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martedì 1 marzo 2016

LA SINISTRA E I REFERENDUM di Antonio Moscato





LA SINISTRA E I REFERENDUM
di Antonio Moscato




Alcune considerazioni sui problemi posti alla sinistra dall’intrecciarsi a breve distanza tra referendum dal significato assai diverso.
Il primo è quanto rimane di un complesso sistema referendario che affrontava aspetti diversi della devastazione dell’ambiente da parte di trivellazioni alla ricerca di idrocarburi, e di cui - dopo gli interventi di governo, Cassazione, Corte costituzionale - è rimasto solo il quesito sulla fine delle trivellazioni a mare entro 12 miglia dalla costa. Privato degli altri quesiti, questo referendum riguarda quindi un problema che tocca direttamente solo una parte abbastanza piccola della popolazione italiana, e rischia di rimanere perciò molto al di sotto del quorum necessario, anche perché le regioni che l’hanno formalmente proposto non hanno poi fatto nessuna campagna informativa, ed è mancata la sensibilizzazione dell’opinione pubblica che c’era stata nel caso di campagne referendarie organizzate dal basso raccogliendo le firme. Pesa il fatto che le motivazioni che hanno spinto alcune regioni ad accogliere una proposta che partiva da movimenti ambientalisti erano diverse, e la forma scelta insidiosa, perché dava l’impressione che il più fosse fatto.
Il governo (con l’avallo del presidente della Repubblica) ha fatto il resto anticipando la data al 17 aprile ed evitando che coincidesse con le elezioni amministrative (parziali ma con risonanza nazionale) allo scopo di ridurre ulteriormente la possibilità di informare gli elettori almeno dell’esistenza del referendum.
L’obiettivo di Renzi e della Guidi, la più diretta rappresentante di Confindustria nel governo, è ovviamente quello di utilizzare il mancato raggiungimento del quorum per sostenere che gli elettori hanno sconfessato gli ambientalisti.


È ovvio che nelle poche settimane che mancano al voto bisogna moltiplicare gli sforzi per informare l’opinione pubblica, anche e soprattutto collegando il parzialissimo aspetto della trivellazione adiacente alle coste più belle a quello più generale della devastazione dell’ambiente, e della pericolosità delle scelte che privilegiano l’estrazione di idrocarburi. E spiegando che la politica truffaldina del governo sarà incoraggiata se riuscirà a far fallire questo referendum svuotandolo di ogni significato almeno simbolico, grazie alla rassegnazione e allo scarso impegno di una parte degli stessi promotori iniziali.
Ma un altro non facile problema che la sinistra deve affrontare riguarda l’atteggiamento verso l’altro referendum già programmato per l’autunno, quello che dovrebbe confermare (ma potrebbe anche far saltare) la “riforma” costituzionale di Renzi. Una parte della sinistra potrebbe essere spinta all’indifferenza (se non all’astensionismo) da uno scontro che risultasse polarizzato da un lato dall’arroganza del premier, dall’altro da una coalizione tra i suoi inconsistenti rivali della sedicente “sinistra” interna al PD, e le varie sigle che si contendono velleitariamente il progetto di costruire un nuovo polo riformista formalmente esterno al PD, ma non antagonistico ad esso. Difficile trovare un atteggiamento veramente astensionista, non foss’altro perché Renzi ha annunciato che in caso di sconfitta se ne andrebbe (ma Renzi è notoriamente un bugiardo dalla memoria cortissima); basterebbe però uno scarso impegno per lasciare la rappresentanza del NO a rappresentanti della vecchia politica screditata.
Invece è necessario che la sinistra si impegni attivamente per convincere il maggior numero di cittadine e di cittadini ad esprimere il proprio dissenso nei confronti della pessima riforma costituzionale e istituzionale imposta da Renzi e dal suo governo, una controriforma che, con il pretesto populistico della “semplificazione” istituzionale, punta a concentrare i poteri nell’esecutivo, a eliminare il delicato e importante sistema di contrappesi scelto dall’assemblea costituente. In tal modo le cittadine e i cittadini, già così tanto delusi dalla politica, verranno ancora più espropriati del potere di decidere sui propri rappresentanti e dunque di incidere sulle scelte politiche, economiche e sociali che li riguardano. E alla riforma costituzionale è collegata anche la grottesca riproposizione della logica del Porcellum ribattezzato Italicum.

Non sono mai stato entusiasta della Costituzione italiana, sistematicamente inattuata non a caso, ma proprio perché costruita in modo di lasciare come compensazione simbolica delle belle formulazioni astratte disinnescate subito da clausole che lasciano aperte tutte le soluzioni.
Esemplare il caso dell’art. 11, che ha consentito da oltre un trentennio la partecipazione a non poche guerre in terre lontane, mascherate da imprese umanitarie perché avallate da “organizzazioni internazionali” (NATO, ONU, UE, ecc.) che garantiscono appunto di voler “assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni” (bombardandole).
Ma oggi l’attacco alla Costituzione assume un significato allarmante. Il governo e le forze economiche e sociali che lo sostengono puntano a formalizzare in un disegno istituzionale di impronta autoritaria quel sistema decisionale che, negli ultimi anni, ha già loro consentito di cancellare o perlomeno ridurre drasticamente le conquiste sociali ottenute con decenni di lotte, dalla Resistenza in poi. E la riforma istituzionale e costituzionale punta a rendere ancora più agevole la prosecuzione di questa politica antipopolare. Proprio per questo, la sinistra deve assumere un ruolo attivo nella campagna per il NO caratterizzandola fortemente sul piano sociale, e collegando tra loro i vari pezzi del puzzle reazionario (distruzione dell’ambiente, cancellazione dei diritti dei lavoratori, soffocamento economico della sanità pubblica e della scuola statale di ogni livello, evasione fiscale legalizzata e finanziata con lo smantellamento progressivo del sistema pensionistico, insensate spese militari, ecc.).

Ciò è tanto più importante perché in tutta l’Unione Europea si moltiplicano gli attacchi ai diritti democratici in ciascun paese, oltre che essere collettivamente condotti nei confronti della Grecia, bersaglio simbolico ma concretissimo. Tsipras ha dato una mano, disprezzando totalmente il risultato imprevisto di un referendum che aveva voluto sperando che gli elettori gli dessero un pretesto per la resa a cui si era già rassegnato.
Al di là dell’emergere prepotente di partiti e movimenti di estrema destra dalla Francia all’Ungheria, dalla Germania all’Italia, è inquietante lo spostamento a destra di gran parte dei governi che dovrebbero fronteggiarli. Tanto più se ciò avviene in un contesto europeo in cui diversi paesi sono in prima linea nei preparativi di una guerra dai fronti indeterminati. E si sa che la vigilia di ogni guerra è sempre stata accompagnata dalla cancellazione di tutti o di parte dei diritti democratici da parte di tutti contendenti.
Di fronte all’incertezza del risultato dei due referendum già fissati, è forte in alcuni la tentazione di rispondere subito (anche prima del 17 aprile) rilanciando un certo numero di referendum che riprendano i temi contenuti nei referendum cassati. Contemporaneamente anche la FIOM sta preparando altri referendum per abrogare le normative che hanno soppresso diritti dei lavoratori. Forse sarebbe bene fare prima una riflessione approfondita su successi e insuccessi delle ultime campagne referendarie.
Pesa ancora sulla sinistra la constatazione amara che perfino il successo clamoroso dei referendum sull’acqua del 2011 è stato subito beffato da governo e regioni (compresa la Puglia allora guidata da Vendola); nella sinistra poi è rimasto l’amaro perché il referendum per l’estensione dell’art. 18 che aveva visto il piccolo PRC che l’aveva promosso conquistare il 15 giugno 2003 dieci milioni e mezzo di voti (mentre nelle politiche del 2001 non era arrivato a due milioni!) fu considerato assurdamente una sconfitta da Bertinotti, che giustificò così la sua svolta verso la partecipazione a un governo di centrosinistra (e verso il suicidio politico del partito).
Errori e sconfitte hanno reso più rischioso il ricorso a questo strumento, di cui si è dimenticato spesso che non può risolvere i problemi aggirando il nodo del potere. Molti invece si sono illusi che i referendum potessero riempire il vuoto lasciato dalla pressoché totale sparizione della sinistra. La loro utilità, come anche per il voto in genere, è in primo luogo nella possibilità di contattare cittadini abitualmente disinteressati alla politica che si risvegliano solo in occasioni elettorali, conquistandone alcuni alla lotta quotidiana.
Prima di ripartire su questo terreno rischiando di inflazionarlo, sarebbe meglio cominciare a ricostruire la sinistra nelle azioni concrete nei luoghi di lavoro e di studio, e nelle strade, senza preoccuparsi ossessivamente della sua presenza in istituzioni sempre più svuotate e anche screditate dalla subalternità di quel poco di sinistra rimasta. Senza illusorie fughe in avanti che dimentichino che anni di assenza dal terreno dello scontro hanno permesso il consolidarsi di un’ideologia della rassegnazione e della passività, che renderà a breve termine più difficile fronteggiare i tentativi dei poteri politici ed economici di toglierci ogni possibilità di azione.



28 Febbraio 2016


dal sito Movimento Operaio



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