CINEMA

martedì 28 ottobre 2014

INSEGNAMENTI DELLA CRISI DELL'EBOLA






INSEGNAMENTI DELLA CRISI DELL'EBOLA


di Vicente Pertegaz, Begona Bevia, Manuel Giron, Carlos Esquembre e Mercedes Martinez, in rappresentenza dell'Associazione Civica in Difesa della Sanità




Il tipo di virus dell’Ebola, connesso all’emergenza sanitaria in atto in Africa, provoca una mortalità del 70%. Non esistono farmaci o prevenzioni specifiche. La diagnosi precoce è l’elemento chiave per rispondere all’infezione e identificare le persone con le quali si è stati a contatto. Stando alla squadra di esperti dell’OMS per l’Ebola, il tasso di contagio, da 4.500 persone a metà settembre passerà a 20.000 agli inizi di novembre e, secondo il Centro di controllo statunitense per le malattie, a gennaio del 2015 potrebbe arrivare a colpire 1 milione di persone.

Questa crisi umanitaria senza precedenti è restata occulta ed è venuta pubblicamente alla luce a partire dalla prima infezione contratta da un europeo, a Madrid. Di fatto, la discussione pubblica si arresta esclusivamente sul terreno della nostra protezione locale, che è un atteggiamento politico e sanitario insensato: L’Africa continua a rimanere nell’oblio, continua ad essere terreno riservato delle multinazionali, di governi di rapina e dei bisogni di materie prime del mondo sviluppato. Il Fondo Monetario Internazionale, l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina (s)governano nei paesi africani colpiti. Questi paesi si sono visti nell’impossibilità di sviluppare servizi pubblici e le scarse risorse sono state privatizzate (inaccessibili quindi alla popolazione in generale). Come ha segnalato un editoriale del New England Journal of Medicine, non è il virus,ma il contesto ad aver consentito il micidiale sviluppo dell’epidemia. E questo è il primo degli insegnamenti.

La risposta del governo spagnolo di fronte a un’emergenza internazionale è consistita nel riportare indietro due persone malate (ad esclusione di altre che vengono private dell’assistenza in base al decreto 16/2/012), senza disporre di un solo ospedale con idoneo livello di protezione, mettendo così a rischio la salute della popolazione in genere e del personale sanitario in particolare (incluso quello addetto alle pulizie). L’unico ospedale che avrebbe potuto accogliere questi casi era da più di un anno in via di smantellamento (chiuso il servizio, e professionisti addestrati sparpagliati altrove); per giunta, in piena crisi, si è andati avanti nel processo della trasformazione in un centro di malati cronici, per occuparsi di quello che per i centri privati non è conveniente. E questo è un secondo insegnamento: la privatizzazione distrugge i servizi e le capacità di risposta (sia nel comune di Madrid o in quello valenzano, sia in Africa occidentale). Il “controllo del passivo di bilancio” (i tagli sociali) e l’assunzione pubblica del pagamento del debito creato dalle grandi banche e dagli istituti finanziari sono i meccanismi applicati tanto qui come là per tagliere e privatizzare.

La terza lezione ha a che vedere con le cure e i vaccini. Le epidemie di Ebola sono note fin dal 1976, e nonostante il tempo trascorso e la portata letale del virus, non si sono sviluppati farmaci e vaccini per la prevenzione. Adrán Hill, lo scienziato incaricato di dirigere la risposta della Gran Bretagna alla pandemia di Ebola, ha scagliato un attacco demolitore alla grande industria farmaceutica. Alla domanda sul perché non ci fosse un vaccino, Hill ha risposto: 
“Ebbene, chi fabbrica i vaccini? Oggi, la produzione commerciale di vaccini è monopolizzata da quattro o cinque mega-imprese - GSK, Sanofi, Merck, Pfizer -, che figurano tra le principali multinazionali del mondo. Il problema è che, anche se si scopre la via per creare un vaccino, se non c’è un grande mercato, le grandi imprese ritengono che non vale la pena”.
Migliaia di morti (4.033 alla data del 10 ottobre) si sarebbero potuti evitare fin dall’inizio del manifestarsi dell’infezione se si fosse sviluppato un vaccino, il che, a giudizio del professor Hill, sarebbe stato possibile. Era un’epidemia evitabile. La ricerca e la produzione di vaccini e farmaci essenziali non può restare nelle mani dell’industria privata, esige un’industria farmaceutica pubblica.

Ci saranno ancora epidemie e ricomparse di Ebola e di altre infezioni nuove o riemergenti. La nostra risposta ad avvenimenti come questo è ancora lenta, mal finanziata e mal preparata. I servizi sanitari debbono avere buone dotazioni, essere pubblici, sotto controllo della cittadinanza e orientati alla prevenzione. La prestigiosa rivista scientifica Lancet metteva già in guardia, alcuni mesi or sono: i tagli del governo spagnolo possono avere “gravi conseguenze per la salute della popolazione”. Dal 2010 i bilanci della sanità hanno subito tagli per un totale di 19 miliardi di euro e quelli della ricerca per più di 9 miliardi.

Per far fronte all’attuale epidemia di Ebola, Cuba sta dispiegando in Sierra Leone il maggior contingente sanitario che sia stato inviato da uno Stato, con 165 medici e infermiere. È questo l’esempio da seguire per intervenire immediatamente contro l’Ebola. L’Africa deve uscire dalla condizione di sterminio cui la sottopongono il FMI, l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina.

E dobbiamo anche ricordare in questi giorni la figura del dirigente africano Thomas Sankara, il presidente del Burkina Faso, assassinato il 15 ottobre 1987 per essersi rifiutato di pagare il debito odioso che impediva al suo popolo di venir fuori dalla povertà e per essersi scontrato con il FMI. A differenza degli attuali tecnocrati dello Stato spagnolo, che (mal)governano la sanità giocando con la vita di milioni di persone, resta anche questo un esempio da seguire.



19 ottobre 2014





Si veda anche Ebola ed altri virus, e Ebola: un virus nel cuore delle tenebre


dal sito Movimento Operaio


La vignetta è del Maestro Mauro Biani





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