CINEMA

domenica 16 dicembre 2018

PINELLI FU UCCISO. RICORDIAMO ANCORA. RICORDIAMO SEMPRE. di Teresio Spalla




PINELLI FU UCCISO.
RICORDIAMO ANCORA. RICORDIAMO SEMPRE.
di Teresio Spalla




Questo è un'Almanacchino scarno ed essenziale.
Non vi leggerete niente di nuovo.
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Forse qualcuno lo troverà banale e ripetitivo per quanto, stamane, menti acute e ancora lucide della cultura italiana, abbiano voluto ricordare anch'esse
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Tutti coloro che c'erano, in quel periodo, sanno come andarono le cose dopo la strage di pz.Fontana del 12 dicembre 1969 per cui furono immediatamente indicati responsabili i militanti anarchici del circolo Ponte della Ghisolfa - tra cui Pietro Valpreda a cui fu distrutta l'esistenza futura - i quali, in seguito, risultarono tutti innocenti tranne gli infiltrati che erano tra loro da anni, a testimonianza che l' additare la loro colpevolezza era preordinato quanto lo scoppio della bomba.
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Pinelli, prelevato per accertamenti dal commissario Calabresi, seguì la sua auto in motorino, tanto entrambi erano sicuri che sarebbe tornato a casa.
Invece, quella notte, fu ucciso.
Ed io concordo con la tesi di tanti, e soprattutto della moglie Licia, come, eccedendo nel massacrarlo di botte, non trovarono di meglio che fingere il suicidio gettandolo dal balcone.
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Lo buttarono infatti da una finestra della Questura di Milano, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, da una stanza dove si trovavano con lui gli agenti Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Pietro Mucilli, Vito Panessa e l'agente del Sisdi in funzione di ufficiale dei carabinieri Savinio Lograno, quello che, nella canzone, "apre un pò la finestra".
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Era un uomo buono con un ideale nel cuore, un ferroviere; era stato partigiano e possedeva una solida cultura politica personale da fervente autodidatta.
Aveva 41 anni e lasciava una famiglia : moglie e due figlie piccole.
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Il questore Marcello Guida (già funzionario di polizia sotto il fascismo e durante la Rsi), il responsabile dell'ufficio politico della Questura Antonino Allegra, il commissario capo Luigi Calabresi dichiararono, in conferenza stampa, che si trattò di suicidio.
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Tranne l'ultimo tutti sono morti nel loro letto.
Gli agenti furono promossi e tali rimasero anche dopo la comprova dell'innocenza e dell'inconsistenza colpevole della "pista anarchica".
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Calabresi fu assassinato a sua volta.
Un omicidio frutto della calcolata presunzione politica di Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani che, con quell'atto, crearono un martire e aizzarono soltanto l'avversione di gran parte della popolazione verso coloro, come me e i miei compagni di allora, che, dagli anni Settanta, lottarono anch'essi per un mondo migliore e desiderarono una chiarezza su Pinelli che sappiamo nel cuore ma non è mai stata scritta sui rapporti ufficiali.
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Non credo affatto che il commissario abbia mai creduto nella colpevolezza dell'anarchico che conosceva bene e col quale aveva un appurato rapporto benevolo.
Ma come non riconosco alcuna attenuante ai suoi assassini, non posso riconoscerlo al di fuori delle responsabilità della carica che occupava.
Il perdono, soprattutto quello di Licia Pinelli, non assolve comunque nel giudizio degli uomini chi avrebbe dovuto proteggere la verità e non negarla, per quanto gli fosse difficile, per rimanere in sintonia con i suoi superiori.
Anche questo è da ricordare ancora, da ricordare sempre.
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Fatto sta che, a 49 anni da quei fatti, io riconosco una sola cosa positiva in quel groviglio di fatti e parole che, ancora oggi, non è stato districato del tutto.
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Riconosco che, con la mia certezza personale dell'innocenza degli anarchici milanesi e dei metodi e delle menzogne della Questura di Milano, io, allora tra l'infanzia e l'adolescenza, persi già ogni fiducia nella "verità" ufficiale dello Stato o almeno in quella cospicua parte del "doppio Stato" (teoria storica che sostengo) che persuase del falso le coscienze di troppi e portò poi la Repubblica italiana alla dissoluzione che considero ormai compiuta per un bel pezzo.
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Ma nessuno dissolverà mai gli ideali di Eguaglianza e di Giustizia, di Democrazia e Giustizia Sociale, per cui Pinelli morì ed io, dopo aver speso per essi la mia primissima giovinezza e mai averli dimenticati nel corso della vita, sono oggi, in quest'altro 16 dicembre, nel mio piccolo, ancora qui a ricordare con la stessa passione.
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Sono ancora qui a ricordare questi fatti a coloro che sono troppi giovani o troppo rincoglioniti dai media, a coloro che sono nati e cresciuti negli anni della controtendenza tra il 1976 e il 2018.
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Sono qui per ricordare quanto - ancora in questi tempi bui e di risorgenza del nazifasciorazzismo rappresentato da un miserabile partito al governo e dal suo altrettanto miserabile capo, fomentatore di odio e ministro degli interni - i miei ideal, pur sconfitti, risorgeranno.
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Risorgeranno ancora. Risorgeranno sempre.
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Ed io, e tanti altri come me, finché vivremo li tramanderemo ancora, sempre, alle generazioni future.
Lo diremo a loro perché lo dicano ai loro figli e i loro figli lo dicano ai loro figli.
Perché vi sia sempre qualcuno a dubitare e se necessario negare ciò che si dice e si ridice ma di cui, prima o poi,si può dubitare e quindi smentire, in un modo o in un altro.
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fine...mai
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Almanacchino n°18 . 16.12.2018







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