RICHARD MATHESON: "IO SONO LEGGENDA"
di Andrea Colombo
In appendice due telefilm scritti da Richard Matheson
Ci sono autori che hanno forgiato l’immaginario di due o tre generazioni e tutti glielo riconoscono perché tutti almeno un po’ li conoscono. Ce ne sono altri che vantano un credito altrettanto cospicuo, ma a saperlo sono in relativamente pochi.
Richard Matheson, scomparso ieri alla bella età di 87 anni, è uno di questi.
Pochissimi hanno fatto quanto lui per trasportare l’horror e il fantastico dalle ombre ottocentesche del gotico nella terra apparentemente luminosa del XX secolo. È lui il vero padre culturale di Stephen King: nessuno, prima di lui, aveva saputo moltiplicare i fattori inquietanti del fantastico calandoli in un contesto di assoluta e persino piatta normalità; nessuno, nella sua generazione, era altrettanto capace di passare da un linguaggio all’altro intrecciandoli tutti e contaminandoli sino a renderli indistinguibili. Come King, scriveva romanzi con la macchina da presa montata su quella da scrivere, sceneggiava film di grandissimo successo con lo spirito del romanziere ed era capace di trasferire la doppia eredità nei codici della allora quasi neonata della televisione.
La serie più nota e riuscita dell’horror moderno, quella dei morti viventi di George Romero, è figlia legittima di uno dei suoi romanzi migliori e più famosi, Io sono leggenda, uscito nel 1954. Protagonista l’ultimo (o quasi) essere umano rimasto su un pianeta popolato dalla versione moderna e imbestialita, priva di ogni seduttività draculesca, di una stirpe vampira e carnivora. Quella storia, portata sullo schermo tre volte senza contare il rimaneggiamento di Romero, era esplicitamente ispirata dal romanzo gotico di Bram Stoker. Solo che Matheson, figlio della grande depressione e poi della guerra fredda, rovesciava i ruoli. A scontare il prezzo salato della solitudine e della diversità, dell'impossibilità di comunicare con un suo simile, non è più il mostro ma il «normale». Ma in un universo in cui il vampirismo è diventato universale, chi è più mostruoso, più sinistramente leggendario, dell'unico essere rimasto «normale»?
Matheson giocava con i generi così come con i linguaggi: horror, fantasy, sci-fi. Ma, anche in questo anticipando King, in ciascuno riproponeva il suo tema ricorrente, molto meno leggero di quanto l’apparenza non rivelasse. I personaggi di Matheson sono sempre soli, non perché privi di rapporti e affetti ma perché precipitati in condizioni esistenziali che non possono essere condivise da nessuno, né in alcun modo comunicate.
Non sono semplicemente soli: sono «unici».
Lo è la «leggenda» che regala il titolo al capolavoro giovanile, ma lo è anche il personaggio di quello più fortunato sul mercato, The Shrinkling Man, del '56, in italiano Tre millimetri al giorno.
Di tanto decresce, senza alcune felicità, il protagonista, e le conseguenze sono facilmente immaginabili. Tutto quel che era quotidiano, banale, tenero o tutt’al più fastidioso diventa un mostruoso pericolo; un gomitolo di lana, l'amato micio, il ragnetto nascosto in qualche dimenticato angolo di una casa diventata all'improvviso grande come un continente. Ma l’incubo vero non è neppure costituito da questa dimensione un tempo rassicurante e che di giorno in giorno sempre più minacciosa. È il muro che, a colpi di 3 mm ogni santo giorno, piano piano lo isola dal resto del mondo, lo separa dalla sua famiglia, lo rende un alieno che ai cui occhi però gli alieni sono gli altri, quegli esseri un tempo amati e affettuosi diventati giganti che potrebbero ingoiarlo, senza neppure accorgersene, come una caramella. Ed è unico, separato da tutti quelli che sino a un attimo prima gli erano simili, anche il protagonista di A Stir of Echoes, del ’58, maltradotto in italiano come Io sono Helen Driscoll. Un esperimento di ipnosi e di punto in bianco un ragazzo come tanti si ritrova, al risveglio, in grado di vedere i fantasmi, leggere nel pensiero, intravedere il futuro. Doni, o dannazioni, che come sempre in Matheson, lo traggono fuori dal mondo di tutti e lo chiudono un universo personale e chiuso, circondato da una barriera di unicità e diversità che rende ogni comunicazione impraticabile.
Norvegese di origine, nato nel Jersey, cresciuto nella Brooklyn della Grande depressione, soldato della guerra mondiale, poi laureato in giornalismo il giovane Matheson continuò a dover sbarcare il lunario in fabbrica anche dopo aver scritto Io sono leggenda. Soldi e successo e possibilità di dedicarsi solo alla scrittura arrivarono solo con Tre millimetri al giorno, ma da quel momento non lo abbandonarono. Da ogni suo romanzo veniva puntualmente tratto un film, quasi sempre con le file al botteghino. Lui stesso dedicava alle sceneggiature, senza mai dimenticare i romanzi e soprattutto i racconti.
Però se si dovesse scegliere una sola opera, un solo lavoro per definire al meglio il suo stile non sarebbe un romanzo e neppure un film, ma una serie televisiva passata non per modo di dire alla storia: l’eccezionale The Twilight Zone (Ai confini della realtà)di Rod Serling.
Tra il 1959 e il 1964, scrisse 14 tra gli episodi più famosi della serie, in ciascuno misurandosi, sempre con successo, col tentativo di calare l’horror e il fantastico, il sovrannaturale, nella quotidianità del Novecento americano. Lungo la strada che aveva aperto si sarebbero poi inoltrati in molti: dall’Ira Levin di Rosemary's Baby all’apoteosi di Stephen King e poi alla truppa foltissima degli innumerevoli discepoli. Perché Richard Matheson, prima e più che ogni altra cosa era un pioniere.
SE UNA BAMBINA PER CASO SCIVOLA IN UN'ALTRA DIMENSIONE
di Federico Ercole
Non ci sono altre opere letterarie che si trasformano in cinema e televisione, con la stessa naturalezza e necessità della metamorfosi di una larva in crisalide, come i racconti, le sceneggiature e i romanzi di Richard Matheson diventano film o puntate per la tv. Con il passaggio da parole a immagine i testi dello scrittore, quando un regista di talento ne percepisce il valore, non perdono la loro identità e si rivelano come visioni a priori laddove ciò che conta e permane è la potenza della storia e non il medium attraverso cui si esprimono. Il concetto narrativo di intreccio assume con Matheson un significato nuovo che anticipa e travolge ogni contemporanea idea di crossmedialità e transmedialità, parole comunque troppo poco eleganti per essere applicate allo stile dell’autore.
Sono numerosi i racconti di Matheson che sono diventati episodi della serie Ai Confini della Realtà, capolavori di tele-cinema come la Bambina Perduta, in cui una bimba scivola nell’altrove di un’altra dimensione che si apre invisibile nella placida realtà domestica di casa sua. Oppure L’Avventura di Artur Curtis, diretto da Ted Post, micidiale e spietato incubo sull’identità. Va ancora citato lo spaventoso Incubo a 6000 metri, horror aereo diretto da Richard Donner con William Shatner aereofobico (in un ribaltamento totale del suo futuro ruolo spaziale del Capitano Kirk di Star Trek) che intravede una creatura mostruosa attentare alla sicurezza del velivolo. Richard Matheson scrisse poi un mirabile episodio stevensoniano proprio per la serie di fantascienza di Gene Roddemberry: The Enemy Within, in cui a causa di un malfunzionamento del tele-trasporto Kirk si sdoppia nella sua versione malefica.
L’esordio cinematografico di una sceneggiatura di Matheson fu nel 1957 con The Incredible Shrinking Man, tratto dal suo racconto Tre Millimetri al Giorno e diretto da Jack Arnold, il maestro della Creatura del Lago Oscuro e Tarantola. La premessa del film è quella paradossale di tante storie dello scrittore: c’è un uomo che, per avere subito delle sinistre radiazioni, inizia a rimpicciolire con lentezza ma implacabilmente.
Se la prima parte del film possiede un andamento realistico e intimista, con i problemi umani del protagonista alle prese con la diminuzione della sua statura, la seconda diventa un’epopea avventurosa. La cantina dove, ormai minuscolo, l’uomo viene accidentalmente gettato dalla moglie, diventa uno scenario epico che trasfigura un piano interrato qualsiasi di una comune casa americana nel palcoscenico di una drammatica e ancestrale lotta per la sopravvivenza.
Sono di Richard Matheson, che può eccellere in qualsiasi genere, dalla fantascienza al western, gli adattamenti melodrammatici e gotici della serie di film da Poe che diresse Roger Corman.
Il romanzo I’m a Legend del 1954 fu una delle fonti di ispirazione che Romero utilizzò per i suoi zombie de La Notte dei Morti Viventi e le orde di vampiri dissennati che vagano affamati per la metropoli anticipano decine di altre pellicole dedicate ai morti che camminano. I’m a Legend fu trasformato in tre film: il primo fu l’eclettico e imperdibile L’Ultimo Uomo sulla Terra del 1964 con Vincent Price, interamente girato in un allucinante scenario romano; poi Occhi Bianchi sul Pianeta Terra del 1971 di Boris Sagal con Charlton Heston; infine il più brutto e meno «mathesoniano», Io Sono Leggenda con Will Smith.
Il film scritto da Matheson che ancora oggi resta insuperato nel narrarci l’incomprensibile e irriconoscibile crudeltà del male assoluto è Duel, diretto nel 1971 con la maestria di un veterano di Hollywood dal giovane Steven Spielberg. Un camion dà la caccia a un’automobile che l’ha superato. Non vedremo mai chi guida il mostruoso veicolo ma con un senso di terrore puro lo possiamo immaginare, come il volto della morte a cui si allude tra le righe di un libro.
da "Il Manifesto" 25 giugno 2013
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