CINEMA

venerdì 17 ottobre 2014

IL BALLETTO DELLE NAZIONI di Miguel Martinez






IL BALLETTO DELLE NAZIONI
di Miguel Martinez




Violet Paget, che scriveva sotto lo pseudonimo di Vernon Lee, visse a cavallo dell’Otto e Novecento, in gran parte a Firenze. Una scrittrice inglese che non è nata né quasi mai vissuta in un paese anglofono, e quindi con tutta la ricchezza dell’esule.

Fino a pochi anni fa, ne ignoravo l’esistenza; e oggi mi dispiace che solo i tempi sfalsati delle nostre esistenze ci impediscano di incontrarci per le strade del quartiere. Tante volte, leggendo le cose che scriveva, mi sembra di vedere insieme il mondo, quasi dagli stessi occhi.

Violet Paget è stata scrittrice profonda e geniale, con una capacità molto particolare di cogliere le sfumature delle cose; è stata amica dello scultore Emilio Santarelli che mise in piedi il palazzo e il giardino che sono diventati il centro delle iniziative dell’Oltrarno (e da lui lei raccolse i ricordi della Contessa di Albany, moglie del Bonny Prince Charles e compagna di Alfieri); quasi da sola, Violet Paget ha salvato quel che resta del centro storico di Firenze dalla potente macchina della speculazione edilizia a fine Ottocento.

In piena guerra, nel 1915, lei scrisse un breve opuscolo intitolato The Ballet of the Nations, che le costò quasi tutte le sue amicizie.

Di pacifisti con il senno di poi è pieno il mondo, ma solo quando le passioni si sono rivelate in tutta la loro assurdità. Violet Paget invece fu uno dei rari pacifisti con il senno sveglio proprio nel momento peggiore.

Questa piccola opera è molto di più di una critica a quella guerra. E’ un compendio di verità al di là del tempo.

Se riuscissimo a farla davvero nostra, assorbendo il senso recondito di tutti i personaggi elencati, saremmo immuni per sempre dalla Danza. E ovviamente, diventandolo, ci bruceremmo anche noi le nostre amicizie.

Violet Paget dedicò i cinque successivi anni a trasformare The Ballet of the Nations in un’opera teatrale, Satan the Waster, che non fu mai recitata. Un giorno, magari…

Intanto, in un saggio scritto nello stesso periodo, parlò della “cortina di ferro” che a Natale separava madri inglesi e tedesche che si sarebbero recate in chiesa ad ascoltare Bach. Pare che abbia dato così ai politici inglesi l’immagine della Iron Curtain, che Churchill anni dopo avrebbe rilanciato per ben altri fini: c’è sempre qualcuno pronto a rubarti le idee senza volerle capire.

Su Archive.org, potete leggere il testo originale; qui ho ricopiato per intero la versione italiana a cura di Bruna Bianchi che si trova sul sito dell’Università di Venezia.

Una piccola riflessione… se leggete gli scritti di Oriana Fallaci, ci sentirete tutte le passioni lucidamente descritte da Vernon Lee.

Non sorprenderà quindi sapere che la città che Violet Paget salvò dalla distruzione non le ha dedicato una via, mentre ne dedicherà una a Oriana Fallaci.



30 settembre 2014


dal sito Kelebek Blog




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