MALZBERG: CHI ERA COSTUI?
profilo a cura di Umberto Rossi
Se uno segue le conversazioni su un gruppo FaceBook come Romanzi di fantascienza noterà che alla fine i nomi che ricorrono sono più o meno quelli: nomi di scrittori, intendo dire, che si chiamino Vance o Gibson, che si chiamino Clarke o Heinlein. I Classici Che Tutti Conoscono.
Certi nomi invece escono fuori di rado. Uno di questi appartiene a un autore ancora vivente, ma che da molto non frequenta più il genere che tanto ci piace, e cioè Barry Norman Malzberg, nato nel 1939, quindi settantaseienne. A quest'età uno dovrebbe essere una specie di santone della fantascienza, di Grande Vecchio, come lo erano Asimov e Bradbury negli ultimi anni della loro vita: ma a Malzberg la fama non arride, o meglio, si sa che c'è, si sa che esiste uno scrittore di questo nome, ma cosa ha scritto esattamente, di cosa parla, cosa gli associ, ecco, tutto questo spesso manca. Non c'è quel titolo famoso o quell'idea di successo che ti viene subito in mente a sentirlo nominare. Eppure se uno va a consultare la Wikipedia (ovviamente inglese) trova che esiste addirittura una voce sulla bibliografia dello scrittore, tanto grande è la sua produzione, che troverete qui:
https://en.wikipedia.org/wiki/Barry_N._Malzberg_bibliography
e scoprirete che questo personaggio sicuramente è piuttosto curioso. A parte il suo alternare la scrittura di romanzi e racconti di fantascienza con libri erotici (non pochi scritti sotto diversi pseudonimi), e dieci romanzi hard-boiled piuttosto brutali centrati su un personaggio dall'eloquente nome di Lone Wolf* (in questo Malzberg ricorda altri autori che hanno alternato giallo e fantascienza, come Sheckley, Bradbury, Asimov stesso...), la quantità dei suoi titoli è sicuramente cospicua (siamo attorno alla cinquantina tra romanzi e raccolte di racconti); eppure la sua narrativa più lunga si ferma al 1985; dopo quella data escono solo raccolte.
Si potrebbe pensare a uno scrittore che abbia esaurito la sua vena, o che non sia stato apprezzato. Eppure è amico di Mike Resnick, è stato imitato da Paul Di Filippo, lodato da Theodore Sturgeon e (udite udite!) Harlan Ellison, inoltre pubblica regolarmente una rubrica di consigli agli scrittori sul SFWA Bulletin (rivista dell'Associazione americana di scrittori di fantascienza); insomma non è esattamente uno sconosciuto nel settore.
Però, lo ammetto, non è proprio uno di quei nomi che sentirete nominare spesso da cultori e appassionati. Anche i massimi esperti di casa nostra convengono che sia uno scrittore poco conosciuto; e anche poco tradotto. Il mitico catalogo Vegetti elenca solo otto romanzi, e l'ultima ristampa risale al 1973; in realtà il Vegettalogo non è aggiornato, per cui bisogna dire che di recente Mimesis ha ripubblicato Oltre Apollo, purtroppo in una traduzione che lascia alquanto a desiderare; Urania ha fatto la sua parte, riproponendo nel 2012 Il mondo di Herovit; nello stesso anno Edizioni della Vigna ha proposto Galassie (aggiungo che fortunatamente tutti e tre questi titoli sono disponibili in formato ebook su Amazon.it). Oltre a questo sparuto manipolo di titoli da scaricare o andare a cercare per bancarelle o su comprovendolibri.it, ci sono parecchi racconti, ma sapete com'è con la narrativa breve, si disperde in tante raccolte o in appendice a qualche vecchio Urania, quindi reperirla non è affatto facile, anzi!
E comunque, quattro quinti dell'opera di Malzberg non sono disponibili in italiano; togliamo pure la serie di Lone Wolf e i romanzi erotici, restano comunque più di venti romanzi di fantascienza (più tanta saggistica); insomma, vediamo sì e no la punta dell'iceberg. Ebbene, questo articoletto cercherà di farvi conoscere un po' meglio questo scrittore, anche se non mi sarà possibile fare una panoramica completa. Più che altro toccherò alcune opere, non tutte tradotte, tanto per consentirvi di farvi un'idea; dopodiché, buona fortuna nella caccia al libro.
Partiremo da un romanzo non tradotto che s'intitola The Falling Astronauts, risalente al 1971. Gli astronauti cadenti, potremmo dire, o in caduta magari libera. Non dobbiamo trascurare il contesto storico; solo due anni prima Armstrong, Aldrin e Collins con l'Apollo 11 avevano raggiunto la Luna e vi avevano piantato la bandiera americana (non cominciate con le storie del complotto che sulla luna non ci siamo stati; sareste a livello di quelli che ancora non hanno mandato giù Copernico e Keplero...). Anzi, si era nel pieno del programma, visto che allo sbarco del luglio 1969 avevano fatto seguito altre tre missioni (più quella abortita dell'Apollo 13), e nell'anno seguente si sarebbero avute le ultime due, la 16 e la 17. Era un tripudio per gli Stati Uniti, che avevano recuperato il ritardo con cui si erano gettati nella corsa allo spazio (avviata dall'URSS con lo Sputnik e il volo di Gagarin); un trionfo non solo simbolico, dato che (e oggi lo sappiamo ancor meglio di ieri), le tecnologie dello spazio erano in gran parte le stesse che servivano alle superpotenze per dotarsi di armi sempre più devastanti (soprattutto i missili intercontinentali balistici che potevano, e ancora possono, colpire qualsiasi punto del pianeta con testate all'idrogeno). E ricordiamo che il presidente della Luna non era più Kennedy (che pure aveva lanciato il progetto Apollo) né Johnson (che molto ci aveva investito, coi programmi Mercury e Gemini) ma niente di meno che Richard M. Nixon, che nel 1971 ancora non era andato a sbattere nello scandalo Watergate. America trionfante, appunto, con uno spettacolo iper-tecnologico diffuso dalla televisione su scala mondiale anche per far dimenticare le amarezze del Vietnam.
Ma un'altra comunità festeggiava le imprese lunari, una comunità non solo statunitense, e cioè quella degli scrittori e degli appassionati di fantascienza. Lo spazio non stava più solo dentro le riviste e nei volumetti di Urania (per noi italiani); lo spazio era a portata di mano, o meglio di missile. Col Saturno V del grande Wernher Von Braun (dei suoi trascorsi nelle SS non se ne parlava ancora...) eravamo arrivati sulla Luna, Marte sembrava logicamente la prossima tappa, e poi, come aveva detto Kubrick nel film epocale di quegli anni, Giove e oltre l'infinito...
Proprio nel bel mezzo di tutto questo esce The Falling Astronauts, opera di uno scrittore allora poco più che trentenne, sicuramente appartenente alle nuovissime leve della fantascienza anche rispetto ai nomi nuovi degli anni Sessanta (Dick, Ballard, Zelazny, Moorcock, Delany, Russ, Tiptree, LeGuin...). Il romanzo è ai limiti tra fantascienza e realismo; niente viaggi interstellari. Parla un astronauta fallito, Richard Martin, che durante una missione Apollo è stato colto da una vera e propria crisi isterica mentre, in orbita attorno alla Luna, non aveva altro da fare che aspettare il ritorno a bordo dei due astronauti scesi sul nostro satellite. La botta da matto (che viene descritta per frammenti man mano che la storia procede) gli è costata la carriera, anche se l'Agenzia (cioè la NASA) non ha ritenuto opportuno divulgare la faccenda; lo hanno tenuto in servizio (per il momento) ma invece di prepararsi a un'altra missione (del tutto esclusa!) si occupa di conferenze stampa dove i soliti giornalisti fanno le solite domande con risposte preconfezionate dall'Agenzia. La NASA vuole vendere l'idea che lo spazio non è niente di pericoloso e minaccioso; che tutto funziona a dovere; che gli astronauti sono professionisti colla testa sulle spalle che sanno quello che fanno; che tutto nelle missioni è programmato a puntino e funziona come un orologio svizzero (o il motore di un'autovettura tedesca...). Insomma, niente imprevisti, niente sorprese, niente colpi di testa; per cui la crisi di nervi del protagonista di The Falling Astronauts non deve trapelare; nessuno deve saperne niente.
Fin qui, di fantascienza non ce n'è molta: la storia della crisi di nervi di Martin si rifà alla difficile missione Mercury di Scott Carpenter (Aurora 7, Maggio 1962 per la precisione), che ebbe seri problemi tecnici durante il rientro, tanto che venne dato per morto finché la sua capsula non venne ritrovata a più di 300 chilometri dal punto previsto di ammaraggio; e si racconta che Carpenter chiedesse affannosamente per radio di essere tirato fuori dalla capsula ( non a caso le sue parole costituiscono l'epigrafe del romanzo di Malzberg). Insomma, in un periodo di trionfo politico e tecnologico per gli Stati Uniti, il nostro racconta una storia di fallimenti; ma non finisce qui. Martin deve dirigere le conferenze stampa della nuova missione lunare, che vede impegnati i suoi colleghi Allen, Davis e Busby. I loro nomi sembrano veri: cognomi bianchi, anglosassoni e protestanti, come quelli di tutti gli storici astronauti del programma Apollo (prevalentemente piloti dell'aeronautica militare americana, anche se le capsule delle missioni lunari non venivano praticamente pilotate tranne in pochi momenti, e sempre sotto stretto controllo dalla Terra). È l'America normale, quella che la NASA rappresenta, sia nella realtà storica che nel romanzo di Malzberg, pur con la crepa costituita dal cedimento di Martin.
Ma la nuova missione non è affatto normale. L'Apollo imbarcherà delle testate nucleari, che verranno fatte detonare sulla Luna per un esperimento sismologico. E la responsabilità dell'uso delle bombe ricade su Busby, il terzo astronauta, quello che – come Martin – non scenderà sulla Luna ma resterà in orbita ad attendere che rientrino gli altri due prima di far partire i fuochi d'artificio.
Martin comincia a notare qualcosa di strano nei rapporti tra i tre astronauti; Allen, comandante della missione, sembra rigido e talvolta impacciato; Davis, un sociologo, sembra un pesce fuor d'acqua e decisamente tonto; Busby pare avere qualche cosa in testa di strano, e Martin non può non identificarsi con lui, dato il ruolo pressoché identico che rivestono nelle missioni, e comincia a chiedersi se il terzo astronauta non stia arrivando anch'egli al punto di rottura.
Non voglio aggiungere altro, anche perché il finale riserva qualche sorpresa. Voglio solo far notare come Malzberg prenda allegramente (si fa per dire) a martellate l'immagine degli astronauti che la NASA proponeva anche nella realtà storica: uomini tutti d'un pezzo, bianchi, capelli col taglio militare, famiglie perbene, mogli impeccabili. Tutto il contrario di quei giovani coi capelli lunghi e vestiti in modo fantasioso che giravano allora per le strade dell'America facendo uso di sostanze proibite, ascoltando musica chiassosa, protestando contro il Vietnam e le politiche repressive di Nixon. Insomma, Malzberg aveva ben chiaro, ed è un punto fondamentale del romanzo, che l'intero programma Apollo (che sicuramente costituiva un enorme investimento tecnoscientifico la cui ricaduta è stata effettivamente enorme), era anche un investimento sociopolitico: doveva proporre agli americani un modello di normalità americana proiettato nello spazio. Un modello vincente.
Ma questo, ed è un discorso che nel romanzo torna spesso, porta alla noia. Che gusto c'è a seguire imprese spaziali sempre uguali, dove tutto è previsto, dove tutto accade all'ora X già fissata da mesi, dove gli astronauti dicono cose già scritte, dove non c'è una sorpresa che sia una? Tolta la prima missione lunare, quella dell'Apollo 11, sembrava che le successive fossero repliche; difficile anche distinguere gli astronauti, simili com'erano. Ce ne fosse stato uno nero, asiatico, italoamericano, ebreo, nativo americano, niente: tutti sani ragazzoni biondi o rossi e cogli occhi azzurri. Alla fine ci ricordiamo l'Apollo 13 proprio perché lì le cose non andarono per il verso giusto e ci fu un po' di dramma, una vera suspense; è la missione fallita che è restata impressa.
Malzberg, insomma, aveva capito cosa intendeva dire Ballard (come al solito il visionario di Shepperton aveva già intuito tutto) quando aveva affermato che l'impresa spaziale americana sarebbe durata poco perché aveva lasciato fuori l'immaginazione. Nell'ansia di tutto programmare fino al minimo insignificante dettaglio, la NASA aveva realizzato un'avventura che di avventuroso non aveva nulla. La noia e il disinteresse del pubblico americano dopo i primi voli fece sì che nel 1972 il programma venisse interrotto cancellando le tre missioni previste e spostando i fondi (ridotti) sullo Space Shuttle. Dopodiché, come ben sappiamo, ci si limita a fare girotondi attorno alla Terra e a sparare qualche sonda verso i pianeti lontani; un po' poco, date le aspettative di allora.
Ma Malzberg non si limita a sbeffeggiare la volontà di controllo totale del programma spaziale e la sua presunzione di portare nello spazio l'assoluta normalità (o quella che l'establishment americano di allora voleva imporre come normalità); ha anche qualcosa da dire sul fatto che il linguaggio degli astronauti era assolutamente censurato, mai un'imprecazione, mai – soprattutto – un'oscenità. Il sesso nello spazio era escluso. Vietato. Impensabile. Anche solo nominarlo, non se ne parla!
E qui l'autore di The Falling Astronauts fa i conti al tempo stesso con il puritanesimo della NASA e quello della fantascienza tradizionale, che dai tempi di Gernsback aveva rimosso il sesso dal genere, perché essendo le riviste pulp rivolte agli adolescenti non dovevano dare scandalo in nessun modo. Magari mettere una bella ragazza un po' discinta (poco!) in copertina, minacciata dall'alieno lubrico, quello sì; ma poi nei racconti niente sesso, siamo fantascientisti. Malzberg, che è un iconoclasta nato, non ci sta. La prima scena del romanzo descrive un rapporto sessuale tra Martin e la moglie nel quale l'astronauta si vede come una navicella che si aggancia a una stazione orbitale (le prime parole del primo capitolo, per di più in maiuscole, sono DOCKING MANEUVER, cioè “manovra d'attracco”...). Malzberg vuole schiaffeggiare subito i suoi lettori; e poi si dilunga a parlare della disastrosa relazione di Martin con la moglie (il divorzio è all'orizzonte perché lei non sopporta più la vita da sposa dell'astronauta), della loro alienata vita sessuale, così come torna e ritorna a descrivere il momento del crollo di Martin durante la sua missione, presentando un'immagine dell'astronauta ben diversa da quella vincente e tutta d'un pezzo offerta dalla NASA.
Non stupisce quindi che le reazioni da parte del mondo della fantascienza non fossero esattamente entusiastiche. Come osava Malzberg buttare fango sul programma Apollo, che sembrava aprire la via dello spazio che fin dai tempi di Verne era stata evocata da gran parte degli scrittori e degli appassionati di fantascienza? Non sorprende che Bob Shaw dicesse, commentando un altro romanzo di Malzberg sempre incentrato sulla figura dell'astronauta (e collegato come vedremo con The Falling Astronauts), “Per me Oltre Apollo di Malzberg è l'epitome di tutto quello che è andato storto nella fantascienza negli ultimi dieci anni”. Non è un giudizio incoraggiante.
Ma cos'ha Oltre Apollo che disturbò così tanto uno scrittore classico di fantascienza come Shaw? Diciamo subito che in pratica si può leggere tranquillamente come un sequel di The Falling Astronauts, anche se Malzberg non lo dice apertamente. Il programma lunare è chiuso; la NASA ha fatto un tentativo con Marte, finito male anche se non si spiega più di tanto come mai; si tenta allora di raggiungere Venere con un equipaggio ridotto per risparmiare, solo due uomini, e cioè Evans, l'io narrante del romanzo e il Comandante; una spedizione fatta nella speranza di avere un successo comunque, pur nella consapevolezza che Venere potrebbe essere un posto ancor più inutile della Luna. Ma le cose non vanno a finire affatto bene, come si capisce già dall'inizio della narrazione:
A modo mio lo amavo, il Capitano, anche se sapevo che era matto, il povero bastardo. Ma era colpa sua solo in parte: uno deve tener conto delle condizioni. Le condizioni erano intollerabili. Questa cosa non funzionerà mai.
Solo Evans è tornato dal viaggio verso Venere. Che fine ha fatto il Capitano? Solo Evans lo sa veramente, e non si fa problemi a dirlo: racconta, racconta, racconta, solo che ogni volta la storia è diversa. E le varie versioni di cosa è successo durante il viaggio verso il secondo pianeta sono incompatibili tra di loro. Il Comandante si è suicidato, no, l'ha ammazzato Evans per difendersi perché era impazzito, no, è stato suggestionato telepaticamente dai venusiani, no... una girandola di versioni contrastanti. Perché l'astronauta fa questo? Dopo un po' che si seguono i suoi ragionamenti e sproloqui, è inevitabile farsi venire il dubbio che Evans sia impazzito durante il viaggio, ma arrivando a una situazione di disagio mentale ben più grave di quella di Martin in The Falling Astronauts. Non a caso è ricoverato in un'istituzione a metà tra il carcere, il manicomio e una base spaziale, ed è seguito da Forrest, uno psichiatra che si sforza, per quanto con metodi discretamente grotteschi (ma il grottesco in Malzberg spunta da tutte le parti, come ci si può aspettare da un discepolo di Kafka quale lui è), di far confessare Evans, di arrivare alla vera storia della spedizione su Venere e del suo fallimento. Ma è veramente pazzo, Evans, oppure finge di esserlo perché quello che sa non lo vuole comunicare, forse perché è una rivelazione troppo devastante per l'umanità?
Di sicuro l'immagine dell'astronauta che il romanzo trasmette è l'esatto opposto di quella rassicurante e ordinata e prevedibile che tanto piaceva alla NASA, e – c'è da credere – anche al presidente Nixon.
Pensate cosa sarebbe successo se dalla Luna fossero tornati solo Collins e Aldrin, e avessero cominciato a raccontare versioni diverse della morte di Armstrong, incluse scene di omosessualità. Ecco, questa assoluta mancanza di rispetto per il mito degli astronauti come si era andato costruendo per tutti gli anni Sessanta, fino all'apoteosi della notte della Luna, spiega abbastanza bene perché a Bob Shaw (e altri autori di fantascienza più tradizionalisti) Oltre Apollo restò proprio sullo stomaco. Ma Malzberg non si ferma qui. In pratica Evans, oltre a essere la negazione dell'astronauta eroico e responsabile (che era stato proposto non solo dalla NASA, ma anche da classici della fantascienza come “La caverna della notte” di James Gunn, oppure Oltre Venere di John Wyndham), è anche un autoritratto dello scrittore di fantascienza. Lo dice Evans stesso, che ha intenzione di scrivere un romanzo, proprio all'inizio del secondo capitolo; alla fine il romanzo verrà scritto e addirittura acquistato da una casa editrice (la stessa che effettivamente pubblicò Oltre Apollo). Ma allora chi parla veramente? L'astronauta Evans di ritorno da una missione misteriosamente fallita, o Barry Malzberg che finge di essere Evans? Del resto, da un certo punto di vista sia l'astronauta che lo scrittore dovrebbero dirci com'è andata, e raccontarci una storia che abbia un capo e una coda; ma non lo fanno né Evans né Malzberg. Ci presentano tante possibilità, ma alla fine non sappiamo a quale credere.
Capirete che i lettori affezionati a una fantascienza dove alla fine le cose, anche se per caso dovessero andare a finire male, si spiegano (come nel caso di un altro classico racconto di viaggio su Marte, “L'uomo che perse il mare” di Theodore Sturgeon), saranno rimasti piuttosto sconcertati alla lettura di Oltre Apollo, soprattutto tenendo conto che nei primi anni Settanta, nonostante si fosse avviata l'ondata sovversiva e rivoluzionaria della New Wave (sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti), la stragrande maggioranza dei lettori abituali di fantascienza era rimasta legata alla tradizione dell'Età dell'Oro. Ma Malzberg, pur conoscendo benissimo la tradizione del genere, guarda anche ad altri modelli: Kafka, come s'è detto, ma anche Norman Mailer, per non parlare del più grande iconoclasta del genere (un altro che faceva perdere la pazienza ai “vecchi leoni”), e cioè J.G. Ballard; e nella sua scrittura si sentono anche echi di un altro teppista come Philip Roth, il Roth degli esordi, del Lamento di Portnoy (sarà un caso se tre di questi quattro ispiratori sono accomunati a Malzberg dall'origine ebraica?).
Nello stesso anno in cui esce Oltre Apollo il nostro pubblica anche Revelations, altro romanzo inedito da noi. Peccato, perché l'argomento è assolutamente d'attualità, fors'anche più delle imprese dei cosmonauti. (Ci tengo a far notare che nel solo 1972 Malzberg pubblicò ben sei romanzi; è vero che non erano di quei mattoni ai quali siamo abituati oggi – la misura tipica del nostro è poco sotto le 200 pagine – ma come produttività credo ci siano pochi altri che gli tengano testa, forse Silverberg e Moorcock...)
Revelations (credo di non dover tradurre) è il titolo di un programma televisivo immaginario, condotto dallo spregiudicato presentatore Marvin Martin. La formula del programma è qualcosa che oggi ci risulta familiare, ma quarant'anni fa suonava decisamente fantascientifica: a ogni puntata si presenta una persona a raccontare la storia della sua vita; Martin praticamente fa a pezzi l'ospite, ponendogli domande imbarazzanti e spesso offensive sulle sue motivazioni, sui suoi rapporti personali, sulla sua famiglia, sulla sua moralità, e ovviamente (abbiamo capito che è un chiodo fisso di Malzberg, ma di chi non lo è?) sulla sua vita sessuale. In pratica l'ospite sta lì per essere sadicamente demolito da Martin, sotto gli occhi degli spettatori che se la godono un mondo. La giustificazione di questo linciaggio televisivo è che così si accede alla vera vita delle persone, che si fanno cadere tutti i tabù e le ipocrisie, che si vede la realtà in faccia per quello che è. Erano o non erano gli anni della liberazione dei costumi, quelli? Insomma, nel 1972 Malzberg aveva previsto quella che oggi chiamiamo reality TV, e quel che succede agli ospiti di Revelations altro non è che una versione intensificata del trattamento riservato da un talk radio host come Cruciani ai malcapitati che hanno la cattiva idea di telefonare alla Zanzara su Radio24...
Ma la realtà della TV è quanto di più artefatto ci sia. Prima di andare in onda gli ospiti vengono selezionati da Hurwitz, il braccio destro di Martin, che screma tutti i mitomani e quelli che non hanno storie sufficientemente interessanti; inoltre, prima di andare veramente in onda, i vari personaggi selezionati devono sostenere dei colloqui preliminari con il presentatore. Tutto è orchestrato in anticipo, tutto è calcolato e preparato. Proprio come nella cosiddetta reality TV, proprio come nel Grande fratello. Proprio come nelle missioni lunari...
Quando il romanzo inizia, in realtà, Revelations è in fase calante. Ha avuto due anni di gran successo, ma ora, a metà della terza stagione, comincia a perdere colpi, e Hurwitz ne è ben consapevole; come pure lo sa Martin, che diventa per questo sempre più irritabile e aggressivo. Per quanto all'inizio la novità fosse scioccante, la gente alla fine si abitua e si annoia (un po' come gli sbarchi sulla Luna...). Per cui Hurwitz viene messo spietatamente sotto pressione da Martin: deve trovare assolutamente ospiti che buchino lo schermo, storie sconvolgenti, cose mai sentite. Tra l'altro, c'è anche il problema di qualche rete televisiva concorrente che è riuscita occasionalmente a infiltrare in Revelations dei personaggi tarocchi, gente dalle storie contraffatte, che in trasmissione fanno crollare miseramente il programma.
E a questo punto torna in scena lo spazio: Hurwitz riceve una lettera da un ex-astronauta, Walter Monaghan, che vuole partecipare al programma. Ne ha di cose da rivelare, e le descrive con dovizia di particolari nella sua lettera, alla quale allega un lungo memoriale: lo sbarco sulla Luna è stata una truffa, tutto ricostruito in uno studio televisivo, la NASA non ce l'ha fatta ad arrivare al nostro satellite, è stato una fallimento, e per nasconderlo al pubblico americano le scene dello sbarco sono state girate in studio, ricostruite nei minimi dettagli. Inoltre, diversi astronauti sono impazziti per le cose spaventose che hanno dovuto sopportare durante le missioni lunari; alcuni sono stati fatti sparire, ricoverati in cliniche psichiatriche segrete per evitare che il pubblico americano scoprisse l'altra faccia del programma spaziale.
Ma come fanno a stare insieme le due cose? Se gli astronauti non sono andati veramente sulla Luna, com'è che sono impazziti per lo stress delle missioni? Le spiegazioni di Monaghan non convincono del tutto, e Hurwitz comincia a chiedersi se l'ex-astronauta non sia un mitomane, o non sia squilibrato al punto da non sapere più bene cosa gli è successo (come, forse, Evans in Oltre Apollo), o magari sta fingendo per qualche scopo losco; ma Marvin Martin decide che il caso di Monaghan è interessante, per cui vuole andare fino in fondo e portarlo in trasmissione...
Ecco, mi fermo qui perché anche Revelations ha un finale che sorprende, e ricollega il romanzo a parecchie cose accadute nel decennio immediatamente precedente alla sua pubblicazione, non solo il programma Apollo e l'epopea lunare. Però credo che a questo punto vi sarete fatti un'idea della stranezza della fantascienza di Malzberg, ma anche della sua complessità. Sono romanzi che fanno sicuramente girare la testa e spiazzano, e il motivo per cui alla fine della fiera il nostro resta una figura in ombra a casa sua, e pochissimo conosciuta da noi, è che molti appassionati di fantascienza, anche se parlano spesso di sense of wonder, dei giramenti di testa ne hanno paura.
Ma se non avete problemi a farvi scombussolare, se il sesso (raccontato) non vi disturba, se le personalità contorte e psicotiche non vi spaventano, se le storie labirintiche dove ci si perde facilmente non vi scoraggiano, e se pensate che la nostra realtà sia tutt'altro che razionale e ordinata ma includa una bella fetta di pazzia, allora sicuramente la lettura della narrativa di Malzberg potrebbe interessarvi, e forse pure (chissà) piacervi.
Chiudo il discorsetto con un'ultima noticina: pare che qualcuno abbia in programma di realizzare un film basato su Oltre Apollo. Si parla di Bill Pullman come interprete. Il grande database del cinema, IMDB, lo dà in fase di sviluppo, il che non vuol dire molto; la storia del cinema è piena di progetti non realizzati. In ogni caso, vuol dire che l'interesse attorno a Barry Norman Malzberg e alle sue storie scombussolate e scombussolanti ancora non è morto, come prova anche il fatto delle recenti ripubblicazioni (da noi, per quanto poche) e del permanere in stampa, se non altro in formato ebook, delle sue opere (in inglese). Può essere benissimo che di lui e dei suoi astronauti esauriti, sbroccati, falliti, bugiardi, inattendibili e inaffidabili ne sentiremo riparlare.
* Tutti scritti, a detta di Malzberg, in meno di un anno.
Barry N. Malzberg
31 Agosto 2015
dal sito Cronache di un sole lontano
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