CINEMA

venerdì 15 aprile 2016

INFERMIERI: LA SCHIAVITU' E' UN OBBLIGO DEONTOLOGICO di Ivan Cavicchi





INFERMIERI: LA SCHIAVITU' E' UN OBBLIGO DEONTOLOGICO
di Ivan Cavicchi


Sanità. L’articolo 49 della carta dell’Ipasvi (l’ordine degli infermieri) impone a tutti i lavoratori di «compensare» qualsiasi disservizio o disorganizzazione nell’assistenza sanitaria. Una norma che si presta a forme di sfruttamento davvero senza limiti



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Articolo 49
L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale.


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La notizia per i più non è una notizia ma per chi conosce la situazione degli oltre 400.000 infermieri italiani è un’autentica bomba . Si tratta di un atto politico di disobbedienza, un rifiuto eclatante fatto da un collegio di infermieri, l’Ipasvi di Pisa per sollecitare la politica e l’Ipasvi nazionale (Ipasvi, acronimo di Infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici di infanzia), a ritirare un articolo del codice deontologico che nei fatti ha legalizzato sinora una forma di schiavitù tanto assurda quanto inconcepibile.

Gli infermieri di Pisa (collegio Ipasvi) hanno deciso democraticamente di ricusare il loro attuale codice deontologico per «disapplicare» l’articolo 49 cioè una norma, difficile da credersi, che dà la possibilità alle aziende sanitarie a corto di risorse di sfruttare gli infermieri in ogni modo per sopperire a tutti i disservizi, le disorganizzazioni, le carenze dei propri sistemi sanitari.

L’art 49 è in realtà una trappola deregolatoria: da una parte stabilisce l’obbligo imperativo da parte degli infermieri di «compensare» tutte le forme di disservizio e di disorganizzazione, dall’altra prevede una possibilità del tutto teorica di rifiutare la compensazione nel caso in cui fosse pregiudicato il proprio mandato professionale.

Nelle realtà, le cose per gli infermieri sono andate davvero male. L’obbligo previsto dall’art 49 è diventato sul serio una schiavitù contro ogni garanzia contrattuale, contro ogni diritto, contro ogni dignità professionale, diventando di fatto un sopruso legalizzato non solo da un codice nemico ma soprattutto da una rappresentanza professionale nemica.

L’Ipasvi nazionale si è rivelata la vera controparte della professione e oggi dopo una infinità di errori strategici, viene fuori la sua diretta responsabilità nella situazione di crisi in cui versa la professione .

L’Ipasvi nazionale sinora ha difeso questo articolo horribilis e ha ignorato cinicamente le proteste, le richieste degli infermieri, il loro travaglio, i loro problemi, perché nei fatti questo articolo gli è del tutto funzionale. Negli ultimi vent’anni, l’Ipasvi nazionale da «ente pubblico non economico» finanziato obbligatoriamente con le tasse degli infermieri è di fatto diventata un «ente pubblico speculativo a condizione privatistica», come una potente lobby dominata dagli interessi personali di chi la dirige e che controlla nei fatti l’intero mondo della professione condizionando nomine, assunzioni, organizzazioni dei servizi sanitari, senza esitare ad adottare nei confronti dei «dissidenti» veri e propri atteggiamenti persecutori.

Eclatanti i casi di infermieri perseguitati per lo proprie idee, deferiti alle commissioni disciplinari per presunti reati di opinione e tante altre nefandezze davvero di altri tempi.

Per capire meglio l’enormità di un articolo che nel terzo millennio trasforma la classica categoria di sfruttamento in schiavitù e che per questo non ha precedenti e eguali nel mondo, si deve sapere che a dirigere gli infermieri nei servizi vi sono dirigenti (infermieri a loro volta) nominati di fatto dall’Ipasvi nazionale e che in molti casi sono anche presidenti di collegio. Gli infermieri, trovandosi i propri rappresentanti come controparte, sono stati costretti in questi anni per non essere schiavizzati a ricorrere in tribunale, con giudizi che regolarmente hanno dato loro torto usando proprio l’articolo 49.

E’ in questo quadro che va vista la decisione del collegio di Pisa, il cui spirito non è sovversivo come potrebbe apparire, al contrario è quello di tentare di rinnovare davvero il postulato che è alla base di ogni codice deontologico, cioè garantire i diritti dei malati assicurando i doveri degli operatori. Emiliano Carlotti, presidente del collegio di Pisa al quale va tutto il mio sostegno ideale, spiega che l’articolo 49 oltre a sfruttare in modo indegno chi lavora è un boomerang che ricade sulla testa dei malati, nel senso che alla fine finisce con il danneggiare gravemente la qualità dell’assistenza. E’ il classico esempio di contraddizione tra legalità e moralità di kantiana memoria.

Oggi la situazione dei servizi sanitari e la condizione dei malati è davvero drammatica a causa del crescente definanziamento della sanità, riconfermato anche dal recente Def. Gli operatori diminuiscono di numero ma non il loro carico di lavoro, che resta molto elevato.

Chi conosce la sanità sa bene che se per finta immaginassimo una improvvisa sparizione dei medici dagli ospedali potete essere certi che gli ospedali continuerebbero a funzionare per qualche giorno. Ma se immaginassimo la stessa cosa per gli infermieri gli ospedali si paralizzerebbero all’istante. Questo per far capire il peso nevralgico di questa maltrattatissima professione.

Conoscendo le abitudini repressive e autoritarie dell’Ipasvi nazionale, che per molto meno ha come “bruciato in piazza” singoli «dissidenti», immagino che il collegio di Pisa sarà sicuramente sanzionato, accusato di ogni nefandezza e memore di precedenti esperienze (collegio di Pescara) si tenterà con ogni mezzo di commissariarlo.

Ma vorrei invitare l’Ipasvi nazionale a essere, una volta tanto, prudente e ragionevole e a cogliere il vero spirito dell’iniziativa di Pisa che è, a fronte di una sofferenza innegabile della professione e dei malati, cercare insieme nuove strade risolutive per rinnovare un codice la cui forte regressività oggettivamente è sotto gli occhi di tutti.

Troverei politicamente delicato commissariare o punire una intera comunità di infermieri che lotta per emanciparsi da una schiavitù paradossale che è quella deontologica. Troverei rischioso per l’Ipasvi, in un momento in cui alcune forze politiche stanno seriamente riflettendo sulla opportunità di superare ordini e collegi, usare la repressione per autoperpetuarsi.

All’Ipasvi nazionale vorrei ricordare Camus: «L’uomo in rivolta è un uomo che dice no (….) ma se rifiuta non rinuncia tuttavia. E’ anche un uomo che dice sì fin dal suo primo muoversi. Questo no afferma l’esistenza di una frontiera».


14 Aprile 2016

da "Il Manifesto"








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