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venerdì 24 ottobre 2014

NON C'E' SOLO L'ARTICOLO 18 ...





NON C'E' SOLO L'ARTICOLO 18 ...


Alla fine, lo ha dovuto ammettere anche Draghi: la crisi in Europa non è finita e le timide riprese di alcuni paesi sono già a rischio. Nonostante altri 1000 miliardi di liquidità (!) messe a disposizione dalla BCE per le banche, la quantità di crediti e titoli ‘tossici’ ingurgitata dal sistema creditizio è tale che investimenti e consumi continueranno a precipitare. In Italia il quadro è ancora più drammatico: disoccupazione giovanile al 44%, crollo dei redditi e calo dei prezzi, servizi in frantumi, pressione fiscale (anche sui lavoratori) ai massimi. Il Governo, già in fase di logoramento nonostante il sostegno dei media, di tutto il quadro istituzionale e dei principali esponenti padronali, decide di giocare l’attacco ai diritti dei lavoratori in cambio di qualche margine di manovra con l’Europa per ritardare nuovi interventi su sanità, pensioni, scuola e servizi.

Il cosiddetto Jobs Act, una legge delega che elenca genericamente alcuni indirizzi per ulteriori norme sul mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali e la contrattazione, nasce dunque in un panorama di tensioni nell’establishment europeo (vedi la sfuriata francese contro il rigore tedesco), di debolezze del quadro politico ed economico nazionale, ma non per questo è meno pericolosa. Non si tratta solo dell’Art. 18, ma di un’insieme di provvedimenti che mira a distruggere definitivamente quanto resta dello Statuto dei Lavoratori per affermare l’idea che il comando in fabbrica e in ufficio è solo padronale e che le condizioni di lavoro dipendono esclusivamente dal mercato e dalle esigenze dell’impresa. Fuori dai cancelli lo Stato pagherà, nei limiti dettati dai bilanci, una sorta di sussidio di disoccupazione, a condizione che il disoccupato si presti a minori guadagni e a qualsiasi mansione.

La ‘semplificazione burocratica’ di tutti gli adempimenti a carico del datore di lavoro e dei controlli sulle imprese (sicurezza inclusa) sono una revisione tutta a favore di queste ultime. Il controllo a distanza del lavoratore, più semplice ed arbitrario, è il ritorno ai guardiani degli anni ‘50. Il demansionamento e, più in generale, la revisione delle tipologie contrattuali, significa cancellare l’idea di un contratto nazionale che garantisca tutele uguali per tutti a favore di una ulteriore frammentazione dei lavoratori. Rivedere gli ammortizzatori sociali abolendo alcune tipologie di cassa integrazione ‘senza aggravio di costi’ vuol dire estendere il trattamento di disoccupazione a nuova figure, ma ridurre l’entità e la durata dell’assegno. E infine, abolire l’Art. 18, per quanto nel testo della legge non si dica esplicitamente, significa sopprimere l’ultima tutela possibile del lavoratore rispetto al licenziamento ingiustificato. In Italia si licenzia eccome, anche se per pudore si dice ‘mettere in mobilità’, collettivamente e individualmente. Il punto è che il padronato vuole poterlo fare in modo arbitrario e senza limitazioni. Il deterrente del diritto al reintegro, già minato dalla Legge Fornero, è inaccettabile per un padronato che vuole avere il pieno controllo del ‘fattore lavoro’ e tenere in ostaggio e sotto ricatto i dipendenti. Che in ciò vi sia qualcosa di nuovo e di ‘riformista’ solo la propaganda da parte di mass media totalmente asserviti può suggerirlo. In che modo così si aiutino precari e disoccupati, giovani e meno giovani, è un ulteriore mistero, visto che nessuna delle 46 tipologie contrattuali ‘flessibili’ in uso viene abolita e anzi si incentiva ulteriormente l’uso del voucher e la privatizzazione della ricerca di lavoro.

Eppure Renzi sa che su questo terreno ha delle carte da giocarsi. Sa che puntando sulla divisione tra giovani e vecchi, tra ‘garantiti’ e non, può mettere a nudo tutte le contraddizioni di una sinistra che dai tempi di Treu alimenta l’idea di una flessibilità ‘buona’. E quelle di un sindacato che sul terreno della precarietà e dei diritti ha letteralmente segato l’albero su cui sedeva attraverso la firma di accordi pessimi e un burocratismo che gli sono costati la fiducia e la credibilità agli occhi dei lavoratori.

Tuttavia a sinistra e nel sindacato volendo potrebbe non essere troppo tardi per lottare coerentemente, senza tentennamenti e subalternità, contro il Jobs Act e rimettere al centro l’idea di dividere meglio tra tutti il lavoro che c’è e che aumentare le retribuzioni è una priorità. A ottobre e novembre sono in programma scioperi delle confederazioni di base e una manifestazione nazionale della CGIL. Senza nessuna illusione verso i Bersani, le Camusso, i Fassina, noi ci saremo. Su questi contenuti.



18 ottobre 2014


dal sito Contro Corrente


La vignetta è del Maestro Mauro Biani






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