KINOWA
di Stefano Santarelli
"Due incisioni, uno strappo
e il cadavere scotennato rimane a guardare
con occhi vitrei il cielo stellato!
Un taglio a forma di “S”,
il segno del serpente, gli marca la fronte!"
Tra i molti fumetti che leggevo quando ero bambino, di nascosto da mio padre da sempre ostile a questa forma di letteratura, “Kinowa” mi affascinava anche per la paura che provavo leggendo le sue avventure. Ed in effetti rileggendo oggi le sue storie devo riconoscere che questo fumetto non è assolutamente scritto per i bambini, ma è destinato esclusivamente agli adulti.
Pubblicato per la prima volta nel 1950, due anni dopo la nascita del sempre verde Tex, per opera di Andrea Lavezzolo e disegnato prima dal famoso e leggendario trio “Essegesse” (Giovanni Sinchetto, Dario Guzzon e Pietro Sartoris) creatori degli eroi della mia fanciullezza e della mia generazione “Capitan Mike” ed “Il grande Blek” e poi dal bravo Pietro Gamba. Però Kinowa non si può definire assolutamente un personaggio “politically correct”.
Infatti dietro la maschera demoniaca di Kinowa, un feroce e violento assassino di indiani che lascia come firma sulla loro fronte un taglio a forma di “S”, si nasconde Sam Boyle un colono a cui anni prima i Pawnee comandati dal loro capo Bisonte Nero avevano assaltato la carovana su cui viaggiava uccidendone la moglie, rapendo il loro neonato e poi credendolo morto lo avevano addirittura scotennato.
Come si vede nulla a che spartire con Tex che addirittura sposa una fanciulla navajo e viene quindi poi adottato dalla sua tribù con il nome di Aquila della notte e che in tutte le sue avventure si schiera dalla parte dei nativi americani e tra l'altro annovera tra i suoi migliori amici, oltre che compagno di avventure, un pellerossa di nome Tiger Jack.
Con il passare del tempo queste caratteristiche sanguinarie di Sam Boyle si attenuano dopo che ha ritrovato il figlio rapito dagli indiani, ma obiettivamente non di molto. Questo figlio, Silver Gek viene adottato dal capo Bisonte Nero e gli viene dato il nome di Penna Rossa diventando uno dei migliori guerrieri della tribù tanto da essere designato come il suo erede, ma il corso degli avvenimenti lo farà fuggire dalla tribù dove è stato allevato per riprendere il ruolo di “bianco”.
Lo svolgimento delle avventure di Kinowa si svolgono con modalità da vero “feuilleton” francese dell' Ottocento, a riprova di questo cito solo alcuni episodi che mi sembrano molto esplicativi:
- Sam Boyle riconosce Silver Gek come figlio quando scopre una voglia con la forma di stella sulla coscia destra del ragazzo.
- Le avventure di Kinowa ad un certo punto fanno morire addirittura il protagonista. Infatti quando Sam Boyle nel salvare Luna Sorgente, un'altra figlia adottiva di Bisonte Nero il quale l'aveva rapita dai Comanche, (per complicare le cose Lavezzolo in alcune vignette la chiama invece con il nome di Pallida Aurora), viene ferito da una freccia avvelenata che gli provoca una morte apparente e viene seppellito dal figlio e dal suo miglior amico (Long Rifle, uno scout del governo). Ma niente paura dopo alcune avventure Kinowa ritornerà più vivo e più feroce che mai.
- Le avventure infatti proseguono quindi con Silver Gek, Long Rifle e Luna Sorgente. A questo punto emerge uno dei peggiori timori che possa assalire uno scrittore: cosa fare di un personaggio che risulta non solo inutile ma anche di ostacolo nel proseguo di una storia. Infatti Luna Sorgente che non è un tiratore scelto come Long Rifle né ha tantomeno la vigoria fisica di Silver Gek e che oltretutto nei scontri a fuoco rimane ferita per ben due volte. A questo punto il buon Lavezzolo “è costretto” a chiudere la povera Luna Sorgente in un Convento da cui verrà rapita in seguito. Se questo non è un feuilleton …
Recentemente la casa editrice IF sta pubblicando l'opera integrale di Kinowa e sono previste quindi anche la pubblicazione delle storie inedite in Italia di matrice turca. Il bravo curatore, Gianni Bono, ha dovuto però confessare una sconfitta editoriale non prevista, almeno con questi numeri veramente fallimentari.
Nonostante i prezzi popolari e le belle copertine di Michele Benevento il primo numero ha venduto circa tremila copie, ma nel secondo è crollato con meno di duemila. Un flop che ha costretto dopo pochi numeri a raddoppiare le pagine con il conseguente aumento del prezzo.
A mio avviso questo flop non è dovuto tanto alle difficoltà, che indiscutibilmente ci sono state, legate alla distribuzione alle edicole di cui molte ne erano sprovviste infatti come ha dichiarato lo stesso curatore sono state richieste dai lettori ben cinquecento copie direttamente alla casa editrice.
Quanto piuttosto, come riconosce lo stesso Bono, dall'opera stessa di Lavazzolo che onestamente non ha retto l'usura del tempo. Infatti da una parte c'è una narrazione lenta e verbosa a cui oggi i lettori non sono più abituati, infatti in tutte le tavole ed in tutte le vignette predomina il linguaggio scritto a discapito di quello visivo senza neanche un alleggerimento comico e dall'altra parte, inutile negarlo, il messaggio obiettivamente razzista oggi non può più essere giustificato come poteva esserlo negli anni '50, specialmente in un momento politico come l'attuale dove si assiste nel nostro paese ad un preoccupante rigurgito xenofobo.
Certamente il personaggio di Sam Boyle deve molto a quello dello scout John Maxim scotennato da quella valchiria di Minnehaha nella famosa trilogia del West di Emilio Salgari (Sulle frontiere del Far-West, La scotennatrice, Le selve ardenti).
Ma in Salgari vi è una profonda avversione al razzismo che si avverte in tutti i suoi romanzi: per esempio Sandokan, originario del Borneo, combatte coraggiosamente il colonialismo britannico e sposa una donna bianca come lo stesso bengalese Tremal-Naik anche lui sposato ad una donna inglese.
Ma non vi sono solo coppie interrazziali, in Salgari il ruolo femminile è molto attivo ribaltando molti stereotipi dell'epoca. Infatti le donne di Salgari non sono delle Penelopi in attesa del ritorno del loro Ulisse, al contrario prendono spesso l'iniziativa basti ricordare soltanto l'intrepida Eleonora duchessa d'Eboli che si trasforma nell'invincibile Capitan Tempesta che riesce a sconfiggere addirittura l'intrepido Leone di Damasco che poi prenderà come sposo.
E se facciamo un parallelismo con un altro autore a lui contemporaneo il francese Jules Verne non possiamo non notare che i suoi personaggi femminili sono veramente amorfi e nei “figli del capitano Grant” il lettore francamente non riesce a distinguere la figlia Mary che cerca il padre (il Capitano Grant) dalla Lady Helena, la moglie del Lord Glenarvan, che guida la spedizione di ricerca.
Purtroppo Lavezzolo non è Salgari ed i suoi personaggi femminili, come abbiamo visto nel caso di “Luna Sorgente” sono veramente evanescenti e non vi è nessuna simpatia nei confronti dei nativi americani.
In conclusione rileggere oggi Kinowa richiede una maturità ed una abitudine alla lettura che non è più usuale. Attualmente i fumetti si basano certamente sul linguaggio verbale, ma anche (e sopratutto) su quello visivo, basti pensare a certi episodi di Dylan Dog o Valentina oppure al bellissimo “La catena” di Max Bunker (Luciano Secchi) disegnata da Chies che non ospita neanche in una vignetta la classica “nuvoletta”, infatti in questo leggendario fumetto non esistono dialoghi tanto che può essere paragonato solo al cinema muto.
Consiglio quindi di comprare e di leggere Kinowa, ma con occhi molto smaliziati.
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