CINEMA

mercoledì 4 agosto 2010

LA RISPOSTA È L'ESPLOSIONE SOCIALE

Come in tutta la sua storia, la Fiat si candida a direzione del padronato italiano. Fu così nell'immediato secondo dopoguerra, quando si pose alla testa della restaurazione padronale. Fu così nell'autunno 80, quando fece da apripista dei licenziamenti collettivi. Così è oggi: laddove punta non solo allo smantellamento del contratto nazionale, ma alla ricomposizione, sotto la propria egemonia, del grosso della borghesia italiana, su una linea di nuovo sfondamento sociale.

Tuttavia esistono due importanti differenze col passato. La prima sta nel contesto della crisi capitalistica mondiale e del nuovo quadro di competizione globale, usata cinicamente dalla Fiat come arma estrema di ricatto. La seconda sta nell'omologazione liberale del grosso dell'«opposizione»: che vede un Pd confindustriale schierarsi di fatto dalla parte di Marchionne contro la Fiom, al fianco del governo più reazionario che l'Italia abbia avuto dai tempi di Tambroni. Per questo lo scontro Fiat è oggi uno snodo tanto decisivo quanto difficile.

Ma proprio questo quadro generale fa sì che lo scontro non possa essere affrontato in termini convenzionali. Non è più tempo, se mai lo è stato, di denunce o iniziative simboliche. Men che meno di divisioni concorrenziali di sigla all'interno del sindacalismo di classe. È tempo di lavorare a mettere in campo, unitariamente, una forza di contrasto che sia radicale quanto è radicale l'offensiva della Fiat e del governo. Questo è il punto decisivo. O si oppone alla determinazione di Marchionne un'altra eguale e contraria, o la partita è segnata, con effetti di trascinamento di lungo corso.

È con questa impostazione che avanziamo all'insieme delle sinistre politiche e sindacali una proposta aperta di riflessione e confronto, che preveda la più ampia partecipazione alla manifestazione promossa dalla Fiom per il 16 ottobre, assumendola però non come rito, ma come punto di passaggio di una mobilitazione generale, prolungata e radicale, che miri ad incidere sui rapporti di forza tra le classi. Poniamo in sostanza l'esigenza della generalizzazione della lotta, al massimo livello, in tutti gli stabilimenti Fiat , e della ricomposizione attorno alla lotta Fiat dell'insieme delle vertenze aziendali oggi in corso. Se Marchionne punta all'egemonia del fronte padronale, la lotta Fiat può puntare al quella del fronte operaio. Se punta allo scardinamento del contratto nazionale, le sinistre sindacali e politiche possono preparare l'occupazione operaia degli stabilimenti Fiat e di tutte le aziende che licenziano o calpestano i diritti, accompagnata dalla costituzione di una cassa nazionale di resistenza. Se Marchionne rivendica il diritto di espropriare lavoro e diritti nel nome del profitto, i lavoratori possono rivendicare la nazionalizzazione della Fiat e di tutte le aziende che licenziano, senza indennizzo per gli azionisti e sotto controllo operaio. Se Marchionne promuove la contrapposizione dei lavoratori italiani agli operai polacchi, serbi, americani, le sinistre politiche e sindacali possono lavorare ad una piattaforma operaia internazionale, innanzitutto europea, tra tutti i lavoratori della Fiat (e non solo), raccogliendo gli appelli che vengono da settori sindacali serbi e polacchi. Una proposta «troppo radicale»? Al contrario. Solo un'azione di rottura sociale, tanto più in tempo di crisi, può strappare risultati parziali e concreti; mentre una rinuncia pregiudiziale al salto concreto di mobilitazione moltiplicherebbe i rischi di una regressione storica.

E sarebbe attuale anche sul piano politico. Il berlusconismo sta attraversando una crisi esplosiva, per questo da un lato riemergono le peggiori tentazioni plebiscitarie, dall'altro si moltiplicano le manovre istituzionali di sottobosco tese a soluzioni di ricambio (governi di transizione), sotto la benedizione di Bankitalia. Con un esito paradossale: o la continuità (peggiorata) di Berlusconi o la continuità delle politiche sociali di Berlusconi e Marchionne dentro un «nuovo» quadro di governo borghese. In entrambi i casi una sconfitta operaia.

Solo l'irruzione di un'autentica esplosione sociale - in piena autonomia dal centrosinistra - può precipitare la crisi del berlusconismo dal versante delle ragioni del lavoro. Non certo il mito vendoliano di un'«Obama bianco», magari in ticket con Chiamparino, mentre l'Obama nero esalta Marchionne.

  Marco Ferrando
 Segretario del Partito comunista dei lavoratori  

   

Dal "Manifesto"  del 3 Agosto

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