INTERROGATIVI INQUIETANTI
di Antonio Moscato
È forte la tentazione di spegnere per qualche giorno la TV e di non comprare i quotidiani farciti di discutibili inchieste su particolari inutili, che vorrebbero dare l’impressione di una sovrabbondanza di informazioni mentre hanno spesso lo scopo di impedire una riflessione su quello che sta accadendo.
Ma bisogna reagire: non è possibile accettare che col pretesto della lotta al terrorismo si limitino diverse libertà, a partire da quella di manifestazione, vecchio obiettivo di tutti i governanti a prescindere delle circostanze, naturalmente legalizzando quel che si fa da sempre senza dirlo e senza autorizzazioni formali: controlli generalizzati di telefoni, computer ecc. Senza che serva minimamente a scoprire in tempo chi prepara un attentato.
Dobbiamo domandarci a che serve l’indicazione della religione nelle schedature di chi viaggia nell’UE, di cui si sta discutendo oggi a Bruxelles. Non avrebbe mai scovato Hasna, la cugina di Abdelhamid Abaaoud, la ragazza che si è fatta saltare in aria a Parigi: non solo per dissimulazione fino a poco tempo fa Hasna frequentava bar, beveva alcolici, si truccava e postava su Face Book una sua foto immersa nella vasca da bagno… Già si era visto dopo gli attacchi a Charlie Hebdo e al supermercato Kasher che i protagonisti erano generici sballati di periferia, coinvolti in piccole attività di spaccio, e conquistati da poco tempo alla Jihad. Come identificarli nella mole enorme di intercettazioni e segnalazioni?
In realtà questa schedatura sulla religione rende ancora più facile la diffusione e il consolidamento di una islamofobia inaccettabile, anche perché può generare ancora una volta risposte esasperate e facilitare quindi involontariamente il reclutamento all’ISIS o altre organizzazioni di altri “combattenti”.
A mano a mano che per effetto di emulazione, e per la facilità di successo che può avere un attacco di sorpresa a un obbiettivo non particolarmente sensibile (come ad esempio il buon albergo di Bamako frequentato prevalentemente da europei), si moltiplicheranno gli attacchi in paesi diversi e lontani tra loro; questo avvalorerà apparentemente la teoria, sostenuta da gran parte dei governi, di un’unica organizzazione mondiale del terrore. Con questa assurda schedatura sulle idee religiose sarà forse più facile scovare in tempo chi li sta preparando?
Gran parte delle polizie, bravissime a molestare i deboli, in realtà si rivelano incapaci di prevenire crimini veri e capacissime invece di supplire alla mancanza di informazioni reali con montature di cui gli sbirri sono sempre esperti: basti pensare al ragazzo marocchino presentato dalla polizia tunisina (democratica…) come l’organizzatore dell’assalto al museo del Bardo, mentre stava in Italia dalla madre e risultava per fortuna presente alle lezioni in una scuola pubblica che frequentava assiduamente. Di casi di montature del genere ne conosciamo tante in tutti i paesi, Italia inclusa, e naturalmente se incastrano facilmente degli innocenti, rendono più facile l’impunità ai colpevoli.
L’obiettivo di questa breve nota non è solo la denuncia del carattere pretestuoso delle misure che limiteranno le libertà di tutti col pretesto di un pericolo terrorista che rimarrà ugualmente scarsamente prevedibile, ma una riflessione da immettere nel dibattito sul terrorismo. Come mai questo nuovo attacco ha scelto Bamako? Per la maggior parte degli italiani è inspiegabile, semplicemente perché ignorano tutto della storia del Mali, e degli altri paesi della stessa area (Senegal, Burkina Faso, Niger, Ciad, ecc.) che hanno sofferto ugualmente per la dominazione coloniale francese e per le numerose ingerenze nelle loro vicende interne anche dopo l’apparente decolonizzazione. Nessuno si domanda come mai a Bamako al momento dell’attacco all’albergo c’erano già le teste di cuoio francesi?
In Mali le truppe francesi sono entrate più volte, a richiesta di un governo formalmente legittimo e a volte contro di esso: dal gennaio 2013 sono entrate in forza, spalleggiate da truppe ciadiane e nigeriane, per riconquistare la regione settentrionale finita in mano a un’alleanza tra islamisti e tuareg; le truppe neocoloniali sono state poi come sempre benedette dall’ONU, che le ha trasformate in MINUSMA (Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite in Mali). Mi dispiace dirlo, ma avevano forse più legittimità i ribelli del nord che le truppe francesi. Ricordiamocelo prima di gridare al terribile attacco alla nostra civiltà…
E comunque le ingerenze negli affari interni dopo la formale indipendenza non sono un’esclusiva della Francia, si pensi ad esempio al ruolo della Gran Bretagna in Nigeria e dell’Italia in Somalia…
Ormai le micce sono state innescate, e dovremo fronteggiare dopo ogni episodio di terrorismo reazioni pericolose che rischiano di creare una spirale tremenda: cominciamo a discutere seriamente sulla tragedia della decolonizzazione spezzata già sul nascere col criminale intervento nel Congo ex belga, con l’URSS che delegava all’ONU, e l’ONU che copriva gli assassini di Lumumba. È una storia poco conosciuta, ma che ci riguarda, anche in Italia, dato che nostri “eroi” (sotto le bandiere dell’ONU e dell’Union Minière) hanno contribuito negli anni Sessanta a sconfiggere le guerriglie lumumbiste… Ed è ancora più importante importante rilanciare urgentemente la discussione sui molti crimini che hanno caratterizzato la nostra breve e velleitaria esperienza coloniale.
20 Novembre 2015
dal sito Movimento Operaio
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