LA SPERANZA DI STAN LEE PER UN MONDO MIGLIORE
di Peter Ciaccio
Popoli, culture e fedi uniti per il bene comune nell'universo Marvel
Ieri è morto Stan Lee, il creatore dell’universo Marvel, “vecchio e sazio di giorni” come un patriarca biblico.
In un’Italia ancora pregna di ideologia gentiliana (la cultura è quella classica, pura, antica), di elitarismo culturale (la cultura è per chi ha fatto il Liceo), di resistenza alla contaminazione interculturale (siam tutti cattolici, anche i non cattolici), di provincialismo nazionalista (ma che vuole quest’Europa?), è difficile comprendere la caratura titanica di un autore come Stan Lee.
Sin dagli anni Quaranta, Stanley Martin Lieber era un orgoglioso autore di fumetti (e già questo…), quando a differenza di altri autori firmava le storie, pur con un nome d’arte, che poi però assunse quale suo nome a tutti gli effetti. Ebreo agnostico newyorkese: basterebbe questo per dire che fosse un liberal, dagli anni Novanta sostenitore aperto dei Clinton e di Obama, il quale gli ricordava qualcosa di Mr.Fantastic, il leader del Fantastici Quattro.
I suoi eroi rappresentavano tutto lo spettro del meltin’ pot americano. Ben Green, “La Cosa” dei Fantastici Quattro non solo era ebreo, con tanto di medaglietta con Stella di Davide al collo e partecipazioni a Bar Mitzvah, ma era la rappresentazione contemporanea del mito del Golem. Il motto di Peter Parker / Spiderman era «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità», richiamando l’adagio protestante della “libertà nella responsabilità”, tanto caro — e pesante come un macigno — per luterani e calvinisti. Il cattolico Bruce Banner / Hulk, alle prese con il senso di colpa di un mostro interiore impossibile da controllare. Il re africano Black Panther, testimone di una civiltà che è superiore alle altre solo se si mette al servizio della pace, della giustizia e del progresso. L’avvocato Matt Murdoch, supereroe cieco, non disabile, ma (sul serio) diversamente abile. Nell’universo Marvel c’è posto per tutti, così come in America.