quanto codificato dall’ideologia razzista del regime fascista.
26 Gennaio 2013
dal sito IL PANE E LE ROSE
Note:
1.) Valentina Pisany “Educare all’odio : “La Difesa della razza”, edizione L’Unità, Roma, 2004.
2.) I firmatari del Manifesto della razza e redattori della rivista sono : Lino Basinco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Luigi Pende, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Sabato Visco, Edoardo Zavattari.
3.) Lidia : antica regione della Turchia asiatica. Gli abitanti parlavano il Lidio, una lingua che contiene caratteri microasiatici e indoeuropei.
4.) Fonte Enciclopedia Treccani, voce Lidia. ( www.treccani.it )
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