CINEMA

giovedì 6 marzo 2014

IL CASO ROSTAGNO 25 ANNI DOPO di Nicola Tranfaglia



IL CASO ROSTAGNO 25 ANNI DOPO
di Nicola Tranfaglia


Ci son voluti ventitrè anni dall'assassinio di Mauro Rostagno per l'attuale processo dinanzi alla Corte di Assise di Trapani. Il giornalista e sociologo torinese era stato ucciso il 26 settembre 1988 nelle campagne trapanesi di contrada Lenzi per le cose che come giornalista diceva in una televisione privata dove da alcuni anni, dopo aver esercitato la professione di terapeuta, e fondato la comunità di recupero per tossicodipendenti Saman lavorava. La tv si chiamava RTC e Rostagno parlava a cinque passi dalla stanza dell'editore dell'emittente Puccio Bulgarella che era uno dei referenti trapanesi di Angelo Siino, ministro dei Lavori Pubblici del capo di Cosa Nostra Totò Riina.
Un destino simile quello di Rostagno a quello di Peppino Impastato ucciso negli stessi anni e sul quale, come per Rostagno, un efficace depistaggio ha impedito per molti anni di avvicinarsi alla verità. Rostagno arrivato in Sicilia, dopo essersi laureato a Trento, l'università in cui avevano studiato personaggi come Adriano Sofri, Guido Viale, Marco Boato, Renato Curcio, Mara Cagol, Giorgio Pietrostefani, Paolo Brogi ed Enrico Deaglio nel 1969 ed era diventato uno dei leader più noti della sinistra extra-parlamentare. Nella tv privata RTC era approdato senza sapere (e come avrebbe potuto farlo) che si era infilato in un ambiente vicino a quella Cosa Nostra contro la quale proprio quell'emittente gli consentiva di parlare ogni giorno. E, a prova ulteriore, che in Italia nelle istituzioni pubbliche contano molto più le donne e gli uomini concreti che ci lavorano molto che le norme astratte di legge che pure esistono, proprio la storia di Rostagno conferma ancora una volta che cosa succede di solito nella penisola.

Nei ventitrè anni tra il brutale assassinio e l'attuale procedimento, alcuni membri dell'Arma dei carabinieri hanno dichiarato che nessuno gli aveva ordinato di seguire la pista mafiosa e l'attuale capo della Dia campana Giuseppe Linares che ha fatto eseguire le indagini sul DNA conducendo alla riapertura del processo e alle accuse precise ai mafiosi Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Virga, detenuto ergastolano, 75 anni, è imputato come mandante. Quanto a Mazzara, 66 anni, è anch'egli detenuto, già condannato all'ergatolo per l'omicidio dell'agente penitenziario Giuseppe Montalto, ucciso negli anni caldi delle stragi siciliane come quelle contro i giudici Falcone e Borsellino.
Decisiva è stata, per il processo di Trapani, la perizia di due biologi, Elenca Carra e Silvano Presciuttini, delle università di Palermo e di Pisa (oltre all'apporto di Paola Di Simone della polizia scientifica di Palermo) che hanno identificato i DNA di Mazzara e di un suo parente, dopo che in precedenza un ufficiale dei carabinieri si era opposto a questo esame e così hanno permesso agli inquirenti di confermare la pista mafiosa e di arrivare (forse proprio il 9 maggio 2014) cioè il giorno in cui in anni diversi Aldo Moro e Peppino Impastato erano stati uccisi a una sentenza limpida e convincente sull'assassinio di Mauro Rostagno.

Quale può essere il commento a una vicenda come questa che ha visto, nello stesso tempo, un gigantesco depistaggio compiuto per più di vent'anni da forze dell'ordine e da gran parte dei politici con responsabilità nell'isola e, di solito, registrato senza commenti dai canali televisivi e dalla maggioranza degli organi di stampa a livello locale e nazionale?
Che l'Italia ha bisogno, con grande urgenza, di riforme profonde nell'amministrazione pubblica come nel funzionamento dell'informazione di massa perchè altrimenti rischiamo magari di superare la crisi economica ma non quella politica,
culturale e morale e in questo caso si tratterebbe di una ripresa effimera, di uno sviluppo apparente, lontano dalla realtà.



4 marzo 2014

dal sito http://www.nicolatranfaglia.com/blog/


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