PAPILLON
di Stefano Santarelli
“Qui la regola è il silenzio assoluto.
Noi non diamo a intendere che riabilitiamo la gente.
Non siamo preti, siamo delle macchine.
Mediante le macchine gli animali vivi sono
trasformati in roba commestibile,
noi trasformiamo gli uomini pericolosi
in esseri innocui e lo facciamo spezzandoli.”
Nel 1968 l'editore francese Robert Laffont riceve per posta un manoscritto costituito da due quaderni di formato scolastico, ma nonostante il metodo certamente non usuale per una casa editrice Laffont legge comunque questi due quaderni scritti fittamente a mano in un francese contagiato da molti vocaboli ispanici in cui si racconta la storia di un prigioniero e delle sue evasioni e ne rimane affascinato.
Tre settimane dopo a Parigi si presenta nella sede della casa editrice uno strano individuo con cittadinanza venezuelana che consegna altri undici quaderni: quest'uomo è Henri Charrière un ex galeotto condannato per un omicidio all'ergastolo e ai lavori forzati nel carcere della Caienna da cui dopo innumerevoli traversie è riuscito ad evadere.
Robert Laffont si convince di pubblicare il romanzo autobiografico di Charrière che denuncia le atroci e disumane condizioni in cui erano costretti a vivere i forzati nei vari penitenziari della Guyana francese e lo intitola “Papillon” dal tatuaggio di una farfalla che l'autore ha tatuato sul petto, ma anche perché una farfalla non può restare chiusa in una gabbia ed in pochi giorni si ritrova tra le mani un successo editoriale con pochi precedenti: 2.5 milioni di copie vendute nella sola Francia ed oltre 10 milioni all'estero e oltretutto in Francia Papillon batte un record riuscendo a vendere in un solo mese ben 120.000 copie.