CINEMA

giovedì 4 settembre 2014

SULLA SITUAZIONE IN UCRAINA: DUE ARTICOLI DI ALDO GIANNULI




UCRAINA: ATTENTI CHE QUI RISCHIAMO GROSSO
di Aldo Giannuli



Siamo allo showdown della partita ucraina, il momento in cui tutti buttano giù le carte e si vede chi ha il punto più alto. Putin ha deciso di andare giù duro e tagliare ogni esitazione, entra con i carri armati a sostegno della Repubblica del Donetsk. Va da sé che tornare indietro sarebbe molto difficile e potrebbe costargli un crollo di consensi senza pari, sino al punto di doversi dimettere. La Ue, dal canto suo, avendo appena firmato un atto di associazione dell’Ucraina, perderebbe la faccia lasciando mano libera ai russi. Adesso, poi, capiamo il senso della nomina della Mogherini: tanto poi ad esprimere veramente la posizione Ue è Tutsk che già parla di guerra e non confinata alla sola Ucraina. E nessuno si è sentito in dovere di dissentire o almeno rettificare, mentre la Mogherini piange. Si limita a piangere. Ma più di tutti, è la Nato che ha da temere una solenne sconfitta politica se i russi riescono a smembrare l’Ucraina senza colpo ferire: tutti i paesi di recente adesione (Polonia, baltici, Bulgaria, Ungheria e Romania) dedurrebbero che non c’è da fare affidamento sulla Nato nei confronti dei russi.

Certo: l’Ucraina non è un paese Nato e l’alleanza formalmente non sarebbe tenuta ad intervenire per sostenerlo, ma, nei fatti, un mancato intervento suonerebbe come una ritirata per evitare il confronto, con i russi che, a quel punto, potrebbero ritenersi autorizzati a moltiplicare i propri appetiti. E molti richiamano il precedente georgiano del 2008 che sarebbe alla base dell’attuale aggressività russa.

Poco importa quanto queste valutazioni siano fondate, quel che conta è che i partner orientali della Nato ne siano convinti. Dunque, nessuno può fare un passo indietro senza effetti a catena sulla propria credibilità internazionale (e di conseguenza con effetti catastrofici anche all’interno).

Ma come siamo arrivati a questo punto? La questione Ucraina era sul tappeto già da almeno dieci anni, pur lasciando da parte le questioni che portano al momento costitutivo stesso, con la separazione da Mosca nel 1991. Il tacito patto per cui la Russia incassava la separazione di Kiev era quella di una sorta di finlandizzazione del nuovo paese e di garanzie per la popolazione russofona. Diversamente, quei confini, disegnati precedentemente all’interno dell’Urss come partizione amministrativa interna, non avrebbero avuto senso, annettendo a Kiev province che non erano affatto ucraine, ma, a grande maggioranza, russe (come la Crimea e Donetsk). In qualche modo, esse erano il pegno del “non allineamento del nuovo stato.

Invece, a partire dalla “rivoluzione arancione” del 2004, (una “rivoluzione” che ha avuto caratteri di spontaneità, ma che presenta aspetti assai dubbi, per il ruolo coperto delle agenzie informative occidentali), l’Ucraina è andata sempre più scivolando in campo Nato-Ue. Scelta in sé legittima, perché ogni paese deve avere il diritto in ogni momento di riconsiderare la propria collocazione internazionale, ma che comportava fatalmente la divaricazione interna con le province russe ed il peggioramento delle relazioni diplomatiche con la Russia che, per di più, aveva da lamentare i prelievi di gas arbitrati e non pagati dagli ucraini, che abusavano dei loro diritti di transito dei gasdotti verso l’Europa.

Putin aveva già fatto le sue rimostranze a Bush nell’incontro del 4 aprile 2008, avvertendo: “l’Ucraina non è nemmeno uno stato! Che cos’è l’Ucraina? Parte del suo territorio è Europa orientale. Ma l’altra parte, quella più importante, gliela abbiamo data noi!”. E proprio per interrompere i prelievi abusivi di gas ed aggirare la cintura degli “oltranzisti Nato” (come la Polonia) la Russia ha dato mano ai progetti Northstream e Southstream.

Bush, almeno in questo, non fece bestialità e curò sempre di mantenere un rapporto preferenziale con Mosca, anche per evitare che, soprattutto dopo la conclusione del patto di Shangai, essa si riavvicinasse troppo a Pechino. E pertanto assunse una posizione sfumata e di mediazione nel conflitto che covava.

Ma, nel gennaio 2009, arrivava alla Casa bianca Obama (il noto premio Nobel per la pace a futura memoria) che, rovesciando l’impostazione del suo predecessore, decideva di mettere nell’angolo la Russia, tentando maldestramente di agganciare un rapporto preferenziale con Pechino (tentativo poi finito nel nulla), e insieme,, altrettanto maldestramente, di distendere i rapporti con il mondo islamico (altro buco nell’acqua) ed, alla fine, di rilanciare la leadership occidentale ricucendo con gli europei.

In particolare, l’amministrazione Obama si gettava nel tentativo di bloccare in tutti i modi il progetto Southstream, riuscendo ad insabbiarlo, e rimettere in discussione le forniture russe alla Ue. Ma, con ciò stesso, ponendo le premesse per il riavvicinamento russo-cinese (magnifico risultato per il premio Nobel per la pace!).

Che tutto questo avrebbe fatto precipitare i rapporti fra Russia ed Ucraina, era nella natura delle cose e non era affatto difficile prevederlo. E diversi analisti lo avevano previsto (scusate l’autocitazione: lo avevo previsto persino io, nel mio piccolo, in “2012: la grande crisi”). Il che significa che bastava analizzare le notizie su fonti aperte per capirlo.

Ma gli americani devono aver pensato che Putin non avrebbe spinto così avanti il gioco e che sarebbero bastate le sanzioni economiche e qualche manovra sul Rublo per indurre l’autocrate del Cremlino a più miti consigli. Il che significa due cose: primo che gli americani hanno una fiducia sconfinata nella capacità di mantenere l’ordine mondiale attraverso i soli meccanismi finanziari, secondo, che non hanno capito niente della natura del regime russo e delle caratteristiche psicologiche personali di Putin.

Di fatto, ora siamo in questo cul de sac, che si fa? A quanto pare, la Nato sta allestendo una forza di intervento rapido di 4.000 uomini super addestrati e super armati per contrastare l’avanzata russa. Non mi pare una mossa particolarmente geniale: 4.000 uomini, per quanto “speciali” ed armati, non mi sembra che siano in grado di alterare i rapporti di forza in campo, tenuto conto che i russi non ci metterebbero niente a spedirne altri venti o trentamila, prima ancora che la Fir della Nato tocchi terreno. A meno che non si pensi all’uso di armi non convenzionali. Ma, allora, saremmo ad un passo dalla guerra aperta e totale. Ma non crediamo che nessuno (o forse il solo Tutsk) pensi a questo. E qui già si pone una domanda: se i russi travolgono la Fir e fanno tagliatelle degli ucraini, che succede? La scelta sarebbe solo quella fra la guerra aperta o incassare una sconfitta sul campo che avrebbe effetti molto peggiori di un non intervento adesso.

E dunque va presa in considerazione l’idea di accettare la guerra aperta con la Russia, con tutti i rischi, anche nucleari, che questo comporta.

Non sono un pacifista ad oltranza, di quelli alla “pace di Monaco”, per intenderci, e penso che certi pacifismi portino solo a guerre peggiori, come, appunto, accadde nel 1939. Putin non mi sta affatto simpatico e dò un giudizio negativissimo del suo regime: Ammetto che ci siano questioni di principio, per le quali non ci si può sottrarre anche ad un conflitto armato. Ma è proprio questa la situazione in cui rischiare una guerra per questioni di principio? E quali sarebbero? Il rispetto del diritto internazionale? Dopo i precedenti dell’Iraq, Afghanistan, Kossovo, Libia…? Non mi pare il caso di toccare questo tasto. Certo il gesto di Putin va condannato perché è il primo che, dall’esterno, mette mano alle armi e spinge verso una guerra internazionale. Però va anche detto che il governo di Kiev, che ospita fra i suoi sostenitori quei gentiluomini di Pravy Sektor, responsabili della strage di Odessa (troppo presto dimenticata), non ha mai offerto alcun margine di trattativa sulla questione ed i suoi sostenitori esterni (Nato, Ue, Usa) non hanno mai cercato di aprire un discorso anche solo per offrire a Putin una onorevole via di uscita. Soprattutto, nessuno ha mai preso in considerazione l’idea che se l’Ucraina avesse voluto cambiare collocazione internazionale, doveva accettare di ridiscutere i suoi confini che erano stati fissati sulla base di una sua diversa collocazione internazionale. E la cosa andava trattata.

Tutto è stato condotto all’insegna del più rozzo oltranzismo.
Soprattutto, a nessuno è mai venuto in testa di consultare le popolazioni interessate, in omaggio al principio dell’autodeterminazione dei popoli. Posso capire che il referendum con il quale la Repubblica di Donetsk si è autolegittimata susciti molti dubbi e perplessità, va bene, ma allora si poteva riproporre un referendum sotto controllo Onu.

Né sta scritto da nessuna parte che gli attuali confini statali debbano essere immutabili sino alla fine dei secoli. E perché mai?

Ed allora, di quali ragioni di principio si parla?
La verità è che questioni di principio che giustifichino una guerra (e quale guerra!) non ce ne sono. Si tratta di mere valutazioni politiche, per di più… sbagliate. Ma di questo parliamo domani.

2 settembre 2014






UCRAINA: LE RAGIONE DEI RUSSI
di Aldo Giannuli

(Con preghiera vivissima, prima di commentare, di leggere il pezzo per intero e non limitarsi alle prime righe)



Diversi intervenuti sul pezzo precedente (probabilmente a causa di quell’enfatico “Entra” al quarto rigo) hanno centrato l’attenzione solo sul punto iniziale e mi accusano di accettare acriticamente la versione occidentale che dà per scontato l’avvio dell’entrata russa in Ucraina. Più che altro, la mia impressione è che Putin sia sul punto di farlo e ci siano le prime avvisaglie: il milione di persone che lascia le zone più a rischio, alcuni filmati che, per quanto non decisivi, costituiscono indizi che non è possibile ignorare del tutto, la stessa dichiarazione di Putin “Se voglio prendo Kiev in due giorni” ecc.. D’altra parte sembra ormai chiaro (nessuno lo contesta seriamente) che automezzi e soldati russi partecipino alla battaglia di Mariupol. I carri armati non ci sono ancora, ma, insomma…

Può darsi che i russi stiano solo mostrando i muscoli, senza avere intenzione di spingere sino in fondo (ora poi sembra profilarsi una tregua), ma l’impressione è che le cose siano già andate avanti un bel po’. Comunque, i dubbi si risolveranno nel giro di giorni o settimane, dopo di che capiremo dove andiamo a sbattere.

Ovviamente, se l’intervento dovesse esserci, la cosa sarebbe assai criticabile sul piano del metodo (e penso che siamo tutti d’accordo su questo punto, diversamente non capirei il perché di tanta preoccupazione nel respingere l’idea che l’attacco sia iniziato), ma sul merito, se non si fosse capito, sostengo che i russi e la Repubblica di Donetsk hanno prevalentemente ragione e cercherò di dimostrarlo, partendo dall’analisi dei piani strategici della Casa Bianca per come sono venuti evidenziandosi in questi anni.

Come dicevo nel pezzo precedente, mentre Bush (pur sempre nell’ordine di idee del nuovo ordine monopolare, ispirato da progetti del “Nuovo secolo americano”) aveva perseguito una partnership particolare con Mosca, curando che non restasse isolata, Obama ha ribaltato questa impostazione. Bush, aveva eletto a suo nemico strategico l’ “Islam non allineato” –per evidenti ragioni petrolifere- e badava a contenere la Cina, ma era scarsamente interessato ai suoi amici europei (lo dimostrò ampiamente lanciando la proposta della “coalizione dei volenterosi” che avrebbe dovuto soppiantare Nato ed Onu): pertanto, aveva interesse ad un buon rapporto con il Cremlino, sia per contenere la Cina, quanto per far capire agli europei che contavano quanto il due di coppe quando regna denari.

Obama, invece, dopo un infelice tentativo di G2 con la Cina –rapidamente diventata il nemico da imbrigliare-, si è disimpegnato dallo scacchiere mediorientale (forse anche per via della scoperta del petrolio di shale, che, in prospettiva, ne ha ridotto il rilievo energetico) ed ha cercato di recuperare gli amici europei, sin lì maltrattati, per rilanciare l’egemonia americana nella formula Nato. Ed, in questo quadro, la strategia euroasiatica di Putin che puntava a fare da ponte fra Cina ed Europa (meglio ancora, Germania) era di disturbo, per cui la Casa Bianca ha lavorato a mettere nell’angolo i russi, marginalizzandone la presenza sulla scena internazionale.

In questo quadro, la partita Ucraina aveva una sua rilevante importanza; facendo entrare l’Ucraina nella Nato, gli Usa ottenevano di completare la cintura dei paesi Nato dal Mar Baltico al Mar nero, di installare in Ucraina la rete radar e sistemi antimissile, di espellere le basi russe dalla Crimea, tagliando fuori la Russia dall’accesso al Mediterraneo, di strozzare i rifornimenti di gas russo, costringendoli a passare dal territorio ucraino, così da permettere agli ucraini di continuare nella pratica dei prelievi abusivi e non pagati. E, per di più, tutto questo avrebbe liquidato il progetto russo di un’area di libero scambio euroasiatica (con Bielorussia, Kazakhstan, ed altri) lasciandola senza sbocco all’Europa ed al Mediterraneo.

Che gli Usa facciano le loro operazioni fa parte delle regole del gioco, ma, allo stesso modo fa parte di queste regole la reazione russa.

Le apparenze presentano i russi come gli aggressori, ma sul piano strategico sono gli aggrediti. Gli Ucraini vogliono entrare nella Nato? Padronissimi, ma a quel punto, gli equilibri territoriali decisi all’inizio, sulla base di una Ucraina non allineata, vanno ridiscussi.

Gli Ucraini vogliono rimettere in discussione la presenza di basi russe sul loro territorio? Ma allora i russi hanno diritto di rivendicare l’Ucraina, visto che la Crimea ucraina non è stata mai.

Le frontiere scaturite dalla II Guerra Mondiale sono intangibili? Ma allora come la mettiamo con la Jugoslavia? Gli Ucraini hanno diritto di far installare agli americani i missili con 3000 km di raggio d’azione (cioè, sino a Mosca)? Ma, allora, perché gli americani, nel 1962, erano arrivati alla soglia della guerra per i missili russi a Cuba?

Vogliamo parlare della difesa dei civili ucraini? Benissimo, ma a me pare che quelli che hanno subito una aggressione gravissima come la strage di Odessa siano stati i russofoni. Fra i secessionisti filo russi c’è un fascistoide come Dugin? Si, ma Dugin conta relativamente poco nella Repubblica di Donetsk, mentre a Kiev è ben più rilevante il peso dei nazisti di Pravi Sektor.

Ecco perché dico che i russi adottano metodi discutibili ed un po’ avventuristici, ma nel merito hanno ragioni nettamente prevalenti. Non mi schiero affatto dalla loro parte: ripeto che, soprattutto, quando scrivo di politica estera, lo faccio da analista, cercando di non schierarmi e di limitare al massimo le inevitabili simpatie o antipatie politiche; ma, stando alle regole della politica internazionale, mi pare che la reazione russa sia logica e legittima: perché mai i russi avrebbero dovuto assistere a questo mutamento dei rapporti di forza a loro sfavore senza reagire?



3 settembre 2014


Dal sito http://www.aldogiannuli.it/




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