CINEMA

giovedì 13 gennaio 2011



"NE' CALCO NE' COPIA":
IL CHE ALLA RICERCA DI UN NUOVO SOCIALISMO

di Michael Lowi





Per gentile concessione della MASSARI EDITORE pubblichiamo dai Quaderni della Fondazione Che Guevara la Relazione di Michael Lowy tenuta in spagnolo al Convegno di Acquapendente della Fondazione Guevara (15-17 giugno 2001). Trad. di Titti Pierini



In un articolo pubblicato nel 1928, José Mariàtegui –il vero fondatore del socialismo latino americano- scriveva:

Certamente non vogliamo che il socialismo in America sia un calco e copia. Dev’essere una creazione eroica. Dobbiamo dar vita, con la nostra realtà, con il nostro linguaggio, al socialismo indoamericano. E’ una missione, questa, degna di una nuova generazione”.

Il suo avvertimento non fu ascoltato: in quello stesso anno il movimento comunista latinoamericano cominciò a subire l’influenza del modello stalinista, che per quasi mezzo secolo avrebbe imposto il calco e la copia dell’ideologia della burocrazia sovietica e del suo cosiddetto “socialismo reale”.
Non sappiamo se il Che conoscesse questo testo di Mariàtegui: ma forse lo lesse, visto che Hilda Gadea, la sua compagna, gli aveva prestato gli scritti di Mariàtegui negli anni precedenti la Rivoluzione cubana. Si può comunque ritenere che buona parte della sua riflessione e della sua pratica politica, soprattutto negli anni ’60, abbia avuto l’obiettivo di uscire dal vicolo cieco cui conduceva l’imitazione servile del modello sovietico ed esteuropeo. Le sue idee sulla costruzione del socialismo costituiscono un tentativo di “creazione eroica” di qualche cosa di nuovo, la ricerca –interrotta e non completata- di un modello di un socialismo diverso e per molti aspetti radicalmente contrapposto alla caricatura burocratica “realmente esistente”.

Dal 1959 al 1967, il pensiero del Che ha conosciuto una notevole evoluzione, allontanandosi sempre più dalle illusioni iniziali sul socialismo sovietico e sulla versione sovietica (vale a dire stalinista) del marxismo.
In una lettera del 1965 a un amico cubano egli critica aspramente il “codismo ideologico” che si manifesta a Cuba con la pubblicazione di manuali sovietici per l’insegnamento del marxismo. Tali manuali –che definisce “mattoni sovietici” –“presentano l’inconveniente di non permettere di pensare: il Partito lo ha già fatto per te e tu sei tenuto a mandarlo giù” . (1) Si percepisce in modo sempre più esplicito, soprattutto negli scritti dal 1963 in poi, il rigetto del “calco e copia” e la ricerca di un modello alternativo, il tentativo di formulare un’altra via al socialismo, più radicale, più egualitaria, più fraterna, più umana, più coerente con l’etica comunista.
La sua morte, nell’ottobre del 1967, interromperà il processo di maturazione politica e di sviluppo intellettuale autonomo. La sua opera non costituisce un sistema chiuso, una sistematizzazione compita che contiene risposte su tutto. Su molte questioni –la democrazia nella pianificazione, la lotta contro la burocrazia- la sua riflessione è incompiuta. (2)
Il motore di fondo di questa ricerca di una strada nuova –ben al di là delle specifiche questioni economiche- è la convinzione che il socialismo non ha senso –né può trionfare se non rappresenta un progetto di civiltà, un’etica sociale, un modello di civiltà completamente alternativo ai valori del meschino individualismo, dell’egoismo feroce, della concorrenza, della guerra di tutti contro tutti propri della civiltà capitalistica- il mondo in cui “l’uomo è lupo per l’altro essere umano” (homo homini lupus).
La costruzione del socialismo è inscindibile da una serie di valori etici, contrariamente a quanto sostengono le impostazioni economicistiche –da Stalin a Cruscev e ai suoi successori- che tengono esclusivamente conto “dello sviluppo delle forze produttive”. Nella famosa intervista rilasciata al giornalista Jean Daniel (luglio 1963) il Che sosteneva (ed era già una critica implicita al “socialismo reale”):

Il socialismo economico senza la morale comunista non mi interessa. Lottiamo contro la miseria, ma lottiamo, al tempo stesso, contro l’alienazione… Se il comunismo si disinteressa dei fatti di coscienza, potrà essere un sistema di ripartizione, ma non sarà mai una morale rivoluzionaria." (3)

Se il socialismo ha la pretesa di lottare contro il capitalismo e di sconfiggerlo sul suo stesso terreno, su quello cioè del produttivismo e del consumismo, utilizzando le sue stesse armi –la forma delle merci, la concorrenza, l’individualismo egoistico, è condannato all’insuccesso. Non si può dire che Guevara abbia previsto il crollo dell’Urss, ma in un certo senso egli ha avuto l’intuizione che un sistema “socialista” che non tollera il dissenso, che non rappresenta nuovi valori, che cerca di imitare l’avversario, che non nutre altra ambizione che “raggiungere e superare” la produzione delle metropoli capitaliste, non ha futuro.
Per il Che, il socialismo è il progetto storico di una nuova società basata su valori di uguaglianza, solidarietà, collettivismo, altruismo rivoluzionario, libera discussione e partecipazione popolare. Sia le sue critiche –in crescendo- al “socialismo reale”, sia la sua pratica come dirigente e la sua riflessione sull’esperienza cubana sono ispirate da questa utopia comunista – nell’accezione attribuita a tale concetto da Ernst Bloch.
Tre aspetti traducono concretamente questa aspirazione di Guevara e la sua ricerca di una nuova strada: la discussione sui sistemi di gestione economica; il problema della libertà di espressione delle divergenze e la prospettiva della democrazia socialista. Il primo occupava, ovviamente, il posto centrale nella riflessione del Che; gli altri due, benché siano strettamente connessi, sono molto meno sviluppati e presentano lacune e contraddizioni, pur rimanendo presenti nelle sue preoccupazioni e nella sua pratica politica.

I sistemi di gestione economica

Si tratta del famoso dibattito del 1963-64 su vari aspetti della pianificazione, a confronto con sostenitori del modello sovietico (il ministro del Commercio con l’estero, Alberto Mora; il direttore dell’Istituto Nazionale di Riforma Agraria, Carlos Rodrìguez), appoggiati dal celebre economista francese Charles Bettelheim. Le posizioni di Ernesto Guevara (che ebbero l’appoggio dell’economista marxista belga –nonché dirigente della Quarta internazionale- Ernest Mandel) rappresentano una critica radicale –inizialmente implicita, poi esplicita- del “socialismo reale”. Gli aspetti principali del modello esteuropeo con i quali il Che era in netto contrasto erano (4) :

- la legge del valore come legge obiettiva delle società di transizione al socialismo (tesi di Stalin
  sostenuta da Charles Bettelheim);

- la merce come base del sistema riproduttivo;

- la concorrenza –tra imprese o lavoratori- come fattore d’incremento della produttività;

- sistemi di incentivo e distribuzione individuali piuttosto che collettivi;

- privilegi economici per dirigenti e amministratori;

- criteri di mercato nei rapporti economici tra paesi socialisti;

Nel celebre “Discorso di Algeri” (febbraio 1965), Ernesto Guevara faceva appello ai paesi che si dicevano socialisti perché ponessero fine alla loro “tacita complicità con i paesi sfruttatori dell’Occidente”, che si traduceva nei rapporti di scambio diseguale di questi con i popoli in lotta contro l’imperialismo. Per il Che

non ci può essere socialismo se nella coscienza non si attua un mutamento che provochi un nuovo atteggiamento fraterno nei confronti dell’umanità, sia di carattere individuale –nella società in cui si costruisce o si è costruito il socialismo- sia di carattere mondiale, in rapporto a tutti i popoli che subiscono l’oppressione dell’imperialismo”. (5)

Analizzando nel suo saggio del marzo 1965, Il socialismo e l’uomo a Cuba, i modelli di costruzione del socialismo vigenti in Europa orientale, il Che rifiutava la concezione che pretendeva di sconfiggere il capitalismo utilizzando le sue stesse armi spuntate:

Rincorrendo l’illusione di realizzare il socialismo con l’aiuto delle armi spuntate che ci lascia in eredità il capitalismo (la merce come cellula economica, il profitto, l’interesse materiale individuale come leva, ecc.) si può imboccare un vicolo cieco Per costruire il comunismo, contemporaneamente alla base materiale, bisogna creare l’uomo nuovo”. (6)

Uno dei pericoli principali del modello importato dall’Est europeo è l’accrescersi della disuguaglianza sociale e il formarsi di uno strato privilegiato di tecnocrati e burocrati: in questo sistema retributivo

sono i direttori a guadagnare sempre di più. Basta guardare l’ultimo progetto della Rdt, l’importanza che acquista la gestione del direttore o, meglio, la retribuzione della gestione del direttore”. (7)

La sostanza di fondo del dibattito consisteva nel confronto tra una visione economicistica –la sfera economica come sistema autonomo, retto da proprie leggi, come la legge del valore o le leggi di mercato –e una concezione politica del socialismo, cioè il fatto di prendere decisioni economiche- le priorità produttive, i prezzi, ecc. – in base a criteri sociali, etici e politici.
Le proposte economiche del Che –la pianificazione in luogo del mercato, il sistema di finanziamento di bilancio, gli incentivi collettivi o “morali”- avevano l’obiettivo di ricercare un modello di costruzione del socialismo basato su questi criteri, e quindi diverso da quello sovietico.
Va inoltre aggiunto che Guevara non pervenne a concepire un’idea chiara della natura del sistema burocratico staliniano. Seguendo, a mio avviso, una pista errata, ricercava nella Nep (8), piuttosto che nel Termidoro staliniano, l’origine dei problemi e dei limiti dell’esperienza sovietica. (9)

La libertà di discussione

Un aspetto politico rilevante del dibattito economico nel 1963-64, che merita di essere sottolineato, è il dato della discussione in quanto tale, vale a dire il fatto di ritenere che l’espressione pubblica di dissensi sia normale nel processo di costruzione del socialismo. In altri termini, la legittimità di un certo pluralismo democratico nella rivoluzione.
Questa problematica è solo implicita nel dibattito economico. Guevara non l’ha mai sviluppata in forma esplicita o sistematica, e soprattutto non l’ha correlata al problema della democrazia nella pianificazione. Tuttavia il suo atteggiamento, in varie occasioni durante gli anni ’60, appare favorevole alla libertà di discussione nel campo rivoluzionario e al rispetto del pluralismo delle opinioni.
Un esempio interessante è il suo comportamento nei confronti dei trotskisti cubani, dei quali non condivideva assolutamente le analisi (li ha aspramente criticati in varie occasioni). Nel 1961, in un colloquio con un intellettuale di sinistra nordamericano, Maurice Zeitlin, Guevara denunciò la distruzione ad opera della polizia cubana delle lastre della Rivoluzione permanente di Trotsky come un “errore”e una cosa “che non si sarebbe dovuta fare”. E, anni dopo, poco prima di lasciare Cuba nel 1965, riesce a far uscire dal carcere il dirigente trotskista cubano Roberto Acosta Hechevarrìa, al quale dichiara, salutandolo con un abbraccio fraterno: “Acosta, le idee non si uccidono a bastonate” (10).
L’esempio più significativo è la sua replica –in una relazione del 1964 ai compagni del Ministero dell’Industria- alla critica di “trotskismo” rivoltagli da alcuni sovietici:

Io credo solo una cosa, ed è che si deve avere la capacità sufficiente per distruggere tutte le idee contrarie su un determinato argomento oppure lasciare che le opinioni si esprimano Non è possibile distruggere le opinioni a bastonate, e questo è proprio ciò che uccide ogni libero sviluppo dell’intelligenza. Ora, è vero che dal pensiero di Trotsky si possono ricavare una serie di cose. Io credo che nelle questioni fondamentali su cui si fondava Trotsky commetteva degli errori; credo che il suo comportamento posteriore fu erroneo…” (11)

Forse non casualmente, la difesa più esplicita della libertà di espressione e la critica più diretta di Guevara all’autoritarismo stalinista si manifesta sul terreno dell’arte. Nel famoso saggio sul Socialismo e l’uomo a Cuba (1965) egli denuncia il “realismo socialista” di stampo sovietico come l’imposizione di un’esclusiva forma artistica (che è poi quella “alla portata dei funzionari”). Con un simile metodo, sottolinea il Che, “la ricerca artistica autentica viene annullata” e si mette una vera e propria “camicia di forza all’espressione artistica”. (12)


La democrazia socialista

Quantunque il Che non sia mai pervenuto a elaborare una teoria compiuta circa il ruolo della democrazia nella transizione al socialismo –forse la lacuna principale della sua opera- egli rifiutava tuttavia le concezioni autoritarie che tanto danno hanno arrecato al socialismo nel XX secolo. A coloro che, dall’alto, pretendono di “educare il popolo” –falsa dottrina, già criticata da Marx nelle Tesi su Feuerbach (“chi educherà l’educatore?”)- il Che replicava, in un discorso del 1960:

La prima ricetta per educare il popolo… consiste nel farlo entrare nel processo rivoluzionario. Non pretendete mai di educare un popolo, perché tramite la sola educazione, e con un governo dispotico sulla testa, impari a conquistare i propri diritti. Insegnategli, innanzitutto, a conquistare i propri diritti e allora, quando sarà rappresentato nel governo, imparerà tutto ciò che si possa insegnare e anche di più: sarà, senza il minimo sforzo, l’insegnante di tutti”.

In altri termini: l’unica pedagogia emancipatrice è l’autoeducazione dei popoli attraverso la loro specifica pratica rivoluzionaria o, come sosteneva Marx nell’Ideologia tedesca, “nell’attività rivoluzionaria, il cambiamento di sé coincide con la trasformazione delle condizioni date”. (13)
Vanno nella stessa direzione gli appunti critici del 1966 al Manuale di economia politica sovietico, che contengono questa precisa e significativa formulazione politica:

Il tremendo crimine storico di Stalin” è stato quello “di avere disprezzato l’educazione comunista e istituito l’illimitato culto dell’autorità”. (14)
Il suo principale limite è la riflessione insufficiente sul rapporto tra democrazia e pianificazione. Gli argomenti di Guevara in difesa della pianificazione e contro le categorie di mercato sono importantissimi ed acquistano una nuova attualità di fronte alla vulgata neoliberista oggi predominante, con il suo “culto del mercato”. Ma lasciano da parte il problema politico chiave: chi pianifica? Chi decide le grandi scelte del piano economico? Chi determina le priorità della produzione e del consumo?
Senza una vera democrazia –vale a dire senza: a) Pluralismo politico, b) libera discussione sulle priorità, c)libera scelta da parte della popolazione tra le varie proposte e piattaforme economiche avanzate- la pianificazione si trasforma inevitabilmente in un sistema burocratico, autoritario e inefficiente di “dittatura sui bisogni”, come abbondantemente dimostra la storia dell’ex Urss. In altre parole: i problemi economici della transizione al socialismo sono inseparabili dalla natura del sistema politico. La stessa esperienza cubana degli ultimi trent’anni rivela le conseguenze negative dell’assenza di istituzioni democratico/socialiste (anche se Cuba è riuscita ad evitare le peggiori aberrazioni burocratiche e totalitarie degli altri Stati del cosiddetto “socialismo reale”.
Questo dibattito ha certamente a che vedere con il problema delle istituzioni rivoluzionarie: Guevara rigetta la democrazia borghese, ma –a parte la sua sensibilità antiburocratica ed egualitaria-è lontano dall’avere una chiara concezione della democrazia socialista. Nel Socialismo e l’uomo a Cuba, l’autore ammette che lo Stato rivoluzionario possa commettere errori, suscitando una reazione negative delle masse che lo costringe a correggersi (l’esempio che cita è la politica settaria del Partito guidato da Anibal Escalante nel 1961-62). Ma, ammette, “ è ovvio che il meccanismo non è in grado di garantire una serie di misure adeguate e che occorre un legame più organico con le masse”. In un primo momento sembra trovare una soluzione in una vaga “interpolazione dialettica” tra i dirigenti e le masse. Ma qualche pagina prima confessa che il problema è ben lungi dall’esser stato adeguatamente risolto, consentendo un effettivo controllo democratico:

questa istituzionalizzazione della rivoluzione non si è ancora attuata. Stiamo cercando qualcosa di nuovo…”

Sappiamo che negli ultimi due anni della sua vita Ernesto Guevara si era spinto molto avanti nella sua presa di distanze dal modello sovietico, nel suo rigetto del “calco e copia” del “socialismo reale”. Ma buona parte dei suoi ultimi scritti è ancora inedita, per motivi inesplicabili. Tra questi documenti si trova una critica radicale al Manuale di Economia Politica dell’Accademia delle Scienze dell’Urss, redatta nel 1966.
In un articolo pubblicato nel 1996, Carlos Tablada –autore di un importante libro sul pensiero economico del Che- cita alcuni passi di questo documento, al quale ha avuto accesso (ma non l’autorizzazione di pubblicarlo integralmente). Uno di questi è particolarmente interessante, perché dimostra che nelle sue ultime riflessioni politiche Guevara si avvicinava all’idea di una democrazia socialista, di una pianificazione democratica in cui fosse il popolo stesso, fossero i lavoratori, “le masse” (per riprendere la sua terminologia) a prendere le decisioni economiche di fondo:

Di fronte alla concezione di un piano economico che è frutto della decisione cosciente delle masse, di tutto il popolo, c’è quella del piano economico come placebo, in cui solo gli elementi economici decidono del destino collettivo. Ma questa è una concezione meccanicistica e antimarxista…Le masse devono avere la possibilità di dirigere il proprio destino, stabilire cioè quanto destinare all’accumulazione e quanto al consumo. La tecnica economica dovrà semplicemente agire nei limiti di questi dati, mentre dovrà essere la coscienza delle masse a garantire il raggiungimento degli obiettivi”.
Le pallottole degli assassini della Cia e dei loro compari boliviani hanno interrotto nell’ottobre del 1967 questo lavoro di “creazione eroica” di un nuovo socialismo rivoluzionario, di un nuovo comunismo democratico.

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NOTE

(1) Questa lettera rientra tra i materiali del Che inediti e che finora non sono stati pubblicati a Cuba. La cita Carlos Tablada in un suo articolo “Le marxisme de Che Guevara, in Alternatives Sud 2/1996, p.168

(2) Ha ragione Fernando Martìnez Heredia allorché sottolinea: “Anche la parte incompiuta del pensiero del Che…contiene elementi positivi. Il grande indagatore è ancora presente per segnalarci problemi e percorsi, metodi per esigere dai compagni che pensino, studino e uniscano la pratica e la teoria. Quando si assimila veramente il suo pensiero è impossibile farne un dogma, trasformarlo in un altro baluardo dottrinario e in un altro ricettario di frasi.” (“Che, el socialismo y el comunismo”, in Pensar al Che, Centro de estudios sobre America/Editorial José Martì, La Habana 1989,II,p.30 (F.Martinez Heredia, “Che, il socialismo e il comunismo” in Aa.Vv., Attualità del Che, Teti, Milano 1997,p.223)

(3) L’Express, del 25 luglio 1963, p.9 (E.Che Guevara, Scritti scelti, Erre emme, Roma 1993, II, pp. 639-40)

(4) Nei limiti di questa relazione non posso presentare in forma più ampia il dibattito economico; ho cercato di farlo nel capitolo 2 del mioilibro: La pensée de Che Guevara, Maspero, Paris 1970

(5) E.Che Guevara, “Discorso al II Seminario economico di solidarietà afroasiatica, in Scritti scelti, II, pp646 sgg

(6) Il socialismo e l’uomo a Cuba, in Scritti scelti,II, pp.700 sgg

(7) E.Che Guevara, “Le plan et les hommes”, in Oeuvres, Maspero, Paris 1972, VI, Textes Inédits, p.90

(8)  sigla dellaNuova Politica Economica adottata da Lenin in Urss nel 1921 che attenuava i rigori del comunismo di guerra

(9) Tale impostazione è chiaramente presente nel saggio di economia politica che Guevara stava redigendo nel 1966, di cui cita alcuni passi Carlos Tablada nell’articolo citato. Ha ragione Janette Habel quando osserva che Guevara poneva ”un’enfasi eccessiva sulla critica economica delle deformazioni staliniane, sull’incidenza dei rapporti di mercato e non abbastanza sulla natura poliziesca e repressiva del sistema politico sovietico” (J.Habel, Prefazione a Michael Lowy, La Pensée de Che Guevara, Syyllepse, Parigi, 1997, p.11)

(10) “Interview with Maurice Zeitlin”. In R.E. Bonachea-N.P. Valdes (a cura di), Che: Selected Works of Ernesto Guevara, Mit Press, New York 1969, p.391; “An Interview with Roberto Acosta Hechevarrìa, in Gary Tennant, The Hidden Pearl of the Caribbean: Trotskysme in Cuba, Porcupine Press, London 2000, p.246. Secondo Roberto Acosta, Guevara gli disse che a un certo punto, in futuro, le pubblicazioni trotskiste sarebbero state autorizzate ufficialmente a Cuba (p.249)

(11) Che Guevara,”Il piano e gli uomini”, in Il Manifesto, n°7, dicembre 1969, p.37 (anche in Scritti scelti,II, pp 565/6).

(12) E.Guevara, Il socialismo e l’uomo a Cuba, in Scritti scelti,IIpp.708/9

(13) E.Che Guevara, Obras 1957-1967, Casa de las Américas, La Habana 1970,II, p.87

(14) Cit. da Juan Antonio Blanco, Tercer Milenio. Una vision alternativa de la posmoderidad, Centro Félix Varala, La Habana 1996.

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