ALLUVIONE IN SARDEGNA: L'IMPUTATO E' IL CAPITALISMO
di Gabriele Ara
“Ed è bizzarro che la natura ci costringa a rimpiangere le azioni che più accanitamente abbiamo cercato” (Antonio e Cleopatra di W. Shakespeare, atto v, scena I).
Non c’è niente di bizzarro invece che gli stessi uomini politici, imprenditori e amministratori che hanno creato il disastro “naturale” ora versino lacrime di coccodrillo.
Come già dicevano Marx non possiamo illuderci di essere i proprietari e dominatori della natura, siamo “i suoi possessori che debbono tramandarla migliorata, come buoni padri di famiglia, alle generazioni a venire” (Il capitale, III libro, cap. 46).
Il capitalismo mostra il suo volto criminale anche nel fatto che mentre servirebbero decine di miliardi per l’assetto idrogeologico in Sardegna e nel resto d'Italia, quasi cento miliardi all’anno vengono regalati alle banche come interessi sul debito pubblico e miliardi vengano investiti per opere come la Tav. Negli stessi giorni in cui si apre il processo per l’alluvione di Capoterra di 5 anni fa dove morirono 4 persone, a distanza di due anni dell’alluvione in Liguria in cui morirono 11 persona questa vicenda conferma che non è la fatalità, o l’imprevidenza della “politica”, ma la logica stessa del sistema capitalista che crea periodicamente queste tragedie, col suo sfrenato consumo del territorio, spinto esclusivamente dalla logica del massimo profitto, anche contro le leggi che le istituzioni capitaliste a volte promulgano, poiché in un sistema mosso dal profitto, le leggi spesso sono solo un impaccio che impedisce la “crescita”.
In Sardegna il settore delle costruzioni è da decenni un pilastro del capitalismo isolano (il 45% degli occupati dell’industria sarda sono nelle costruzioni, il, 7,8% del totale), basti pensare che in piena crisi, tra il 2011 e il 2012 il flusso di mutui per la investimenti residenziali era +151%, in netto contrasto col crollo generalizzato del resto d’ Italia ( -20%) (Dati ANCE, Osservatorio congiunturale industria delle costruzioni, dicembre 2012, pag. 67). A Olbia, la città più colpita in termini di morti, negli ultimi decenni, una sfrenata attività edilizia, spacciata come “progresso e volano dell’occupazione” ha compromesso l’equilibrio idrogeologico delicatissimo, a detta di architetti e geologi, di una zona che il cemento, i profitti e le consorterie elettorali hanno fatto diventare una trappola mortale. Ad Arzachena, che è in cima alle classifiche dei comuni con reddito pro capite una famiglia è morta perchè viveva in una cantina, che consiglieri regionali di centrodestra vogliono regolarizzare come abitazioni.
Ancora ad inizio di ottobre scorso l’Ordine dei geologi sardi avvertiva che l’ 81% dei comuni sardi è a rischio idrogeologico, questo anche in assenza della millantata “piena millenaria” del presidente della Giunta sarda Cappellacci. Solo 3 mesi fa, con la legge regionale 2 agosto 2013, n.21 la Regione Sardegna aveva revocato 1,5 milioni di euro (cifra di per sé già ridicola!) già destinati per la per il P.A.I. (Piano assetto idrogeologico), e oggi Cappellacci e i suoi sodali senza scomporsi minimamente piangono le vittime, e per di più confermano il nuovo piano paesaggistico avversato perfino dalla Direzione per i beni Culturali e il Paesaggio per la Sardegna. Questo piano suona come una beffa crudele per le 18 vittime e le migliaia di sfollati, dato che riporta in auge tutte la speculazione edilizia più dannosa e cinica con le sue norme.
La lotta per un territorio sicuro è indissolubile dalla lotta per la trasformazione socialista della società, solo un governo dei lavoratori, che abbia in mano i grandi capitali industriali e le grandi banche, che socializzi le imprese che licenziano può impedire da un lato i tagli alla sanità, all’istruzione e dall’altro investire per rendere più armonico il rapporto tra urbanizzazione e ambiente.
20 Novembre 2013
dal sito http://www.marxismo.net/
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