CINEMA

sabato 6 agosto 2016

SE REGIMI POCO PRESENTABILI COMPRANO LA RISPETTABILITA' COL CALCIO di Fulvio Scaglione




 SE REGIMI POCO PRESENTABILI COMPRANO LA RISPETTABILITA' COL CALCIO
di Fulvio Scaglione


 

La Cina in Africa compra terre fertili, da noi calciatori. Perché noi ci stiamo? Per i soldi, ovviamente. Poi, certo, nel tempo libero ci raccontiamo che per la democrazia siamo disposti a tutto, per i diritti umani violati qua e là perdiamo il sonno e per la pace daremmo anche un braccio. Ma questo è un altro discorso. E certo non riguarda chi può pagarci bene.



Puff! Via anche il Milan, passato da Silvio Berlusconi&friends alla Sino-European Investment Management Chanxing che, per averlo, ha sborsato 740 milioni. Poco prima anche l’Inter, passando per l’indonesiano Thorir, era finita a un gruppo cinese, il Suning, un colosso dell’elettronica e degli elettrodomestici di consumo, 1.600 negozi in 700 città e interessi forti nel calcio cinese dopo l’acquisto dello Jangsu Football Club. Suning ha speso per l’Inter le solite centinaia di milioni di euro, ma che volete che sia per un gruppo che nel solo 2015 h ricavato dalle vendite 17,6 miliardi e che ha speso 2,3 miliardi (cinque volte quanto speso per l’Inter) per ottenere l’1,1% delle azioni di Ali Baba, il colosso cinese dell’e-commerce?

In certo senso bisognerebbe far festa. Inter e Milan passano di mano proprio come hanno fatto altri simboli della milanesità. Il quartiere Porta Nuova, per esempio, quello del grattacielo Bosco Verticale e di piazza Gae Aulenti, venticinque palazzi firmati da architetti di grido, l’area che è vanto e orgoglio della “capitale morale”: nel 2015 è diventato un investimento al 100% del Qatar. Questo dimostra che Milano è diventata un posto che conta, un posto dove chi ha contante vuole insediarsi.

Il particolare che più è stato sottolineato, tornando all’affare del Milan, è che alla Sino Investment ecc. ecc. partecipa anche lo Haixa Capital, un fondo di investimento per lo sviluppo direttamente controllato dal Governo cinese. In altre parole: il Governo della Cina è proprietario del Milan. Colpisce ma non deve stupire. Tutti i capitali che stanno affluendo al calcio europeo (e, come si diceva per Milano e Porta Nuova, non solo nel calcio) arrivano, in un modo o nell’altro, da Stati. Perché arrivano da Stati in cui il rapporto pubblico-privato è, per usare un eufemismo, ben poco trasparente. Prendiamo ancora la Cina. Il signor Zhang Jondong, presidente di Suning nonché 28° uomo più ricco della Cina, 403° uomo più ricco al mondo (con un patrimonio personale di oltre 4 miliardi di dollari) e di fatto nuovo proprietario dell’Inter, non sarebbe dov’è se non andasse d’accordo con il Partito e con il regime, se le sue attività non si sposassero con le esigenze tracciate dalla pianificazione statale. Niente di male, si chiama capitalismo di Stato. Basta saperlo e ricordarlo.

Se vogliamo tornare al calcio, e rimontare qualche annetto, pensiamo al 2003: è l’anno in cui, per la bella somma di 60 milioni di sterline (71 milioni di euro), Roman Abramovic, ex consigliere del presidente russo Boris Eltsin, si prese il Chelsea. In quel periodo, con Vladimir Putin alla presidenza della Repubblica russa, Abramovic era governatore della regione siberiana di Ciukotka e aveva appena trasferito nel Regno Unito, dopo una serie di vendite in patria, gran parte del proprio capitale. Davvero pensiamo che un’operazione di quel genere potesse avvenire senza un ok del Cremlino?

E che dire del Manchester City? Dal 2008 il suo proprietario è lo sceicco Mansur bin Zayed al Nahyan, 46 anni, fratellastro di Khalifa bin Zayed al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti. Mansur è presidente di tre squadre di calcio: Manchester City, New York City Football Club (la squadra americana in cui è andato a giocare Andrea Pirlo) e Al Jazira Football Club (Abu Dhabi). Nel frattempo riesce anche a essere vice-primo ministro, ministro degli Interni, presidente del consiglio di amministrazione dell’Autorità di Abu Dhabi, presidente della banca nazionale di Abu Dhabi, presidente della compagnia di Stato per gli investimenti petroliferi, vice-presidente del Comitato ministeriale per le finanze e lo sviluppo economico. Val la pena aggiungere che nello stesso 2008 in cui comprò il Manchester City, lo sceicco riuscì a prendere il controllo del 16,3% di Barclay’s, la seconda banca del Regno Unito, spendendo 3,5 miliardi di sterline, pari a 4,2 miliardi di euro.

Dimenticavo: Mansur è cugino di Tamin Hamad bin al-Thani, l’emiro del Qatar che dal 2011 è proprietario, attraverso il Fondo sovrano nazionale, del Paris Saint Germain. Anche l’emiro Al Thani, ovviamente, ha un sacco di cariche e incarichi di governo in patria. In particolare, è presidente del Consiglio supremo per gli investimenti e lo sviluppo del Qatar. Potremmo andare avanti all’infinito, magari passando alle sponsorizzazioni. L’Atletico Madrid, finalista dell’ultima Champions League persa con il Real Madrid, prende i soldi dell’Azerbaigian, petro-Stato di fatto posseduto dalla famiglia Aliev, mentre il Barcellona fino a tutto lo scorso campionato accoglieva i quattrini delle linee aeree di Stato del Qatar (sempre lui).

Conviene invece fermarsi qui e chiedersi perché questi Stati spendono volentieri i loro soldi nel nostro calcio. La risposta è: perché si tratta in ogni caso di un’espansione economica e politica. Sono investimenti nel pallone che quasi mai si limitano al pallone e hanno una precisa funzione “diplomatica”. Fanno capire molte cose al Paese ospite, dalla potenza finanziaria dell’investitore al suo atteggiamento rispetto a questioni anche più decisive. Non è un caso se quasi tutti i Paesi europei sono diventati più che deferenti nei confronti delle monarchie del Golfo Persico, anche se tutti sanno che esse hanno pesantemente messo mano alle ultime sanguinose crisi del Medio Oriente. Acquistare il Milan o l’Inter, il Manchester City o il Psg, è come acquistare l’Alfa Romeo o le cantine Veuve Clicquot e il loro champagne, come prendersi l’alta moda o la Costa Smeralda, come peraltro sta avvenendo. In un modo o nell’altro è una forma di conquista. I cinesi in Africa comprano terre fertili, da noi calciatori. I regimi poco presentabili, nell’Europa elegante e ben pasciuta comprano rispettabilità. Che c’è di strano?

L’altra domanda è: perché noi ci stiamo? Per i soldi, ovviamente. Sia gli imprenditori privati, che investono per guadagnare, sia quelli pubblici, che in tempi di crisi internazionale sono chiamati a tenere a galla i conti dello Stato. Poi, certo, nel tempo libero ci raccontiamo che per la democrazia siamo disposti a tutto, per i diritti umani violati qua e là perdiamo il sonno e per la pace daremmo anche un braccio. Ma questo è un altro discorso. E certo non riguarda chi può pagarci bene.



5 Agosto 2016 



dal sito Famiglia Cristiana

 



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