di Franco Turigliatto
Con l’assemblea fondativa di “Possibile” il movimento di Pippo Civati, a cui hanno partecipato i principali dirigenti di Sel, Rifondazione e Lista Tsipras, e la successiva uscita dal PD dell’ex viceministro dell’economia Stefano Fassina, che ha poi annunciato per il 4 luglio un incontro nazionale con lo stesso Civati e con Cofferati, siamo entrati in una nuova fase politica dei rapporti tra forze della sinistra.
Lo spazio a sinistra del PD
I percorsi sono ancora confusi e tanto più le strategie politiche, ma l’obiettivo comune, variamente dichiarato, è di produrre un processo ricompositivo che sfoci nella formazione di un nuovo soggetto politico in grado di costituire una proposta credibile a sinistra del PD per una vasta area elettorale, compresa quella che si esprime nell’astensione.
Il corso impresso al PD da Renzi e l’accelerazione delle politiche liberiste e dell’attacco ai diritti dei lavoratori portati avanti dal governo, espressi in particolare nel Jobs Act e nella controriforma della scuola, hanno infatti creato uno spazio politico potenziale alla sinistra di questo partito. La gestione interna del PD, con l’emarginazione di una serie di esponenti che pure non avevano avuto particolari problemi ad avallare le scelte liberiste dei governi precedenti e a non opporsi alle misure dello stesso governo Renzi, sta producendo una serie di rotture che possono coniugarsi con l’affannosa ricerca delle forze sparse della sinistra (Sel, Rifondazione, ecc.) di recuperare il tempo perduto, con l’obiettivo di replicare in Italia quanto si è prodotto in Grecia con Syriza e in Spagna con Podemos, cioè un big bang elettorale e politico.
Sul piano elettorale, il Movimento 5 Stelle copre, come forza di protesta e di opposizione, un amplissimo spazio politico; la speranza di coloro che vogliono costruire un nuovo soggetto politico riformista non è solo quello di recuperare elettori delusi da Renzi, ma anche quello di riprenderne alcuni che, in mancanza di una alternativa credibile, hanno dato sostegno al movimento di Grillo.
Tutte queste organizzazioni mettono l’accento sulla necessità di unità, accarezzando l’idea che basterebbero un progetto unitario e il raggruppamento delle forze per ottenere una nuova credibilità della sinistra e il conseguente balzo elettorale capace di metter l’Italia al passo di altri paesi d’Europa. La speranza per molti è di recuperare lo spazio socialdemocratico della mitica sinistra del passato.
In questi proponimenti c’è una sottovalutazione profonda degli effetti sociali che la crisi e le politiche di austerità hanno prodotto nella coscienza di larghi settori di massa, della disgregazione sociale esistente, dei suoi effetti socio politici profondi e non superabili per il solo fatto che sullo scenario politico compare utilmente una forza di sinistra più ampia ed unitaria. Soprattutto è presente in tutte queste forze, se pur variamente declinata, una sottovalutazione della necessità di un processo ricompositivo sociale, di una nuova fase di lotte e di mobilitazione intorno ai bisogni e alle esigenze dei diversi settori di lavoratori, per la ricostruzione di una unità sociale, per una crescita della coscienza di classe. Solo così è possibile la costruzione di nuovi rapporti di forza che sostanzino anche sul piano politico la credibilità di una alternativa a sinistra e l’ipotesi di un consistente voto che esprima questa ripresa della mobilitazione sociale.
Naturalmente ogni paese conosce percorsi specifici e non saremo certo noi a negare l’utilità preziosa della costituzione unitaria di una forza di sinistra chiaramente alternativa e votata alla ricostruzione di quel movimento di lotta prima richiamato. Ma se si guarda alla Grecia e alla Spagna, è questo che si è prodotto; la lotta sociale, gli scioperi generali, gli indignados, le mareas hanno determinato anche la credibilità politica della costruenda aggregazione della sinistra.
Ma c’è anche un altro elemento da sottolineare: l’orientamento strategico dominante nella sinistra è che per invertire la rotta liberista sarebbe sufficiente il ritorno a rinnovate politiche keynesiane; possiamo condividere gli obiettivi sociali keynesiani, ma siamo anche convinti che la globalizzazione capitalistica e le scelte strategiche della classe dominante in questa fase storica pretendono un surplus di radicalità anticapitalista e di rottura dell’ordine esistente: le vicende greche sono lì a dimostrarlo.
Qualche complicazione ulteriore viene infine dal semplice fatto che ognuno dei gruppi dirigenti e dei loro mini apparati si muove tatticamente per coprire a suo vantaggio lo spazio politico esistente alla ricerca di una egemonia nel processo ricompositivo; la debolezza dei movimenti sociali con cui rapportarsi enfatizza queste dinamiche verticistiche di apparato.
Le fuoriuscite dal PD e la crisi de l’Altra Europa
I settori che stanno rompendo con il PD esprimono positivamente le contraddizioni che finalmente si manifestano nel PD. Un un partito che continua a pretendersi di “sinistra” e che viene presentato come tale dai media, ma che è invece il più fedele interprete delle politiche liberiste, cioè un partito borghese, nemico dei lavoratori, che non ha esitato a distruggere lo Statuto del 1970 e che si appresta a fare altrettanto con la Costituzione del 1948.
Ben vengano dunque queste rotture. Resta il fatto che questi esponenti del PD sono segnati dalle scelte che i vari governi di centro sinistra hanno fatto negli ultimi 25 anni. Sta a loro dimostrare nei fatti che le rotture sono politiche complessive e che non dipendono solo dalle sconfitte interne all’apparato,che il loro progetto non è una fronda politica, ma la costruzione di un proposta politica complessivamente alternativa.
“L’altra Europa con Tsipras” era nata come lista elettorale, ma aveva in nuce una ambizione superiore: costruire anche un progetto politico basato sul rigetto totale delle politiche della Troika e la costruzione dell’ Europa dei diritti civili e sociali, dell’occupazione, del welfare per tutti, della solidarietà coi migranti e del rifiuto delle politiche di guerra e neocoloniali.
I fatti hanno dimostrato che il progetto era sostanzialmente elettorale; ha permesso un discreto risultato nel voto europeo di un anno fa, ma ha avuto enorme difficoltà a concretizzarsi in azione politica e sociale. Anche nelle sfide elettorali il progetto è stato condizionato dal fatto che alcune componenti, a partire da SEL, non avevano nessuna intenzione di rompere fino in fondo col PD e con le alleanze governative in tante realtà regionali e locali. Le recenti elezioni regionali hanno dispiegato tutte le contraddizioni di questa aggregazione incapace di darsi un progetto nazionale. Ne è derivato un evidente impasse, la rinuncia del gruppo dirigente a fare passi avanti nella costruzione alla base e nei territori, la mancanza di una linea politica operativa rispetto alla sacrosanta denuncia delle ingiustizie sociali, cioè di saper operare sul terreno sociale e in quello sindacale da parte dei suoi militanti.
Così, di fronte alle rotture che si stanno producendo nel PD, i gruppi dirigenti di Rifondazione, SEL e “Altra Europa” hanno pensato di sviluppare il proprio progetto nel semplice traghettamento verso questo possibile raggruppamento unitario. In particolare nell’ “Altra Europa” lo si sta facendo con una pratica di direzione assolutamente autoritaria e prevaricatoria nei confronti di un’area significativa di militanti che si sono impegnati in quell’esperienza e che si rendono conto che il nuovo percorso non è indirizzato verso la costruzione di una forza veramente alternativa al PD, ma verso una variante ibrida, un’organizzazione diversa dal PD, ma potenzialmente collaborativa ogni volta che se ne presenti l’occasione politica e tattica sulla base di una maggiore capacità contrattuale.
Nella recente riunione del Coordinamento Nazionale de “l’Altra Europa” il gruppo di continuità (con un misto di opportunismo e di burocratismo) ha manovrato in tutti i modi perché non emergessero con chiarezza le divergenze nel merito e ha imposto con un sotterfugio l’allargamento del gruppo dirigente al fine di aprire la trattativa con le forze uscite dal PD e con SEL e Rifondazione.
Per questo non possiamo che guardare positivamente agli sforzi di quanti nell’Altra Europa si adoperano per contrastare un percorso che si discosta nettamente dalle speranze iniziali e che cercano di coordinarsi per costruire una forza di alternativa politica e sociale al PD, non un mero strumento elettorale per le prossime elezioni politiche.
La coalizione sociale di Landini
C’è un altro progetto in campo: la coalizione sociale di Landini. Dal punto di vista della formulazione non c’è nulla da eccepire. Il suo nome esprime una necessità vera, ricostruire l’unità di vari settori sociali sfruttati ed oppressi dalla politiche liberiste, lavoratrici, lavoratori, precari, disoccupati e tutto il vasto mondo che la crisi oggi disperde e divide in mille rivoli. Non meno condivisibili sono le proposte di rigetto delle politiche di austerità, di difesa dei salari, dell’occupazione, dei diritti sociali e civili e così anche l’idea di un salario sociale o reddito di cittadinanza che contrasti i ricatti padronali e crei le condizioni migliori per contrattare retribuzioni e condizioni di lavoro.
Abbiamo già scritto che la proposta avrebbe dovuto essere avanzata in autunno quando erano in corso le grandi lotte per rigettare il Jobs Act. Oggi il progetto parte in salita; resta il dubbio sul perché la direzione della Fiom la avanzi ora, dopo aver rinunciato a dare continuità all’autunno in alternativa alla linea della Camusso, proprio ora, quando tutta la Cgil, e la stessa Fiom si trovano di fronte ad una evidente impasse dell’azione sindacale. Questo è il grande problema; le difficoltà delle scelte sindacali di fronte alla determinazione di Marchionne e soci sono evidenti, ma altrettanto chiara è la scelta di Landini di allineamento sui contenuti della CGIL, allineamento che non viene rimesso in discussione dallo scontro interno d’apparato con la Camusso. Oggi la linea sindacale della Fiom è fortemente piegata su quella della Confederazione; questa sta producendo sempre più la paralisi sindacale e delle lotte, lasciando la classe lavoratrice priva di qualsiasi progetto di resistenza alle politiche del governo e all’aggressività della Confindustria.
Il problema della linea sindacale è centrale
Parteciperemo alle istanze di base della coalizione sociale per proporre i contenuti e le azioni di mobilitazione che è necessario intraprendere in questa fase dello scontro di classe. Parteciperemo indicando quindi che cosa sarebbe necessario fare sul delicato terreno sindacale che è un nodo inaggirabile. Va certo ricostruito un progetto alternativo politico, ma nelle condizioni di sfruttamento selvaggio in cui si trova oggi la classe lavoratrice, non è possibile costruire questo progetto senza un’azione coerente sul piano sindacale.
Landini avoca a se le scelte sindacali e nello stesso tempo si lascia le mani libere sulle scelte politiche future, tra cui la possibilità di confluire nella nuova cosa politica della sinistra.
Così assistiamo a una situazione in cui tutte le forze della sinistra, restano subalterne alla Cgil, o direttamente alla Camusso o attraverso l’intermediazione del gruppo dirigente Fiom. Sul terreno sindacale sono tutte sulla stessa barca, cioè collegate all’apparato burocratico CGIL.
L’idea che occorra costruire un’opposizione sindacale, un’unità di tutte le forze di classe sindacali per provare a sbloccare questa situazione perdente non passa loro neppure per la testa, mentre è la nostra bussola, l’orientamento su cui misuriamo anche le scelte delle altre forze politiche.
Alcuni criteri di giudizio per l’unità
Infatti per noi il rapporto e il metro di giudizio sulle altre forze di sinistra e sui processi unitari possibili è costituito da un primo elemento fondamentale prioritario, la disponibilità reale a porsi sul terreno della costruzione della lotta della classe lavoratrice e di tutti i settori oppressi e sfruttati in piena autonomia dalle burocrazie sindacali. Anche perché solo così operando si costruisce un strumento veramente utile alla lotta dei lavoratori e perché solo dentro una nuova fase di forte rilancio della mobilitazione sociale è possibile il big bang di ricomposizione politica radicale e attrattiva.
Il secondo elemento è naturalmente la necessaria alternatività rispetto al PD. Su questo non ci può essere l’ambiguità di cui SEL, da sempre, ma in misura minore anche il PRC sono portatori. L’alternatività al PD non può che essere complessiva, politica e strategica e, quindi, pratica. Il PD è oggi lo strumento politico fondamentale attraverso cui la classe dominante esercita la propria politica e la propria egemonia, mentre nello stesso tempo si alimenta come unica alternativa la destra di Salvini.
Siamo dentro una corsa contro il tempo per costruire sul campo una reale alternativa a sinistra di classe contro tutte le facce politiche e sociali delle classe capitalista.
Non ci nascondiamo che la spinta all’unità purchessia è molto forte, sia in quel che resta del “popolo della sinistra”, sia in altri nuovi settori. Di essa occorre tener conto perché corrisponde a una necessità reale, ma proprio per questo va indirizzata verso una capacità unitaria di mobilitazione e di lotta e non verso una nuova delega elettorale ad un “nuovo” soggetto politico. Un’unità priva di chiarezza politica o, peggio ancora, incapace di un progetto alternativo, non sappiamo se sarebbe capace di ottenere un facile successo elettorale. Ma, anche nel caso in cui un risultato elettorale di questo tipo si realizzasse, sarebbe di certo effimero e foriero di nuove disillusioni, subalternità ed errori come quelli a cui abbiamo assistito nello scorso decennio, quando pure un partito come Rifondazione aveva una importante base sociale e una significativa credibilità politica ed elettorale.
Per questo la nostra organizzazione è particolarmente attenta a favorire tutte le forme di unità d’azione e di mobilitazione unitaria, così come a partecipare a una discussione aperta sugli strumenti politici da costruire. Lo facciamo nella chiarezza e diciamo a tutti i nostri interlocutori che per noi qualsiasi ipotesi di unità politica (che per ora ci pare assai lontana) potrebbe realizzarsi solo in forma analoga a quella con cui si è formata Syriza, cioè una coalizione con al proprio interno una pluralità formale e formalizzata di forze politiche, con la conseguente pluralità di orientamenti, in una dialettica reale coi movimenti di massa che si producono.
Anche perché non a caso ci dichiariamo anticapitalisti; vogliamo costruire una strategia che ponga in discussione il sistema capitalista e un percorso di lotta che produca un movimento reale di rottura con questo insostenibile assetto della società. Vogliamo fare questo percorso con altri, ma il percorso non può farci perdere di vista l’obiettivo di fondo.
28 Giugno 2015
dal sito Sinistra Anticapitalista
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