LA DONNA
CHE VISSE DUE VOLTE
di Stefano
Santarelli
“Forse
quello che chiamiamo follia non è altro che logica portato
all'estremo”
Boileau-Narcejac
Indiscutibilmente
Vertigo,
1958, (La donna che visse due volte)
è il capolavoro assoluto di Alfred Hitchcock. Tratto
dal romanzo D'entre les morts di Pierre Boileau e Thomas
Narcejac la più celebre coppia di scrittori di Noir francesi,
autori tra l'altro dei migliori apocrifi sul celebre ladro-gentiluomo
Arsène Lupin, questo film testimonia la completa maturità raggiunta
dal grande regista inglese.
Hitchcock in verità si era
già innamorato di un precedente romanzo di questa coppia di
giallisti francesi “Celle qui n'était plus”,
ma il regista Henri-Georges Clouzot lo precedette e ne trasse il più
celebre Noir francese “I
diabolici” interpretato
dalla grande Simone Signoret. Leggendo D'entre les morts
Hitchcock ne compra subito i
diritti spostando la vicenda dalla Francia della Seconda guerra
mondiale alla contemporanea San Francisco.
Il
titolo originale del film non era altro che la traduzione inglese del
romanzo di Boileau-Narcejac “From Among the Dead
” (Tra i morti), ma venne poi trasformato dallo stesso regista in
“Vertigo”. A mio avviso il titolo italiano (La donna
che visse due volte) è
migliore, per una volta tanto, a quello originale.
Rispetto
al romanzo, a cui Vertigo
è in fondo molto fedele a parte l'ambientazione della storia, la
vera differenza risiede nel finale dove il protagonista strangola in
un impeto di rabbia la povera Madeleine.
Hitchcock
aveva in mente di scegliere come attrice protagonista la giovane Vera
Miles, ma il suo stato di gravidanza impedì di utilizzarla, verrà
poi però richiamata per una parte minore del suo celebre Psyco.
Quindi affida a Kim Novak, una giovane star allora emergente, la
parte e questa bellissima ma sicuramente non eccezionale attrice ci
offre senza nessun dubbio la migliore interpretazione della sua
carriera.
Quando uscì questo film non
ottenne il successo sperato né da parte del pubblico né da parte
della critica sia per il tema scabroso, sia per la rivelazione a metà
del film del fatto che Madeleine e Judy sono la stessa persona e
della mancanza inoltre del classico lieto fine caratteristico delle
opere cinematografiche dell'epoca. Oltretutto James Stewart, uno
degli attori preferiti da Hitchcock, interpretava non il consueto
personaggio di buon americano con il quale lo spettatore si
identificava facilmente e a cui era abituato, ma quello di uomo
profondamente innamorato e contemporaneamente ossessionato da un
profondo senso di colpa nei confronti di una donna di cui si credeva
responsabile della sua morte.
Vertigo si svolge a
San Francisco dove un ex detective, Scottie Ferguson (James Stewart),
che ha dovuto abbandonare la polizia a causa delle sue vertigini che
gli impediscono di svolgere un ruolo attivo viene contattato da un
suo ex compagno di scuola, Gavin Elster, che gli da l'incarico di
sorvegliare la ricca moglie Madeleine (Kim Novak) la quale crede di
essere la reincarnazione della sua bisnonna Carlotta Valdés morta
suicida a 26 anni, la stessa età di Madeleine.
Scottie pedina assiduamente
Madeleine che si rivela una donna estremamente affascinante,
enigmatica e misteriosa la quale si siede per delle ore in un museo
di fronte al ritratto della sua bisnonna oltre a rendere omaggio alla
sua tomba e quando la vede gettarsi nelle profonde acque del Golden
Gate (il celebre ponte di San Francisco) la salva.
Scottie si innamora
immediatamente e profondamente di Madeleine la quale gli confida di
avere sognato una missione francescana che Scottie individua
facilmente nella Missione di San Juan Baptista e ve la conduce. Ma
qui Madeleine improvvisamente terrorizzata corre verso il campanile
della chiesa mentre Scottie fatica a seguirla colto da una violenta
crisi di vertigini e non può quindi impedire alla donna di lanciarsi
nel vuoto.
La successiva inchiesta
assolve Scottie da qualsiasi responsabilità legale, ma il giudice lo
rimprovera aspramente per la sua vigliaccheria ed incapacità
professionale.
Scottie cade quindi vittima
di un violento complesso di colpa che gli provoca una grave crisi
depressiva tanto da dovere essere ricoverato in una clinica
psichiatrica. Un anno dopo, incontra casualmente una donna che
assomiglia straorinariamente a Madeleine anche se non ha le sue
caratteristiche aristocratiche, si chiama Judy ed è una semplice
commessa.
Hitchcock rivela subito allo
spettatore che Judy è in realtà la vecchia amante di Gavin il quale
volendosi liberare dalla vera moglie aveva architettato insieme a lei
un finto suicidio gettando nel vuoto la vera Madeleine.
Scottie si accorge
casualmente che una collana di Judy apparteneva in realtà alla
bisnonna di Madeleine, Carlotta Valdés, e che quindi è caduto
vittima di un vergognoso inganno.
Con uno stratagemma conduce
Judy alla Missione di San Juan Baptista e salgono insieme sul
campanile facendo rivivere la scena della morte di Madeleine. Scottie
riesce a vincere quindi il suo terrore del vuoto e costringe Judy a
confessare la sua colpa e a proclamare il suo reale amore per lui. E
proprio nel momento in cui il film sembra concludersi con il classico
happy end hollywoodiano un misteriosa ombra spaventa Judy la
quale perde l'equilibrio e precipita dal campanile. Era solo una
suora della missione ed anche in questo caso Scottie si è rivelato
incapace di intervenire e salvare la donna amata.
E' interessante riportare
alcuni riflessioni di Hitchcock proprio su questo suo capolavoro:
“La prima inquadratura di
un film è importante. Nella maggior parte dei casi, serve a
introdurre lo spettatore nell'ambiente. Non so tuttavia se convenga
mettere un'inquadratura importante all'inizio, perché spesso al
cinema la gente chiacchera ancora alla fine del primo rullo, siede,
finisce di sgranocchiare le noccioline. Conviene se possibile,
sorprendere lo spettatore. Bisogna lottare a modo nostro contro le
chiacchere e contro quelli che impiegano cinque minuti per sedersi.
Ecco perché, dopo i titoli di testa, metto a volte inquadrature
molto drammatiche. Come in La
donna che visse due volte. Però molti buoni film hanni
titoli di testa banalissimi. Spesso, finito il film, il pubblico ha
dimenticato completamente l'inizio.
In La donna che visse due
volte, James Stewart bacia Kim Novak appena prima che muoia,
nella scuderia. Di regola si sarebbero dovuti usare primissimi piani.
E' il modo oggettivo di girare la scena: si vede che lui bacia. Non
va. E' fuori moda. Bisogna “sentire” il momento, non vedere la
scena. Così ho usato un movimento ruotante. Il sentimento che la
cinepresa sembra provare corrisponde al bacio. In tal modo consento
allo spettatore di introdursi nella scena, per fare un ménage a tre.
Non cambio mai inquadratura in una scena d'amore. Non bisogna che ci
siano interruzioni, perché nella realtà non c'è interruzione.
Tutto ciò che può fare l'uomo è guardare gli occhi della ragazza.
Nel frattempo la sua mano sinistra è occupata altrove. Il piano
unico permette di salvare il buon gusto.
Mi servo talvolta del
grandangolare, che mi dà una prospettiva molto ampia. La finezza
tecnica di La donna che visse due volte che piacque di più fu
quella che rendeva così bene la sensazione della vertigine. Sono
vent'anni che cerco di rendere quella sensazione sullo schermo.
Nessuno ci è mai riuscito. Avevo tentato nel '39 con Rebecca.
Joan Fontaine comincia a svenire, e tutto si sfoca. Non andava bene,
non era questo che volevo. Avrei voluto rendere l'impressione che lei
provava, come se la stanza in cui si trovava si allontanasse molto
lontano, sempre più lontano, come quando si è ubriachi. Quello che
sopratutto mi interessa è il cambiamento di prospettiva all'interno
del piano. Cominciare dalla visione normale, finire sulla visione
anormale. Si è tentato, ma non si è ancora riusciti, perché
l'immagine dà l'impressione di muoversi. Non era possibile. Quando
si guarda un muro, il muro resta com'é. Non può diventare più
grande, o più piccolo. Ecco perché non riuscii.” ( Hitchcock
– Il castoro 1995).
Il maggiore omaggio a questo
capolavoro di Hitchcock viene offerto dal regista italo-americano
Brian De Palma con il suo Obsession (Complesso di colpa) –
1976.
De Palma insieme allo
sceneggiatore Paul Schrader scrive una bellisima storia totalmente
diversa da quella tratta dal romanzo di Boileau-Narcejac
anche se nel riprendere il tema del doppio (non a caso doveva
intitolarsi Déjà vu) e
dell'ossessione e dell'amore tragico del protagonista nei confronti
di una donna di cui sente il rimorso per la sua morte si può
considerare virtualmente un remake perfettamente riuscito di Vertigo
nonostante fosse un film
indipendente e a basso costo.
La
storia di Obsession
inizia
con il rapimento della moglie e della piccolissima figlia di Michael
Courtland (Cliff Robertson), un ricco uomo d'affari di New Orleans.
Seguendo il consiglio della polizia Courtland non paga il riscatto
consegnando una valigietta piena di pezzi di carta con un rilevatore
al suo interno. I rapinatori individuati dalla polizia riescono però
a fuggire con gli ostaggi, ma durante l'inseguimento la macchina
esplode distruggendo totalmente i corpi della moglie e della bambina.
Courtland non potendo sotterrare i suoi cari fa costruire un
monumento che richiama la facciata della chiesa di San Miniato al
Monte dove aveva incontrato per la prima volta sua moglie.
Quindici anni dopo quindi ritroviamo Courtland a Firenze che dietro
consiglio del suo amico e socio Robert La Salle (John Lithgow) va ad
assistere al restauro della chiesa di San Miniato al Monte e qui
incontra una giovanissima restauratrice, Sara Portinari (Geneviève
Bujold) che è la copia identica della moglie. Courtland si innamora
subito della giovanissima Sara e come lo Scottie interpretato da
James Stewart anche lui vuole trasformare Sara nella moglie perduta.
Dopo
aver portato Sara negli Stati Uniti la sposa subito, ma durante la
prima notte di nozze Sara viene rapita con un messaggio dei rapitori
identico a quello di quindici anni prima e Courtland decide questa
volta di obbedire alle loro richieste. Prende il denaro contante
grazie a La Salle che però si intesta tutta la società e come
allora Courtland lancia, su ordine dei rapitori, da una barca una
valigietta che Sara raccoglie per scoprire che come quindici anni
prima questa contiene soltanto carta.
A questo punto del film si apprende che dietro il nome di Sara
Portinari si nasconde in realtà la figlia di Courtland che
sopravissuta al rapimento organizzato proprio dal suo socio e amico
La Salle vuole vendicarsi del padre che allora non l'aveva salvata.
Courtland riesce a smascherare il complotto ed uccide La Salle, ma
vuole anche punire Sara la quale si sta dirigendo all'aereoporto per
ritornare in Italia.
Ma quando Sara si accorge, dopo aver tentato il suicidio, della
venuta di Courtland si alza dalla sedia a rotelle spinta da un
inserviente e si getta tra le braccie del padre che solo a questo
punto si rende conto della realtà.
Geneviève
Bujold e Cliff Robertson
Come si vede la trama del film di De Palma apparentemente non ha
nulla a che spartire con quella di Vertigo, ma in realtà ne
costituisce un vero remake grazie anche all'ipnotica musica di
Bernard Herrmann, con la quale ottenne la nomination all'Oscar, e che
in alcuni punti riprende proprio il tema di Vertigo.
Il film di De Palma sembra proprio girato da Hitchcock: dall'uso
dello zoom alle inquadrature, ma cosa più importante e che Obsession
come Vertigo è un apologo sul tema della realtà/apparenza,
infatti nulla è come sembra in questi due film. Sandra non ama
Courtland ma al contrario vuole vendicarsi del padre; il migliore
amico di Courtland, La Salle, in realtà è il suo peggior nemico.
Abbiamo poi il culto necrofilo che caratterizza i personaggi
interpretati da Robertson e da Stewart che innescano il tema della
reincarnazione.
Uno degli aspetti più importanti del film di De Palma e un
susseguirsi di citazioni che rendono omaggio al cinema di Hitchcock.
Dall'effetto del déjà vu quando Sara osserva il ritratto della
madre che rimanda non solo alla scena del museo dove Madeleine è in
contemplazione del quadro della sua bisnonna, ma anche ad un altro
celebre film di Hitchcock dove Joan Fontaine osserva il dipinto di
Rebecca e la porta sbarrata che Sara incontra nella casa di
Courtland con la scena della chiave rimanda non solo a Rebecca ma
all'altrettanto celebre Notorius. Mentre il flashback
di Sandra bambina ci riporta invece alla Marnie interpretata da Tippi
Hedren, e quando Courtland uccide con un paio di forbici il suo socio
responsabile della morte della moglie e del rapimento della figlia
questo è un chiaro omaggio ad un'altro capolavoro di Hitchcock:
Delitto perfetto.
Obsession non è soltanto un omaggio perfettamente riuscito a
Hitchcock, ma costituisce uno dei migliori film del regista
italo-americano e questo anche grazie alla scelta degli attori.
Cliff Robertson infatti era un attore tipicamente americano con uno
stile tradizionale paragonabile a Cary Grant o a James Stewart. Ma la
scelta sicuramente vincente fu quella di scritturare la giovanissima
attrice franco-canadese Genèvieve Bujold che riuscì perfettamente a
recitare sia nei ruoli della madre che della figlia. E nel finale del
film De Palma con una scelta coraggiosa fa interpretare alla Bujold
la parte della bambina quando rivive con un flashback il primo
rapimento proprio sfruttando l'aria infantile dell'attrice e con una
ripresa geniale sposta verso l'alto la cinepresa zoomando poi su di
lei alterandone così la prospettiva e dando l'impressione che il suo
corpo da adulta si trasformi in un corpo da bambina.
Il film di De Palma tocca in modo molto lieve il delicato tema
dell'incesto durante la prima notte di nozze facendolo sembrare solo
un sogno di Cortland, ma nonostante questo il film ebbe tutta una
serie di problemi durante le proiezioni.
Ma come ci ricorda Hitchcock in fondo il tema centrale di Vertigo,
come poi anche di Obsession, è la storia di una ossessione
amorosa che vuole sconfiggere la morte: “per dirlo in modo
semplice, quest'uomo vuole andare a letto con una morta, è pura
necrofilia”.
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