CINEMA

domenica 17 gennaio 2016

COME AFFRONTARE LA BARBARIE DILAGANTE di Antonio Moscato







COME AFFRONTARE LA BARBARIE DILAGANTE
di Antonio Moscato



L’articolo Califfato e barbarie è stato pubblicato senza l’ampio preambolo con cui di solito presentavo testi che potevano essere fraintesi. Lo si deve soprattutto alle difficoltà che ho, alla mia non più verde età, a padroneggiare i problemi tecnici di un sito diverso da quello a cui mi ero abituato da anni (che tra l’altro sembrava potesse essere riparato in questi giorni, ma era solo un miraggio).

Per questo motivo banale avevo concentrato la mia attenzione solo sui problemi tecnici della pubblicazione. Ho ricevuto subito una critica dovuta a mio parere a un fraintendimento: scopo dell’articolo non era quello di attenuare il giudizio sui crimini dello Stato islamico o raccogliere gli argomenti della propaganda a volte insidiosa che il califfato fa per conquistare seguaci in occidente.

L’asse dell’articolo era espresso dalla domanda iniziale: “I giorni del Califfato sono sicuramente contati, ma rimarrà invece l’interrogativo: perché funziona?” e dalla constatazione conclusiva: “decine di migliaia di giovani, soprattutto molti giovani proletari, attraversano il pianeta per andarci a vivere o a morire, e molti altri ne vagheggiano”. Il problema ignorato dalla propaganda demonizzante che presenta lo Stato Islamico solo come un problema militare da risolvere con qualche bombardamento in più, che ovviamente colpisce popolazioni del tutto estranee al califfato, in Siria come in Libia, è che alcuni milioni di iracheni e siriani hanno deciso (in genere malvolentieri) di restare nelle zone occupate dal califfato, che non amano ma appare non peggiore di molti altri Stati della regione, compreso il regime di Assad, e di buona parte delle forze che continuano a combatterlo. L’autore dell’articolo, evidentemente legato alla cultura anarchica, giustamente sottolineava che “il fatto che l’amministrazione del Califfato si imponga freddamente con la violenza e l’arbitrio, non è certo una ragione per privarla del nome di Stato, al contrario”. (A.M)


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Nella lettura prevalente sui mass media del fenomeno jihadista si accentuano le sue caratteristiche mostruose (che d’altra parte Leoni non nasconde affatto) ma si tace in genere sulla capacità di questo Stato Islamico di assicurare anche la scuola (orribile per i suoi contenuti, certo, ma con i libri di testo utilizzati, senza che nessuno se ne indigni, nell’Arabia Saudita), la sanità, i trasporti, l’approvvigionamento delle città, meglio di quanto faccia il regime di Assad… Senza tacere che “la repressione è spietata”. Ma, pur essendo “abominevole”, non appare meno sopportabile di quella esercitata dall’Arabia Saudita al suo interno, nello Yemen, nel Bahrein, o da un’altra preziosa alleata dell’Occidente, la Turchia, nelle zone curde e non solo in quelle. Su questo aveva fornito una ricca documentazione il penultimo numero di Limes su “La strategia della paura” che avevo recensito sul sito.

Il nuovo attacco nel Burkina Faso di ieri permette di allargare il discorso a un altro aspetto. Anche se falsato da una evidente “concorrenza” tra diverse organizzazioni jihadiste, è evidente che pur senza assumere le caratteristiche statali dell’ISIS, in Africa la diffusione dell’integralismo islamico va ben oltre i ristretti confini delle province controllate da Boko Haram nel Nord della Nigeria e dagli Shabab tra Somalia e Kenia, o di qualche pezzetto di Libia. E non è difficile per i mandanti lontani trovare alcuni disperati volonterosi anche se poco addestrati per facili colpi ad effetto propagandistico contro un albergo per occidentali o per membri delle Nazioni Unite. Attacchi che possono assicurare consensi ulteriori perché si appoggiano ai risentimenti verso l’ultima inguaribile potenza coloniale, la Francia, presente ovunque senza ritegno con i suoi corpi armati e le sue società minerarie, e verso l’ONU che in Africa ha più scandalosamente che altrove semplicemente avallato ogni sopraffazione, e ogni prepotenza, affidando spesso i compiti di interposizione alla Francia e ai suoi vassalli. Silenzio totale ad esempio sulla barbarie delle guerre civili (con abbondante partecipazione straniera) nella repubblica democratica del Congo, che ha pagato con cinque milioni di morti la colpa di essere uno “scandalo geologico” col 33% delle riserve di cobalto, di diamanti, di uranio e i tre quarti delle riserve mondiali del coltan indispensabile per computer e cellulari. Ma nel Congo ex Zaire c’è appena un 10% di islamici, assolutamente estranei a questi conflitti, di cui quindi non si parla…

Né si dice che l’attacco a Ouagadougou non era tanto un attacco all’occidente, o alla Francia (come assicura Hollande) ma anche e forse soprattutto a uno dei pochi paesi che dopo quasi trent’anni di una dittatura appoggiata dall’occidente aveva ritrovato con la lotta la strada per un assetto democratico riallacciandosi alle sue origini ispirate dal generoso Thomas Sankara.

Questo del facile reclutamento è un altro problema, diverso da quello delle ragioni per cui lo Stato islamico si è affermato ritagliandosi senza fatica un territorio tra Siria e Iraq: la sua forza di attrazione gli mette ormai a disposizione, in Europa, in Africa e come abbiamo appena visto anche in Asia, una notevole riserva di combattenti, pronti ad andare a morire “per la causa” dopo un più che sommario addestramento.

Il fenomeno dell’integralismo islamico, presentato in Occidente come una misteriosa incarnazione del male assoluto, da estirpare a suon di bombe, non appare tale a gran parte degli abitanti della regione, che non capiscono perché da Parigi, Londra, Roma o Washington si pretenda di decidere su come devono essere i governi, e imporre l’inviolabilità di confini tracciati un secolo fa dalle potenze coloniali a migliaia di chilometri di distanza. Ignorare questo e tentare assurde soluzioni militari significa moltiplicare la manovalanza disponibile per rispondere portando la lotta a casa nostra col terrorismo.

Fermiamo l’avventurismo di chi ci governa e della casta militare, che possono farci precipitare in ben più tragici avvenimenti.


16 Gennaio 2016

dal sito Movimento Operaio



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