CINEMA

domenica 16 giugno 2013

GRILLO: I NODI IRRESOLTI di Antonio Moscato




GRILLO: I NODI IRRESOLTI
di Antonio Moscato

Da quando il M5S è entrato in parlamento sembra che tutti i mali dell’Italia dipendano da Grillo. Si è distinto soprattutto il centrosinistra, che non ha mai perdonato al M5S di non avergli regalato i suoi voti per un pateracchio con gli stessi contenuti delle larghe intese, e che cerca di far dimenticare che una proposta accettabile era stata fatta al PD al momento dell’elezione del presidente della repubblica. Accettabilissima, perché tutti i candidati proposti, a partire da Rodotà, non erano così rivoluzionari e antagonisti come anche Grillo e i grillini avevano creduto. Tra loro c’era perfino la pessima Bonino! Ma la proposta era stata rifiutata perché in realtà un bel pezzo del PD voleva fortemente l’intesa con Berlusconi sotto l’egida di Napolitano.

Ora argomento di tutti i giornali, soprattutto di quelli del centrosinistra, sono le vicende interne del M5S, e in particolare la “pretesa” di espellere i dissidenti. Si scandalizzano alcune facce di bronzo, che hanno sempre espulso ogni dissidente che li criticava da sinistra (quelli da destra invece fanno carriera). Anche il PRC, quando non si era ancora diviso in due tronconi, aveva espulso senza esitazione chi come Turigliatto si opponeva alla guerra in Afghanistan, anche se lo faceva richiamandosi ai comuni impegni congressuali …

Questi attacchi continui sono un modo per non parlare di quello che realmente fa il M5S, riducendolo solo alle “beghe sugli scontrini” (frase fatta, utilizzabile in eterno, come se non parlasse di una cosa che gli altri partiti si guardano bene dal fare, documentare le spese fatte perché siano veri rimborsi anziché prebende). Un modo per non parlare delle mozioni sugli F35, o di quella per consentire a chi ha crediti con lo Stato di scalarli dalle cartelle delle tasse, o dell’appoggio di tutto il M5S alla proposta di recupero del Mattarellum fatta dal PD Giachetti, e ignorata da tutto il PD… A me il Mattarellum non piace, ma avevano fatto bene ad accettare una proposta che faceva leva su quanto il PD diceva di voler fare, senza sognarsi minimamente di farlo davvero.

In sostanza il M5S ha deluso una parte dei suoi elettori, ma in genere per eccessi di moderatismo e di adattamento all’ambiente, e perché al di là delle proclamazioni sbruffone sul Parlamento “aperto come una scatoletta di tonno”, ha un bilancio non positivo della presenza nelle istituzioni. In realtà ha tentato senza successo una tattica, quella che doveva portare a un’intesa col PD o una sua parte, ma l’ha tentata male, a volte condita da ultimatismi e dichiarazioni provocatorie, anche se giustamente rifiutava di offrirsi “gratuitamente”, e cercava di ottenere qualcosa in cambio. La responsabilità del fallimento è dell’assoluta indisponibilità della maggioranza del PD a “fare qualcosa di sinistra”, ma l’ha pagata soprattutto il M5S perché la sua presenza in parlamento è risultata così sostanzialmente inutile: da solo non può legiferare, per farlo con altri bisogna costruire un’intesa non facile. Una parte del suo elettorato ha subito poi le pressioni dei vari organi di stampa (“la Repubblica” e “la Stampa” in testa) che fiancheggiano il PD sospingendolo sempre più a destra, e hanno rimproverato ai grillini di non aver concesso benevolmente i loro voti; ma certo un po’ tutti quelli che li avevano votati o avevano salutato con piacere il loro successo sono stati delusi.

In realtà ha pesato anche il vero e proprio apparato del PD, indebolito ma sempre esistente, incapace di spostare settori significativi di opinione pubblica, ma capace ancora di raccogliere un po’ di voti dispersi per un ballottaggio, e di incalzare una forza concorrente in difficoltà (non a caso una parte dei deputati “dissidenti” del M5S sono dell’Emilia Romagna o delle Marche dove pesa l’apparato ereditato dal vecchio PCI).

Comunque non poche delle difficoltà attuali del M5S derivano dalla sua debolezza politica e dalla mancata discussione sulla tattica, apparsa all’improvviso al momento dell’elezione del presidente, ma non esplicitata e spiegata, centrata su un’esaltazione esagerata e immotivata di alcune figure e non su un’analisi seria delle contraddizioni del centrosinistra e dell’origine relativamente più recente della sua involuzione. Ed è stata accompagnata al suo interno da anatemi effettivamente inopportuni nei confronti dei dubbiosi, e reciproche minacce di denunce (è vero che “non sono né di destra né di sinistra” e quindi ignorano la diffidenza nei confronti della magistratura “borghese” a cui la sinistra, quando c’era, non avrebbe mai affidato il compito di dirimere le controversie interne…).

Certo l’elemento chiave è l’assenza di regole chiare: il “non statuto” è poco più di una trovata propagandistica, e forse era sufficiente quando c’erano solo piccoli gruppi affiatati e tenuti insieme da una figura carismatica e dal mito della rete, ma certo non serve per regolare il dibattito in una forza cresciuta rapidamente e proveniente dalle direzioni più diverse, prima che fosse stata chiarita la tattica che si intendeva seguire e definita meglio una proposta politica (tale non era l’affastellarsi di obiettivi di vario genere, senza una priorità e una coerenza interna, nei vari programmi tipo “Agenda Grillo”). In realtà non andava bene neanche prima, perché l’eliminazione della Salsi, di Tavolazzi ecc. era una forzatura non necessaria e possibile solo per l’assenza di regole che delimitassero il potere assoluto del leader massimo (che esistono, anche se non sempre applicate, in qualsiasi costituzione o statuto di partito o di associazione…).

Tanto più che in questi mesi è risultato che se erano fondate le previsioni delle difficoltà che avrebbero incontrato i giovani deputati inesperti muovendosi in un meccanismo corruttore come le istituzioni borghesi, si è verificata anche la debolezza della cultura politica dello stesso Beppe Grillo, che spiega sia gli innamoramenti improvvisi nei confronti di personaggi come Stefano Rodotà o Laura Boldrini, sia le offensive liquidatorie e offensive con cui li condanna quando scopre che non condividono qualche sua esternazione, come era del tutto prevedibile se li avesse conosciuti bene.

Il fatto che ogni suo errore o contraddizione venga sottolineato ferocemente da gente che è stata tranquillamente senza fiatare in un parlamento pieno di Scilipoti e simili, e che li ha tuttora nella propria maggioranza, è naturale e non sorprende, ma non toglie che di errori e di svolte improvvise e impressionistiche Grillo ne ha fatte davvero tante, deludendo anche alcuni suoi sponsor autorevoli e seri, come Dario Fo.

A volte ha sferrato attacchi a “parassiti” come i pensionati o i lavoratori del pubblico impiego, senza curarsi che potevano essere utilizzati come copertura per nuovi tagli a quanto rimane del welfare; ha raccolto una critica qualunquista e di destra alla RAI proponendo di fatto la privatizzazione di molti suoi canali, senza curarsi di chi se ne impossesserebbe e sorvolando sul pericolo che potrebbe giustificare una misura come quella presa in Grecia contro la ERT. L’orrore per i “partiti” lo porta a non capire che questi spesso fanno cose orribili non per la loro “natura” intrinseca, ma perché come il PDL sono nati per servire gli interessi dei capitalisti, o perché – per essere accettati – sono approdati alla stessa logica, come le varie filiazioni dell’antico PCI.

Altre volte invece Grillo ha raccolto proposte avanzate come quella di una sua deputata a proposito della Indesit:

«Bisogna parlare di risarcimento. Se vogliono andarsene che se ne vadano ma lasciando qui in Italia sedi, capannoni, mezzi di produzione, macchine, progetti perché non è roba loro, ma frutto del lavoro e dell’intelligenza collettiva e alla collettività deve rimanere. Introducendo il concetto di "danno alla comunità". Possiamo gestire noi le fabbriche, senza le esigenze e le ingordigie dei consigli di amministrazione si può produrre nel rispetto dei lavoratori e dell’ambiente garantendo a tutti un lavoro e un reddito dignitoso, tutto ciò si chiama “redistribuzione.» (Per il testo integrale rinvio a "Indesit e la delocalizzazione selvaggia")

Questa non è certo una proposta di destra, ed è del tutto condivisibile, ma rischia di finire nel calderone insieme ad altre proposte di tutt’altro segno. Mentre su proposte come questa occorrerebbe fare una campagna sistematica e incessante, e non lanciarla una volta e poi lasciarla cadere. Lo stesso vale per il rifiuto di missioni militari e di spese assurde come TAV e F35: giustissimo, ma da usare non solo per “smascherare” l’ipocrisia del PD rispetto a quei settori della sua base che hanno ancora un po’ di pudore.

Non ho la minima intenzione di dar lezioni al M5S: mi auguro solo che resista alla squallida campagna che vorrebbe che il suo dibattito confuso si concluda con un certo numero di espulsioni, che forniscano un plotone di ascari a un resuscitato centrosinistra. Lo ha detto spudoratamente Bersani, ma anche altri grandi organizzatori di sconfitte come Veltroni si sono affrettati a mettere un’ipoteca su un gruppetto di potenziali dissidenti, chiamati a far da puntello a una politica identica a quella del governo Letta-Alfano, ma senza il fastidio delle bizze dei Brunetta e di Berlusconi.

Il M5S fa bene a rifiutare questa proposta e a denunciare chi ci casca, ma per difendersi efficacemente dovrebbe aprire un serio dibattito sulla situazione politica ed economica, sul programma, sui propri errori (non solo di comunicazione), e soprattutto su come affrontare senza traumi e rotture le differenziazioni che sono inevitabili in una fase difficile e drammatica come questa, affrontata con uno strumento nuovo, e con molti “cittadini” deputati decisamente inesperti. Cioè sui criteri di una effettiva democrazia al suo interno, da non far decidere o controllare né da un leader massimo, né da organi parlamentari o dalla magistratura, ma che deve garantire la discussione tra tutti gli iscritti, magari accompagnata da sondaggi consultivi in rete tra i suoi stessi elettori.

Guai se fosse vero quello che insinua tutta la stampa di regime, e Grillo pensasse davvero di punire il gruppo parlamentare togliendogli l’uso del nome e del logo (personale e brevettato) qualora votasse contrariamente alle sue indicazioni. Sarebbe un pessimo esempio e soprattutto un colpo duro a chi aveva sperato in un deciso contributo del movimento al rinnovamento della vita politica.

16 Giugno 2013

Postilla

Avevo parlato sempre di PD e di centrosinistra come responsabili della pressione sui dissidenti del M5S, ma era una semplificazione. In realtà pare che i “pontieri” più che dalle frange (quasi invisibili) della “sinistra” del PD, provengano dall’area di SEL, e degli arancioni: Sonia Alfano, forse lo stesso De Magistris, e perfino Ingroia, che ha appena subito un torto dagli organi di controllo della magistratura che perfidamente lo spingono verso un campo in cui si muove malissimo: la politica. Spero che non sia vero, perché il povero Ingroia, molto più ignorante di qualsiasi grillino, e attratto irresistibilmente dal centro sinistra, può fare ancora danni. Infatti il progetto che tenta Bersani, Veltroni e i vari “pontieri” è irrealizzabile: anche se riuscisse a mettere insieme una trentina di grillini dissidenti (cosa per ora scarsamente poco verosimile) si scontrerebbe con la fuga immediata di una fetta ben più consistente di senatori del PD che si suiciderebbero piuttosto che fare una cosa di sinistra, e che comunque al suicidio preferiscono senz’altro la distruzione del loro partito. Attenti a certi “astuti” consiglieri, che muoiono dalla voglia di rendersi utili.

Ma aggiungo: È mai possibile che i Ferrero, Diliberto & C., che Ingroia hanno “scoperto”, lanciato e sovrapposto a una modesta ma onesta proposta di raggruppamento di sinistra, ancora abbiano il coraggio di circolare ed aprire bocca?


dal sito  Movimento Operaio


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