CINEMA

domenica 13 marzo 2011



                                          LA BUSSOLA

                                       di  Michele Basso



Sulla questione della Libia occorre riflettere molto, perché, con la campagna di disinformazione in corso, che pone tutto in termini di tirannia e democrazia, se non stiamo più che attenti, corriamo il rischio di trovarci a manifestare in piazza con Emma Bonino e Walter Veltroni.
Non a caso, Dante Lepore scrive : “...l’insorgenza sociale che scuote il Nord Africa... assume già livelli di manipolazione ed è filtrata negli schemi della propaganda in modo tale che la percezione del fenomeno e i suoi insegnamenti vadano nel senso di «aspirazioni alla modernizzazione, alla democrazia e alle libertà borghesi» contro regimi dittatoriali obsoleti, piuttosto che come esplosione di rivendicazioni proletarie (che ne sono ovunque con tutta evidenza le protagoniste) ad un mondo migliore.”(1)
Sugli eventi di Libia, più ancora che su quelli tunisini ed egiziani, la propaganda ha diffuso equivoci e confusione, in cui è caduta anche parte dell’estrema sinistra. C’è chi, in nome di un preteso antimperialismo di Gheddafi, si augura la sua vittoria. Dimentica che le ingenti rendite petrolifere libiche hanno portato a importanti esportazioni di capitali proprio nelle metropoli imperialiste, a cominciare dall’Italia: “La Libia possiede in questo momento il 7,5% di Unicredit (4,99% della Banca centrale libica e 2,5% del fondo sovrano Libyan Investment authority), l'1% di ENI, pari a 750 milioni di EURO circa, il 2% di Finmeccanica, il 14,7% di Retelit e il 7,5% della Juventus. In tutto la Libia investe 3,7 miliardi nelle società italiane quotate in Borsa. (2)
La borghesia libica ha fatto fior d’affari con tutte le potenze imperialistiche, mentre sfruttava senza limiti oltre un milione e mezzo di immigrati, in gran parte clandestini, ora abbandonati al loro destino.
Ancora più pericolosa l’altra trappola, di chi, in nome della lotta al tiranno, chiede l’intervento dell’Europa e dell’America. I comunisti e i lavoratori coscienti in nessun caso devono schierarsi dalla parte degli USA. La cosa era abbastanza ovvia quando alla Casa Bianca risiedeva il rozzo Bush, incapace di nascondere le sue aspirazioni imperialistiche, è meno evidente oggi che è in carica il diplomatico e sottile Obama. Ma un episodio apparentemente secondario potrà far capire chi sono realmente gli “umanitari” che impongono sanzioni, e prospettano no fly zone e sbarchi militari, gridando al tiranno. Un aereo delle forze di sicurezza statunitensi doveva portare materiale e istruttori per tenere al Geof (Grupo Especial de Operaciones Especiales de la Policia Federal) corsi di perfezionamento per la lotta al terrorismo.
Ma una valigia conteneva : “sostanze stupefacenti come Epinefrina, morfina e molti altri sedativi ipnotici ad effetto immediato, oltre ai relativi antidoti. Non solo droga. Nella valigia le forze argentine hanno anche trovato strumenti per la trasmissione dati e per la decriptazione di file.” “Tutto il carico sequestrato era contenuta in casse di legno contrassegnate ‘7° Gruppo Forze Speciali, Ft. Bragg, North Carolina’, secondo il giornalista argentino Walter Goobar Alcuni dei farmaci trovati, secondo Tercera Información News Service, erano adrenalina, ketamina, solfato alcaloide di morfina, midazolam, naloxone, OxyContin e l’oppioide semi-sintetico nalbufina.” (3) I moralizzatori girano per paesi amici con pesanti carichi di droga e con apparecchiature che presuppongono operazioni illegali. Approfittando dell’impunità che hanno nelle maggior parte dei paesi (a cominciare dall’Italia) violano quotidianamente tutte le norme del diritto internazionale che asseriscono di difendere. Questa è l’alta morale alla quale l’imperialismo americano s’ispira.
Per evitare queste trappole, occorre una bussola, per fissare l’asse principale delle lotte al quale tutti gli altri sono collegati. Sull’esempio dei comunisti del passato, dobbiamo chiederci qual è la forza che, a livello mondiale, rappresenta un costante pericolo per qualsiasi conquista dei lavoratori. Marx ed Engels individuarono nello zarismo russo la riserva di tutte le reazioni, e vi ravvisarono l’ostacolo principale, non solo per un’eventuale rivoluzione proletaria, ma persino per le rivoluzioni e le riforme borghesi. Dopo la caduta dello zarismo, Lenin e l’Internazionale indicarono nella Gran Bretagna colonialista il nemico da abbattere, e trovarono alleati nei movimenti anticoloniali. Zinoviev, scandalizzando molti comunisti ingenui, a Baku terminò il suo discorso con queste parole: “Adesso è giunta l’ora in cui potete incominciare a organizzare una vera guerra santa popolare contro i predoni e gli oppressori. L’Internazionale Comunista si rivolge oggi ai popoli dell’Oriente e dice loro: “Fratelli, vi chiamiamo ad una guerra santa, soprattutto contro l’imperialismo britannico”. (4)
Dopo la II guerra mondiale il despota da colpire era rappresentato dalla repubblica a stelle e strisce. In una lettera del 1951 a Onorato Damen, che definiva Mosca “la centrale d’un imperialismo alla pari con quello americano nel porre in funzione russa il problema del dominio del mondo”, Bordiga, dopo avere esaminato i fattori di concentramento di forze produttive, riserve umane, continuità storica del potere statale, militari, rispondeva : “Esaminati tutti questi fattori, si vede che l’America è il concentramento n.1 nel senso, oltre tutto il resto, ed oltre la probabilità di vincere in ulteriori conflitti, che sicuramente può intervenire ovunque una rivoluzione anticapitalista vincesse. In questo senso storico dico che oggi la rivoluzione, che non può che essere internazionale, perde il tempo se non fa fuori lo stato di Washington. Ciò significa che ne siamo ancora lontani? Okei.” (5)
Oggi, gli Stati Uniti non hanno più, come alla fine degli anni ’40, la metà della produzione industriale mondiale, ma restano una potenza che sul piano militare non ha confronti, hanno una diplomazia e centrali spionistiche potentissime, una potente rete di alleanze e mille strumenti di ricatto. Ogni loro rafforzamento allontana, forse anche di decenni, la ripresa della lotta di classe e della rivoluzione. Sbaglia in modo grave chi spera che si possa fare qualche passo avanti verso la rivoluzione con l’aiuto diretto o indiretto degli USA. Questi ultimi si fregiano volentieri del titolo di liberatori, ma ogni loro intervento si risolve in una forma più completa di asservimento per i popoli “liberati”. Iracheni, afgani, e i popoli latino americani portano ancora i segni della benevolenza dell’imperialismo di Washington. I vietnamiti sono sfuggiti a questa “liberazione” pagando un prezzo enorme.
L’intervento della Nato in Libia, benedetto o meno dall’ONU, sarebbe perciò la soluzione peggiore.
I paesi europei - a perenne scorno degli europeisti, che sognano un superstato borghese in grado di trattare alla pari con gli USA, per fortuna abortito, perché sarebbe un ulteriore ostacolo sulla via della lotta proletaria per un’Europa comunista - conducono politiche estere diverse e potenzialmente conflittuali fra loro. Sarkozy, il nemico giurato dei lavoratori e dei pensionati e degli immigrati in Francia, spinto da fregole elettorali concorrenziali rispetto all’estrema destra, riconosce il Consiglio nazionale di Bengasi, e vuole bombardare le postazioni di Gheddafi. La Merkel non vorrebbe impelagarsi in guerre mediterranee, che lascerebbe volentieri ad altri, visto che la Germania è troppo impegnata a conquistare mercati, a detrimento dei cari, chiassosi vicini. Berlino, tuttavia, fa parte della Nato, e potrebbe essere costretta, obtorto collo, a intervenire. L’Inghilterra si è già compromessa con l’incursione dei corpi speciali a Bengasi. Un gruppo di SAS, guidato da un alto ufficiale del M16 (il servizio segreto britannico), con tanto di elicottero, esplosivi, munizioni e passaporti falsi, arrestato come una banda di ladri di polli. Evidentemente, i tempi dell’impero sono lontani per Londra, ma certi dirigenti politici non se ne sono ancora fatti una ragione.

Per quanto riguarda l’Italia, sappiamo fin troppo bene, che le dichiarazioni di Berlusconi variano completamente secondo il luogo dove le pronuncia. Non c’è galletto segnavento più rapido a mutare posizione: filorusso a Mosca, yankee a Washington, amico di Mubarak, di Ben Alì, e pochi giorno dopo dei ribelli, libertino a casa e baciapile in chiesa, in un convegno di seminaristi sarebbe capace di parlare delle beatitudini. Ancora meno attendibile Frattini. Per capire la politica italiana verso la Libia è meglio vedere ciò che fa l’ENI, che ne è il vero protagonista, e per ora i suoi contratti non sono stati annullati.

Gli insorti libici stanno arretrando, e questo fa pensare che siano state fatte loro promesse ingannevoli. Non sarebbe la prima volta. Bush padre, al tempo della guerra del 1991, fece dichiarazioni che furono interpretate come un invito agli sciiti perché insorgessero, ma, una volta prese le armi, furono lasciati alle vendette di Saddam. L’interesse reale delle potenze per le vite umane si vede anche dall’abbandono in cui sono lasciati i lavoratori immigrati di pelle nera, perseguitati dagli insorti perché scambiati per mercenari, e scacciati dalle truppe di Gheddafi.
Non è escluso, però, che Obama prenda tempo per preparare meglio l’attacco. E’ vero che l’America è già impegnata pesantemente dal punto di vista militare, ma l’occasione libica è troppo ghiotta. Finora il successo USA nella penetrazione militare ed economica in Africa non è stato grande. In un’intervista ad Hassan Mohamed si dice: “... gli Stati Uniti non riescono a impedire ai paesi africani di commerciare con la Cina, e hanno perso una grande influenza sul continente. Testimonianza del colpo subito dal Pentagono, è stato quando esso ha cercato invano un paese che ospitasse il quartier generale del suo comando regionale AFRICOM. Tutti gli Stati continentali si sono rifiutati di ospitare questa base. Il ministro della Difesa sudafricano ha spiegato che il rifiuto è "una decisione collettiva africana" e lo Zambia aveva anche risposto al Segretario di Stato USA: "Vorreste avere un elefante in salotto?" Attualmente, la sede del comando regionale per l'Africa è a Stoccarda ...! E’ una vergogna per Washington.” (6)
Nonostante ciò, gli USA sono riusciti ad avere punti di forza in singoli stati, per esempio nella Repubblica democratica congolese (RDC) a Kisangani, nel cuore di Ituri, Provincia orientale, dove lavorano per formare un esercito professionale. Sappiamo cosa ciò ha significato nell’America latina, dove i colpi di stato condotti da eserciti addestrati dagli americani erano all’ordine del giorno. Ma per il generale William Ward: “Si tratta di formare un esercito più professionale, che rispetti l'autorità civile e garantisca la sicurezza del popolo congolese. Ciò che facciamo qui come in altri luoghi d'Africa, d'accordo con i governi sovrani, è nell'interesse dei popoli. Agli USA e alla comunità internazionale interessa che il popolo congolese viva in pace ed abbia la possibilità di un futuro migliore”. (7) Amen! La politica di Obama segue punto per punto quella di Bush, con più intelligenza e più concessioni alle belle maniere.
L’importanza strategica della Libia è enorme, non solo è nel cuore del Mediterraneo, ma si spinge a sud nel Sahara e può controllare gran parte dell’Africa nera. Fu lasciata all’Italietta di Giolitti, ma, se fosse caduta nelle mani della Germania, avrebbe costituito un pericolo mortale per gli imperi inglese e francese, belga, portoghese, ecc.
A tempo della guerra fredda, gli Stati Uniti non avevano interesse ad inimicarsi Francia e Gran Bretagna, per cui lasciarono loro mano libera negli ex imperi coloniali. Lo sgambetto fatto a Suez alle due alleate nel 1956, costituì un’eccezione: quando Nasser nazionalizzò il canale, Gran Bretagna, Francia e Israele, intervenute militarmente, furono costrette a ritirarsi da Russia e America. Dopo la parentesi di Nasser, l’Egitto finì nell’orbita americana. Caduta l’URSS, i contrasti euro–americani si accentuarono, finché negli ultimi anni la concorrenza cinese minacciò di cacciare europei e statunitensi dal mercato africano. Se Africom riuscirà a installarsi in Libia, invece, gli USA potranno puntare con più probabilità di successo al dominio del continente nero, l’America latina avrà minori margini di manovra, e Washington potrà pensare a fare i conti con Russia e Cina. Si dirà che gli Stati Uniti sono in decadenza dal punto di vista economico, ma proprio questo li rende più aggressivi e più pericolosi nella lotta per conservare il predominio.
Perciò occorre opporsi all’intervento militare, e lo si può fare soltanto cercando la collaborazione dei proletari e degli antimilitaristi statunitensi, i soli che possono colpire il mostro imperialista dall’interno. Chi, per risentimento antiamericano, pensa di escludere questo determinante settore del proletariato mondiale dal bilancio sulla lotta di classe internazionale, considerandolo alla stregua di un’immensa aristocrazia operaia controrivoluzionaria, si preclude da solo la via per la comprensione dei rapporti internazionali tra le classi.
In Italia, c’è un motivo in più per la lotta antimilitarista, e lo chiarisce uno scritto della Confederazione COBAS della Sicilia: “Preoccupanti sono le dichiarazioni del Ministro Frattini che candidamente dichiara che per attuare la No Fly Zone bisogna bombardare le basi militari ed aeree dell’esercito Libico. Il Ministro La Russa sa benissimo che le nostre coste e le basi di Sigonella, Birgi, Augusta e Niscemi, da lui messe a disposizione della macchina bellica occidentale, sono nel raggio di azione delle armi missilistiche della Libia.” (8)

Che farà con questi missili Ignazio Benito Maria La Russa? Li fermerà sul bagnasciuga?

12 marzo 2011

dal sito   
http://www.webalice.it/mario.gangarossa/sottolebandieredelmarxismo.htm


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NOTE:

1) Dante Lepore, “L’imperialismo nel grande gioco Nord Africano – I parte”. http://www.ponsinmor.info/.
2) Il Sole 24Ore, 18 febbraio 2011 e “Dagli appunti sulla Libia” di Angela Marinoni)
3) Alessandro Grandi, “Un aereo militare Usa atterra in Argentina con un carico non completamente dichiarato. Le autorità intervengono, sfiorata la crisi fra i due Paesi”. Peacereporter, 17/2/2011. Andrade Mario, “Confiscato in Argentina un velivolo militare USA di una operazione coperta in Sud America; agenti della CIA sotto inchiesta”, Aurora, 28/2/2011
4) “Assalto al cielo, Documenti e manifesti del Congressi dell’Internazionale Comunista (1919- 1922). Congresso dei popoli d’Oriente (Baku, 1920)”
5) “Alfa ad Onorio” (Amadeo Bordiga a Onorato Damen), 9 luglio 1951, pubblicate in “Prometeo”, serie II, n. 3, aprile 1952.
6) Oceano Indiano: qui si svolge la grande battaglia per il dominio del mondo. Intervista di Lalieu Gregory & Michel Collon a Hassan Mohamed Investig'Action - Mondialisation 15 settembre 2010. Traduzione di Alessandro Lattanzio - Aurora.
7) AFRICOM nel cuore della guerra per il petrolio Africa, Amadou Fall, 11 novembre 2010.
Fonte: http://www.fundacionsur.com/spip.php?article7422. Traduzione dallo spagnolo per http://www.resistenze.org/ a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare, in Campo Antimperialista – Italia.
8) “No all'intervento armato in Libia”, Confederazione COBAS della Sicilia Fonte in sottolebandieredelmarxismo

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