BANGLADESH: UN PAESE AL LIMITE DEL PUNTO DI ROTTURA?
di Pierre Rousset
Uno dei tre giganti demografici dell’Asia del Sud – con l’India e il Pakistan – il Bangladesh attraversa una crisi profonda della quale non si vede lo sbocco.
Nel Bangladesh si sono appena tenute le elezioni legislative, che non porranno fine a una crisi con molti aspetti, che risulta ogni anno più acuta.
Crisi politica. Al potere dal 2008, la Lega Awami ha ottenuto l'80% dei seggi allo scrutinio legislativo del 5 gennaio; la prima ministra uscente, Sheikh Hasina, rimane al suo posto. L'opposizione condotta dal Partito nazionalista del Bangladesh alleato degli islamisti, ha boicottato le elezioni e non ne accetta il risultato (anche nel BNP la figura di punta è una donna, l’ex prima ministra Khaleda Zia). L'Unione europea, gli Stati Uniti e il Commonwealth hanno preso le distanze dal regime rifiutando di mandare missioni di osservazione della campagna elettorale, durante la quale sono state uccise circa 150 persone. Le violenze politiche hanno segnato l'intero anno 2013, con probabilmente 500 morti, il bilancio annuo più alto dall'indipendenza.
Tradizionalmente in Bangladesh, per organizzare nuove elezioni si forma un governo “apolitico” di transizione. Questa volta la Lega Awami si è opposta, offrendo l'occasione al BNP, di cui parecchi dirigenti sono in galera o in fuga, di chiamare al boicottaggio.
Crisi istituzionale. In Bangladesh, l'Islam è la religione di stato, ma nondimeno il regime è largamente laico e la sinistra «secolare» è potente. Però l’ascesa dei fondamentalismi religiosi nella regione (induista in India, buddista in Sri Lanka, musulmano in Pakistan...) si fa sentire anche nel paese, rimettendo in discussione i riferimenti laici (secolari) delle istituzioni e riaprendo le ferite della guerra di liberazione.
Dal 1947 al 1971, il Bangladesh attuale costituiva il Pakistan orientale, dominato dal Pakistan occidentale. Ha ottenuto l'indipendenza dopo una lotta armata, con l'appoggio dell'India. Ma i principali movimenti islamisti di oggi hanno fornito soldati suppletivi all'esercito pakistano durante quel conflitto sanguinoso nel quale hanno commesso numerosi crimini di guerra. Il loro attivismo attuale e il loro radicalismo fondamentalista (particolarmente contro le donne) hanno provocato una reazione di massa, che esige che i loro dirigenti siano finalmente processati per i crimini del 1971. Nel dicembre scorso uno di loro, Abdul Kader Mollah, vicino al BNP, è stato condannato a morte.
Crisi sociale. Il crollo dell'edificio industriale Rana Plaza nell'aprile del 2013, nella periferia di Dacca (1200 morti) ha rivelato all'opinione pubblica mondiale la precarietà estrema e il livello di sfruttamento imposti alle operaie del tessile. La mondializzazione capitalista, gli agganci fra padroni locali e i committenti internazionali, la concorrenza imposta ai paesi produttori di abbigliamento hanno provocato una crisi sociale esplosiva che si manifesta in Bangladesh, Cambogia, India, Pakistan... Una crisi sociale che colpisce in pieno anche i contadini.
Crisi climatica. Il Bangladesh è forse il «grande» paese più colpito dalle conseguenza del riscaldamento atmosferico. È già stato colpito da cicloni micidiali e da piogge monsoniche torrenziali: Si stima che la metà del territorio (di cui il 10% si trova al di sotto del livello del mare) verrebbe allagato se il livello dell'oceano aumentasse di un metro. Una gran parte della popolazione è minacciata, poiché il delta del Gange e del Brahmaputra è anche la regione più fertile dove è particolarmente alta la densità umana.
Di fronte al caos climatico, la popolazione si trova indifesa. Il paese sta per conoscere un numero crescente di «rifugiate-i interni» che renderanno ancora più fragile un tessuto sociale minato dalle politiche liberiste e dalle violenze religiose settarie.
Gli spostamenti migratori si orientano anche verso l'India, paese frontaliero del Bangladesh, dove si rafforzano i movimenti xenofobi. La crisi del Bangladesh può contribuire a destabilizzare parecchie regioni dell'Asia del Sud.
13 gennaio 2014
Trad. A. Marie Mouni
Articolo scritto per il settimanale dell’NPA, L’Anticapitaliste (Francia).
dal sito Movimento Operaio
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