TRIESTE: ASCESA E CRISI DELLINDIPENDENTISMO
di Davide Fiorini
A Trieste da alcuni anni assistiamo alla ribalta nel panorama politico cittadino del Movimento Trieste Libera (MTL).
Il MTL è un movimento che rivendica l’attualità storica del Territorio Libero di Trieste (TLT), entità territoriale nata dopo la fine del secondo conflitto mondiale posta sotto la giurisdizione delle autorità alleate e delle Nazioni Unite.
Secondo gli indipendentisti i trattati (Londra 1954, Osimo 1975) che sanciscono il passaggio della Zona A all’Italia e della Zona B alla ugoslavia sono da ritenersi nulli. Conseguenza di ciò, con sessant’anni di ritardo, Trieste è ancora da considerarsi territorio libero, e l’amministrazione italiana un amministrazione illegittima.
Oggi il MTL vive però una crisi profonda ce ne ha determinato la scissione in due organizzazioni distinte: il Movimento Trieste Libera che rimane legato alla sua figura di spicco Roberto Giurastante, e il Territorio Libero.
La scissione, che si è consumata con toni parecchio accesi e ha attirato l’attenzione della stampa locale, riflette spinte centrifughe e giochi di potere che i marxisti di questa città devono tenere d’occhio con attenzione.
Crisi, speculazione e malgoverno
Anche a Trieste c’è la crisi. Lo confermano i dati ma ben più importante, lo sente la gente.
La favola di un nord-est in cui le fabbriche non si sarebbero mai fermate si è smontata sotto i colpi della crisi mondiale.
Il problema, a Trieste, è che le fabbriche non ci sono, o perlomeno rappresentano una piccolissima parte del tessuto economico cittadino. Ci sono al loro posto il Porto, il commercio, la pubblica amministrazione e un forte settore finanziario fatto di banche e compagnie assicurative. Tutte attività che dinnanzi alla contrazione generalizzata dei consumi e alla riduzione dei traffici di merci hanno smesso di funzionare come una volta e quindi hanno smesso di creare lavoro ed opportunità di crescita.
Attività non produttive che per continuare a funzionare hanno bisogno, a seconda dei casi, di speculazione, malaffare e corruzione.
E’ nei fatti la crisi della piccola e media borghesia, legata a piccole realtà commerciali e soffocata da tasse, oneri ed incapace di competere in un mercato in cui solo i più grossi possono continuare a produrre e a permettersi di oliare i meccanismi incancreniti dalla crisi con mazzette e amicizie nelle stanze del potere.
Questo è il sostrato su cui il Movimento Trieste Libera ha potuto crescere fino a raggiungere una quota record di simpatizzanti ed iscritti pari a 2500.
L’indipendentismo in realtà triestino non è mai morto nel dopoguerra, ma è sempre rimasto attaccato al seno dello Stato italiano, seno florido in tempi passati.
Con la crisi la debolezza di questo indipendentismo sotto tutela nazionale si è fatta sentire, lasciando un vuoto che è stato presto colmato da un movimento che appunto da quel seno rivendica di volersi separare, conscio che niente più può dare allo sviluppo della città, del suo porto e dell’economia.
In tempi di crisi profonda, il cambiamento del tenore e delle aspettative di vita determina un cambiamento nella coscienza di molti. Cambiamento che determina a volte la volontà di aggrapparsi a qualunque proposta sembri in grado di risolvere i problemi.
Agli occhi di molti, l’indipendenza dall’Italia e dal suo mal governo, ha rappresentato e rappresenta ancora quest’ultima spiaggia, questa speranza.
Si tratta di preoccupazioni importanti, che hanno un giusto fondamento, ma che stanno prendendo il vicolo cieco di un isolamento auto imposto, fuori dalla Storia e che non sposta di un millimetro il problema centrale con cui oggi ci troviamo a fare i conti: la crisi del sistema capitalista.
Non è forse un caso che a Trieste il MTL occupi lo spazio che altrove è occupato dal Movimento 5 Stelle, ovvero lo spazio per un movimento interclassista e populista che organizzando gli strati della borghesia più colpiti dalla crisi rappresenta una vera e propria stampella per il sistema stesso.
TLT: una soluzione sbagliata ad un problema giusto
Come detto, ci troviamo davanti ad un tentativo disperato di salvare capra e cavoli, ovvero di salvare Trieste e la sua crescita economica assieme al sistema che ne ha decretato la crisi: il capitalismo.
L’idea di una territorialità indipendente sotto l’egida dell’ONU risponde all’interesse di classe della borghesia triestina: non pagare le tasse all’Italia, mantenere il surplus economico (qualora esso esista) in confini ristretti e rilanciare il Porto ed il commercio rafforzando il Punto Franco Internazionale, ovvero l’esenzione da dazi e dogane. Non deve sfuggire infatti che assieme all’exploit del MTL è cresciuto, come suo braccio economico, il Movimento Libera Impresa, una confederazione di piccole-medie imprese cittadine che ha garantito al movimento i lauti ingressi economici grazie ai quali il MTL ha potuto costruire la sua propaganda battente e costosa.
C’è inoltre, allo stesso modo in cui è sentito in tutto il resto del paese, un altro problema: liberarsi dalla burocrazia mastodontica e parassitaria dello Stato italiano.
Quest’idea, la ricostruzione del TLT, è perciò sbagliata da due fronti. Dal punto di vista economico perché non fa i conti con il fatto che proprio i meccanismi di accumulazione e concorrenza con cui il sistema ha garantito a molti i propri profitti hanno portato il sistema stesso in crisi.
Da quello politico perché l’entità statale che dovrebbe sostituire l’amministrazione italiana è, secondo i trattati rivendicati come attuali, una forma strettissima di presidenzialismo (forse dovremmo parlare di autoritarismo) in cui la massima autorità del TLT , nominata dal consiglio di sicurezza delle nazioni unite (e quindi non eletta) avrebbe enormi poteri diretti sulla polizia, sul potere giudiziario e sul residuo di democrazia che sarebbe rappresentato dal Assemblea legislativa.
Le divisioni interne
Lo sviluppo caotico e veloce con cui il MTL è apparso nel panorama triestino non può spiegare da solo la spaccatura profonda che lo sta attraversando in questo periodo.
E’ in ultima analisi uno scontro tra i diversi interessi che per alcuni anni hanno convissuto pacificamente all’interno del Movimento.
E’ la resa dei conti sul futuro del TLT e quindi sulla tutela degli interessi in gioco. Come anche per il Movimento 5 Stelle tutti i nodi irrisolti stanno venendo al pettine.
Ciò che rimane di comune è la prospettiva dello stato indipendente. Ciò che è da risolvere, dopo il fallimento dell’Ultimatum all’Italia lanciato qualche mese fa è: come raggiungere la prospettiva fissata?
Al di là delle reciproche accuse ciò che pare evidente è che il nuovo soggetto nato dalla scissione rappresenta un esasperazione dei toni con cui in questi anni si è provato a ristabilire il TLT.
La prima presentazione pubblica del Territorio Libero è avvenuta infatti con il tentativo (per fortuna fallito) di organizzare una manifestazione cittadina attorno alla quale raccogliere volontari per ricostituire la Polizia Civile, una sorta di guardia civica armata.
Si tratta di una proposta chiaramente squadrista in cui i toni da “caccia all’immigrato” sono risultati così sgradevoli addirittura alla Prefettura che ne ha vietato la manifestazione.
Territorio Libero nasce infatti da alcuni elementi del servizio d’ordine di MTL, alcuni dei quali pare fossero vicini agli indipendentisti veneti arrestati perché trovati in possesso di un carro armato artigianale.
Ciò che ha dato forza alla nuova organizzazione è stata però la vicinanza con il Movimento Libera Impresa che a ben vedere dal sito dei cosiddetti “scissionisti” pare aver preso le parti della nuova causa. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che gli scissionisti, per ora in numero di 200, abbiano in poco tempo comperato ed inaugurato una sede nel centro cittadino e garantito un salario ad alcuni militanti a tempo pieno.
Il MTL, per bocca di Roberto Giurastante suo presidente, li accusa inoltre di possesso d’armi, vicinanza con gli ambienti della ndrangheta, del traffico di cocaina e degli elementi occulti della finanza internazionale.
Si tratta di accuse pesanti che preoccupano ma che non possiamo verificare e che servono a Giurastante per ristabilire il suo controllo ferreo sugli indipendentisti triestini.
Se la forza e l’interesse che hanno mosso il MTL prima e il Territorio Libero adesso stanno nell’impresa e nel capitalismo nostrano, la gran massa di manovra arriva dagli elementi della piccola borghesia impiegatizia e da un settore della classe operaia legata al Porto.
Lo sanno bene i dirigenti che hanno in questi anni costruito un radicamento su basi interclassiste tra lavoratori portuali.
Oggi lo strumento con cui il legame si sostanzia è il CLPT (Comitato Lavoratori Portuali Trieste) con cui Libera Impresa sta legando a se alcuni operai.
E’ un comitato che affianca la lotta contro i licenziamenti avvenuti in Porto con la lotta per ristabilire il diritto delle aziende triestine a lavorare indisturbate all’interno del Porto, chiedendo addirittura che ad essere assunti siano preferibilmente lavoratori triestini.
Anche qui la partita è aperta: intervento diretto o propaganda?
Tutto il sistema degli appalti, dei sub-appalti, della precarietà e dello sfruttamento che hanno portato anche ad incidenti mortali sul lavoro, pare invece non essere interesse dell’indipendentismo triestino, più propenso a difendere gli interesse dei vari padroncini delle cooperative portuali che quello dei lavoratori.
C’è poi, legata all’attività del Porto, un'altra questione importante che si intreccia con la geopolitica.
Da che parte stare nello scontro in atto tra le potenze internazionali che dovrebbero garantire, tramite il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’agognata indipendenza di Trieste?
Trieste sarà paradiso fiscale per i capitali NATO, o punto di passaggio per il gas russo?
La domanda, alla quale per ora non è data risposta, dopo la visita a Trieste di Putin (accolto con favore da una parte importante dell’indipendentismo) diventa sempre più importante.
TLT e la sinistra
Il successo del movimento indipendentista è la cartine di tornasole con cui valutare la crisi della sinistra a Trieste.
Una tal forza infatti non può che essere l’altra faccia di una medaglia in cui la sinistra, che avrebbe dovuto organizzare il malcontento generato dalla crisi, non ha saputo dare risposta alcuna ai problemi messi in campo.
In Porto è il fallimento non solo della sinistra politica ma anche di quella sindacale. La propaganda indipendentista ed interclassista funziona tra i lavoratori nella misura in cui le organizzazioni della loro classe non hanno saputo dare risposte ai problemi del lavoro ed anzi si sono rese complici a volte dei problemi stessi.
Oggi, davanti alla crisi apparentemente irreparabile del sistema, crediamo che una sinistra all’altezza di questi problemi o è di classe o non è.
L’interclassismo con cui il capitale lega a sé i lavoratori che sfrutta si combatte con la ricostruzione di una sinistra di classe in grado di dar voce ai problemi del lavoro.
Tutto quello che Rifondazione Comunista e SeL non sono stati in grado di fare in questi anni in cui hanno condiviso i banchi della maggioranza in Comune, Provincia e Regione con il Partito Democratico. La giunta Cosolini è agli occhi di molti la personificazione dell’impoverimento della città, della cessione di Acegas (ex municipalizzata) alla multi utility Hera, dell’applicazione sistematica della spending-review sui servizi pubblici, degli avventurieri che con soldi pubblici speculano sulla Ferriera e sulla salute di operai e cittadini, dei tentativi di distruggere il Porto Vecchio rendendolo terreno di costruzione e speculazione edilizia.
Rompere con il PD su basi di classe significa oggi rompere con i padroni che hanno impoverito i lavoratori, siano essi triestini o no. Significa in ultima analisi prendere le parti dell’operaio della Ferriera in contrapposizione a quelle di Arvedi che ne impoverisce il lavoro e inquina l’ambiente, del portuale contro la cooperativa in subappalto che lo sfrutta, dell’operatore telefonico precario contro l’SWG che applica contratti a ribasso.
La prospettiva invece di un isolamento nell’isola felice, in cui i padroni (triestinissimi, figuriamoci) avranno la possibilità di disporre dei lavoratori come meglio credono, ha un unico antidoto: l’internazionalismo e l’unità delle lotte per il lavoro, la giustizia sociale, contro la guerra è l’imperialismo.
Ristabilire la “legalità” nella nostra città non può essere affare dell’ONU, l’agenzia internazionale che ha coperto i crimini dell’imperialismo americano nel mondo.
Ridare ai lavoratori un programma rivoluzionario, di classe ed internazionalista è il compito di chi ha compreso che l’alternativa che abbiamo davanti non è quella tra l’Italia e il TLT, ma quella ben più tragica tra il socialismo e la barbarie che avanza da ogni parte del mondo e da cui Trieste non sarà immune.
26 Agosto 2014
dal sito FalceMartello
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