EDUCAZIONE FINANZIARIA
di Antonio Moscato
La trovata del presidente della repubblica Mattarella di istituire una specie di “educazione finanziaria” per aiutare i cittadini a non finire spennati, appare risibile, ed elusiva rispetto alla questione dell’assenza totale di controlli sui vertici delle banche. Dà l’idea che la colpa sia della sbadataggine e impreparazione delle vittime, anziché del cinismo e della rapacità dei banchieri e dei capitalisti.
L’Italia ha una lunga tradizione di intreccio tra criminalità e banche. Basta riandare allo scandalo della Banca Romana (1893), che vide coinvolte anche Banco di Napoli e Banco di Sicilia, con tanto di omicidi eccellenti di amministratori e inquirenti. Già nel 1889 una serie di fallimenti di banche minori aveva rappresentato un segnale di allarme, ma il governo Crispi aveva ordinato di nascondere i risultati di un’inchiesta, e aveva tappato alcune falle con un sussidio di 50 milioni (cifra altissima per quel tempo) alla Banca Tiberina e al Banco di sconto e sete di Torino. Nel 1892 il nuovo presidente del consiglio Giovanni Giolitti nominò senatore del regno Bernardo Tanlongo, governatore della Banca Romana (l’ex banca dello stato pontificio), generoso dispensatore di prestiti a fondo perduto a uomini politici e d’affari. Tanlongo, un ex fattore semianalfabeta, aveva semplicemente fatto stampare a Londra duplicati di intere serie di moneta già in circolazione, per l’ammontare di molte decine di milioni, oltre a svuotare le casse della Banca di altre decine di milioni con metodi più tradizionali e semplici. Il tutto per finanziare la mastodontica speculazione edilizia che aveva trasformato Roma in poco più di venti anni, e anche i politici che l’avevano consentita.
Come “educazione finanziaria” basterebbe studiare bene quella vicenda, senza dilungarsi troppo a esaminare i tanti casi successivi, ad esempio quelli di Roberto Calvi e Michele Sindona. E senza pensare che questi siano stati episodi isolati. Se ci si pensa un po’, vengono in mente altri esempi di morti strane, anche durante la recente crisi del Monte dei Paschi, ad esempio.
A proposito delle quattro medie o piccole banche di cui si è parlato molto in questi giorni, quello che andrebbe denunciato non è tanto il salvataggio in extremis con i soldi dello Stato (cioè dei lavoratori e pensionati, principali contribuenti) come fanno i 5 stelle, quanto l’esistenza stessa di queste banche che hanno prosperato per anni spennando i piccoli risparmiatori con una tecnica che è antichissima, tanto è vero che ne parlava già Voltaire nel suo Dizionario filosofico nella seconda metà del Settecento: il maggior guadagno delle banche, scrive, “dipende dall’intelligenza del banchiere e dall’ignoranza di chi ordina le lettere di credito. I banchieri, tra loro, usano una lingua speciale, come gli alchimisti; e il passante non iniziato a quei misteri viene sempre abbindolato”. Altrettanto avviene per uno spostamento di denaro ad esempio tra Berlino e Amsterdam, e viceversa: a ogni passaggio viene decurtato di una quota. “Lui mi deruba – scrive – e io lo ringrazio”.
Anche senza gli esempi che porta Voltaire, ognuno di noi sa che quando ha dovuto fare la più piccola operazione che non fosse un prelievo o un piccolo versamento, ha dovuto mettere una decina di firme su 5 o 7 fogli riempiti di clausole scritte in caratteri microscopici, che di fatto era impossibile leggere. Bisognava fidarsi o fare notte. O rifiutare, come ho fatto io, bersagliato per anni da suadenti procacciatrici di investitori, interne o esterne alla banca, qualsiasi tipo di proposta. Ma il fenomeno è fisiologico. Nessuna banca, nessuna società per azioni, prospererebbe se non avesse la possibilità di spennare i piccoli risparmiatori, che sottoscrivono azioni o obbligazioni senza poter mai incidere sugli investimenti e le scelte strategiche. E senza neppure sospettare che queste banche, che ribadiscono ogni momento la loro “vocazione a operare sul territorio”, in realtà cercano profitti acquistando bond momentaneamente convenienti, ma spesso tossici, in paesi lontanissimi…
La crisi attuale appare terribile e distruttiva perché per molti anni c’erano stati i margini per lasciare un po’ di briciole al risparmiatore che voleva arricchirsi giocando in borsa. Qualcuno ci era riuscito, e aveva fatto da esca per altri pesci piccoli. Per anni c’è stato un martellamento continuo per convincere che la sicurezza nella vecchiaia non si otteneva con le pensioni INPS o statali (che venivano intanto rosicchiate dalle “riforme” senza che ci fossero molte proteste), ma destinando il TFR a un fondo pensione privato, e soprattutto investendo in piccole e medie operazioni in borsa consigliate dalla banca all’angolo della strada. Chi tentava di farlo da solo finiva più rapidamente sul lastrico, ma moltissimi sono stati pilotati proprio dalla loro banca verso l’acquisto di attraentissimi bond argentini, o di azioni della Parmalat.
Tuttavia anche se alcuni avevano subito perdite gravi, non si era manifestato un disagio collettivo come nel caso di Banca Etruria o Banca Marche e simili, probabilmente perché le perdite erano un fatto individuale che molti ritenevano temporaneo. Ora invece c’è la sensazione che si delinei un crollo generale e irreparabile; pesa anche la rabbia per il lusso ostentato dagli amministratori come segno della loro ascesa da dirigenti di modeste banche locali a operatori che tentavano la scalata all’olimpo della finanza internazionale. Di una delle banche non ancora crollata, ma in gravissime difficoltà, la Venetobanca, si è saputo che il presidente aveva ritenuto necessario dotarsi di un jet personale… Ma è vero peraltro che le migliaia di risparmiatori che hanno visto le loro azioni ridursi a meno di un decimo del valore originario hanno protestato a gran voce contro il furto, ma si sono poi rassegnati a votare si (al 97%!) alla trasformazione della loro banchetta in SPA, lasciandola comunque nelle mani degli stessi vampiri che l’hanno spremuta finora. Intervistati dalle TV nazionali dicevano peste e corna dei “ladri”, ma ammettevano che li avrebbero votati ancora, perché “non c’è alternativa”.
È assurdo: l’alternativa c’è e sarebbe semplicissima: esproprio senza indennizzo con rivalsa sui beni di chi l’ha amministrata e portata al disastro. Ma una proposta del genere è letteralmente sparita dal vocabolario della sinistra, da decenni. Così i “salvataggi” sono a carico nostro, ma lasciano le banche nelle mani che le hanno portate al dissesto. Sarebbe bene che la sinistra ricominciasse a discutere di un programma di lotta, anziché fare proprio quello del padronato, ritoccandolo con un più uno o un meno uno, come ha fatto negli ultimi sciagurati trent’anni!
22 Dicembre 2015
dal sito Movimento Operaio
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