MILANO, I RIOT CHE ASFALTANO IL MOVIMENTO
di Luca Fazio
MayDay 2015. Trentamila persone in corteo e la città a ferro e fuoco. Il blocco nero prende la piazza, la polizia reagisce con intelligenza ed evita il contatto. Per i No Expo l'esposizione universale è cominciata nel peggiore dei modi
Le fiamme si sono appena spente, c’è ancora tanto fumo per le strade di Milano. A freddo, una volta dato sfogo al prevedibile sdegno, qualcuno dovrà pur avere il coraggio di ammettere una cosa piuttosto semplice, che ovviamente non nasconde il problema, anzi, ne pone più di uno: è andata esattamente come doveva andare. Lo sapevano tutti, era previsto da mesi. Non è stata una festa la MayDay 2015 e forse il peggio deve ancora accadere. In questo momento ci sta pure la retorica della “Milano ferita”, però sarebbe più utile cercare di abbozzare qualche ragionamento.
I fatti sono noti, è stata la manifestazione più spiata e fotografata degli ultimi anni. Una parte del centro storico di Milano, quella intorno a piazzale Cadorna — era previsto anche quello — è stata attaccata con una furia che non si era mai vista. Automobili date alla fiamme, finestrini mandati in frantumi con una rabbia disperata al limite dell’autolesionismo, lanci di bottiglie contro la polizia, vetrine infrante, accenni di barricate, negozi sfasciati. Silenzio assordante, rumori di cose che si spaccano, nuvole di lacrimogeni e adrenalina che sale quando poliziotti e carabinieri si innervosiscono e sembrano davvero intenzionati a fare sul serio.
La confusione è tanta, ci sono stati fermi ma non è chiaro quanti, si dice una decina di ragazzi. Ci sarebbero undici feriti tra gli agenti.
Lo spettacolo è desolante, sembrano immagini di un film girato in un altro paese, e ne sono stati già fatti di ragionamenti sulla rabbia cieca di chi si limita a spaccare tutto per cercare di resistere in qualche modo in un contesto dove è facile sentirsi tagliati fuori. A vent’anni soprattutto.
Sono delinquenti? Può darsi, poi si sfilano l’impermeabile col cappuccio — per terra ce ne sono decine — e hanno facce da ragazzini qualunque. Sono violenti? Sicuramente, violenti che si accaniscono sulle cose e non sulle persone. Lo scontro con la polizia è solo mimato, virtuale come un videogioco: viste le forze in campo gli incappucciati non potrebbero neppure pensare di avvicinarsi. La loro violenza è anche stupida e vigliacca. Un’auto inutilmente spaccata, mica tutte Ferrari, significa una persona colpita alle spalle e con l’aggravante della casualità. Anche i “black bloc” hanno una macchina parcheggiata da qualche parte.
A proposito. Qualche commentatore poco razionale, non l’editorialista di Libero o de il Giornale, a caldo ha detto che la polizia ha lasciato fare e che dovrà rispondere della gestione della piazza.
Molto semplicemente, invece, la polizia ha agito con grande freddezza e intelligenza.
Non c’è stato alcun contatto con i manifestanti. Non si è fatto male nessuno. Ci sono decine di automobili sfasciate e probabilmente un conto salato da pagare per tutti quei gruppi organizzati che invece sono stati almeno capaci di “portare a casa” un corteo determinato. Molto numerosi, almeno trentamila, a tratti anche felici di esserci. Per nulla spaventati, tantomeno sorpresi, per quello che stava accadendo nelle retrovie.
La polizia poteva evitare lo “sfregio alla città”? Forse sì, se il ministro degli Interni avesse deciso di rispolverare il metodo Genova e dare la caccia ai ragazzini che si sono mascherati da blocco nero. Adesso che (forse) è tutto finito si può azzardare la domanda: sarebbe forse stato meglio se ci fosse scappato il morto? Anche quello era previsto che non dovesse accadere, e meno male.
Angelino Alfano, almeno oggi, non si deve dimettere, le regole di ingaggio erano queste, la polizia non voleva il contatto con il blocco nero.
A proposito. Analisti e dietrologi se ne facciano una ragione. I cosiddetti “black bloc” non vengono da Marte, non si sono “infiltrati” nel corteo e non sono nemmeno al soldo della spectre. Ci sono, sono un problema e bisognerà tenerne conto. Erano nel corteo, dentro, nemmeno in fondo. Gli spezzoni della manifestazione hanno dovuto giocoforza tollerarli e cercare di tutelare il corteo da una reazione della polizia che a un certo punto sembrava scontata.
La MayDay era contro il blocco nero? Questo movimento, questa piazza, che è pur sempre il massimo che oggi si possa esprimere, non ne aveva la forza. Né militare, né politica. Questo è un limite.
Ecco perché questo primo maggio è “politicamente” disastroso.
Un’altra nota, non marginale. Quella di ieri, al netto di tutti i dispositivi di protezione che il corteo stesso ha messo in atto, era una piazza pericolosa. Eppure lì dentro hanno trovato posto ragazzini e ragazzine smarriti alla prima manifestazione, persone assolutamente non violente, decine di bande musicali che hanno continuato a suonare a festa. Si sono viste anche le solite vecchie volpi con la coda tra le gambe che non parlano più la stessa lingua delle piazze. Ma è come se inconsciamente ci si stesse abituando a considerare che ormai è nelle cose aspettarsi un conflitto sempre più aspro e con accenti disperati, senza obiettivi e tantomeno prospettive.
Banalmente: questa stessa piazza, dieci anni fa, sarebbero state due. I cattivi dietro a prenderle, gli altri davanti con le loro buone ragioni.
Gli “altri”, adesso, devono fare i conti con la realtà.
D’ora in poi, come governare la piazza, ammesso che ci siano altre occasioni altrettanto importanti, diventerà un problema quasi insormontabile. Perché la giornata di ieri significa che nessuno a Milano, e anche altrove, ha più l’autorevolezza di poter decidere come si deve stare in un corteo.
Questo è un problema politico: a posteriori, è chiaro che non si può accettare con leggerezza la convivenza con chi ha come uno unico obiettivo quello di spaccare tutto e basta.
Quanto al futuro, possiamo dire che sull’opportunità di cedere fette di sovranità a chi non vive e non lotta in questa città (e che certo non ne pagherà le conseguenze) è bene aprire un dibattito una volta tanto sincero.
I ragazzi e le ragazze del “blocco nero” si sono sfilati le felpe e sono a casa che si godono lo spettacolo dell’informazione mainstream, hanno vinto.
Qui a Milano, a leccarsi le ferite, rimane un movimento che rischia di essere asfaltato per i prossimi anni a venire. La polizia, che oggi è sotto botta, potrebbe anche decidere che il limite è stato superato. Questa mattina le “autorità” si guarderanno negli occhi durante una seduta straordinaria del Comitato per l’ordine e la sicurezza.
E qui a Milano è già cominciata una campagna elettorale che, anche alla luce di quello che è successo, non promette nulla di buono. L’Expo ha ancora sei mesi di vita, i No Expo hanno cominciato nel peggiore dei modi.
1 maggio 2015
da Il Manifesto
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