CINEMA

giovedì 10 gennaio 2019

NATALE CON VALENTINA di Teresio Spalla





NATALE CON VALENTINA 
di Teresio Spalla



Il 24 dicembre, se n’è andata, a 87 anni, Grazia Nidasio, la più grande autrice donna e italiana di fumetti, letteratura, divulgazione per bambini e ragazzi, del Ventesimo Secolo.
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La scomparsa, alla vigilia di Natale, di Grazia Nidasio, a un’età in cui oggi c’è chi corre la cavallina (e ne avrebbe fatti 88 a febbraio) ha suscitato un pacato clamore e copiose lacrime tra i fumettisti e tra gli appassionati, soprattutto le appassionate dei suoi personaggi femminili che apparvero su Il Corriere dei Piccoli e Il Corriere dei Ragazzi dagli anni Cinquanta alla fine dei Settanta.
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Così, non così quanto delle ultime stupidate di Asia Argento o delle mai ultime efferatezze di Salvini, se ne sono anche occupati i giornali.
Credo, per quel poco che la conoscevo, che ne sarebbe stata contenta, ma col disappunto e la malinconia di chi, da molti anni, si sentiva ormai una donna del passato, di un passato irrecuperabile.
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E sfido i lettori a dirmi quanti, in quest’ultimo ventennio, si sono ricordati di Grazia Nidasio, nell'epoca in cui furoreggia, e notevolmente per mano di giovani e valide autrici, un fumetto erotico tanto smaliziato quanto specchio di una giovinezza infinita e addolorata, dove sesso e fumo non bastano più a creare l’allegria di una vita scombinata.
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Di ciò l'apice è stato raggiunto dalla pubblicazione, baciata dal successo, di Romanzo Esplicito, opera della sagace ventiseienne Josephine Yole Signorelli, la quale firma come Fumetti brutti (brutti nel senso che raccontano di un mondo brutto e s’esprimono con un disegno volutamente scarno e smembrato di occhi bui e corpi aggrovigliati in un dialogo volutamente introverso e rattristato), pubblicato a settembre da Feltrinelli e molto ricercato tra gli adolescenti con foruncoli e senza.
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Di fronte alle lacrime, agli attestati di accorata memoria per Grazia Nidasio, creatrice di personaggi e storie così diversi, mi sono chiesto se non sia stato proprio questo nuovo corso del fumetto, in cui le giovani e giovanissime autrici attingono alle crudeltà ineluttabile della vita odierna e all'erotismo come ultima risposta ragionevole ad una società adulta che fa schifo, ad aver alimentato la nostalgia per quando le precedenti protagoniste femminili del fumetto contemporaneo non fossero affatto asessuate ma però piene di fiducia, ricche di un senso della realtà non necessariamente ottimistico ma certamente volto a cercare in qualche modo di risolvere, con la ragione, i drammi di tutti i giorni e i problemi di una società ancora modificabile nei suoi aspetti più tetri.
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Non a caso, fin dal 2009, un’autorevole fumettista di una generazione precedente, Laura Scarpa, ha curato per Comicout (da Coniglio Editore, ormai esaurita)la raccolta dei quattro volumi delle avventure complete di Valentina Mela Verde, la creazione più nota e amata nonché più contemporanea, di Grazia Nidasio, apparsa sul Corriere dei Piccoli e quello dei Ragazzi dal 1959 al ’76; notevole esperienza editoriale preceduta da tre volumi di raccolta delle storie più esemplari, pubblicati da Salani alla fine dei Novanta, ed oggi irreperibili.
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E, sempre non a caso, nell’autunno di quest’anno che sta per finire, la stessa Laura Scarpa ha realizzato la mostra Grazia Nidasio . Valentina Mela Verde e le altre esposta nel contesto del convegno Qua la penna!  Autrici e art director nel fumetto italiano dal 1908 al 2018, tenuto per due giorni a Rovereto, a cui hanno partecipato, a testimoniare epoche diverse dell’illustrazione, Cinzia Ghigliano e Fulvia Serra con Katia Katja Centomo, Anna Lazzarini, Ilaria Mattioni e tante altre, oltre a maschietti non più di primo pelo ma di notevole acume e senso dei tempi.
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Già nella primavera di quest’anno, Marcello Toninelli – nell’articolo Fumetti italiani pubblicati in Italia uscito su “Giornale Pop” il 4 marzo 2018 – rievocava i tanti fumetti comici nostrani ormai scomparsi da anni dalle edicole: dal Signor Bonaventura a Pippo-Pertica e Palla, da Tiramolla a Cucciolo, da Soldino a Nonna Abelarda, da Geppo a Superbone, fino ai personaggi del cinema come Totò illustrato da Lorenzo Castellari, Ciccio e Franco di Luciano Bernasconi; della tv come Topo Gigio di Maria Perego, disegnato niente meno da Dino Battaglia, e Pappagone ancora di Bernasconi.
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Ma, ad un certo punto, nota Toninelli, “Il personaggio ambientato in Italia che ha forse avuto maggior successo è senza dubbio Valentina Mela Verde di Grazia Nidasio”.
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La Nidasio, dopo aver frequentato le scuole adatte, entrata al Corriere dei Piccoli dagli anni ’50, aveva ricreato a fumetti, dal ’61 al ’72, un personaggio celeberrimo della prima “tv dei ragazzi” dal ’55 al ’66: Scaramacai, il povero clown che, con chapliniana umiltà, pagava sempre lo scotto della cattiverie degli altri.
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Scaramacai, fu ideato per la Rai da Umberto Simonetta e Guglielmo Zucconi il quale ne continuò la scrittura sul Corrierino, interpretato da Pinuccia Nava la quale, sullo schermo in bianco e nero, ne riproduceva la tenerezza sconfortata.
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Grazia Nidasio incentivò, con i suoi tipici toni acquerellati, il suo taglio di fino e di compassione, le caratteristiche del personaggio rendendolo una stella del fumetto in avventure così vivacemente colorate non permesse ai modesti mezzi della televisione di allora.
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Per inciso qui notiamo che mentre le apparizioni e le serie con Scaramacai sono state distrutte dal solito funzionario zelante che imponeva il riciclo dei nastri (accadde lo stesso a La Nonna del Corsaro Nero, una vera cattiveria ai bambini di allora, ma chi sia costui non è dato saperlo) proprio quando si appurò il crimine benché la notizia rimase allora interna all'azienda, a quel punto venne fuori lo Sbirulino di Sandra Mondaini che ne era lo spudorato plagio a livello d’avanspettacolo, ridotto a macchietta più per il pubblico del sabato sera che per quello giovanile del pomeriggio, rinchiuso nel ristretto ambito della comicità casalinga dell'attrice in coppia col marito.
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Sopravvivendo nei fumetti grazie a Grazia Nidasio, Scaramacai, prodotto di una visione intelligente ed elaborata dell’umorismo, visse un’altra stagione di gloria, ma non riuscì ad evitare per sempre il primato del tubo catodico che finì per nasconderlo nella memoria dei bambini che lo poterono gustare negli undici anni in cui andò in onda sulla “Rete nazionale”.
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Il primo personaggio femminile di Grazia Nidasio – Alibella, scritto da Franco Bianchi ed edito sul CdP dal ’54 al ‘’63 – era già una creazione matura ma dedicata ai più piccoli.
Nelle sue gesta si vede l’influsso di Gianni Rodari il quale, in quegli anni, divenne autore ed amico fraterno della Nidasio cercando di indurla a scriversi i testi da sola.
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Alibella, una bambina di pochi anni - alata, grassottella, e con un vestitino color fuxia, gioiosa e ingenua - viveva vicende che mostravano la realtà così com'era finché lei non riusciva a risolverla con una dose di ottimismo e uno strano fascino magico che tanto piacque da farla divenire protagonista di allora notissimi sketch pubblicitari diretti, per Carosello, dai fratelli Nino e Toni Pagot, tra i massimi animatori dell’epoca e la cui eccellenza è riconosciuta ancor oggi.
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Seguì Gelsomino - il ladro fondamentalmente onesto, il quale finisce sempre col dedicarsi ad aiutare i più disgraziati di lui - Il Chierico Vagante; La signorina Vanità, Il signor Martino, e una lunghissima serie di storie autoconclusive prevalentemente scritte prima da Rodari e poi, quando quest’ultimo prese a dedicarsi a geniali esperimenti didattici che lo portavano in giro per l’Italia e per il mondo, quasi esclusivamente da Milani il quale, per celare la sua ubiquità letteraria, si avvaleva di almeno sette pseudonimi.
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Mino Milani (che ha compiuto novant'anni il 3 febbraio 2018, ed ha alle spalle una produzione eccezionale di narrativa e saggistica oltre all’inesauribile attività nel fumetto e nel racconto illustrato nonché nel giornalismo divulgativo) aveva dato vita, coi disegni di Mario Uggeri, a Paglia, una ragazzina bionda, vestita alla moda ma senza eccedere, vagamente somigliante alla giovane Catherine Spaak, protagonista di storie gialle ora semplici ed ora no, con la quale si tentava, senza riuscirvi sempre pienamente, di riprodurre un carattere femminile contemporaneo ed aggiornato.
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Questo tipo di personaggio fu poi ripreso, con meno irrefrenabilità, da Gino D‘Antonio con la sua Susanna, che apparve sul settimanale cattolico Il Giornalino dal 1975 al ’95 senza avere lasciato una traccia non profonda ne nel ricordo dei suoi lettori ne nella carriera dell’autore de La Storia del West edita da Bonelli.
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A queste giovani, intraprendenti ma realisticamente quasi incorporee, lo stesso CdP rispose affidandosi ad Anna (in originale Line) di produzione francese con autori di prestigio ai testi e al disegno, la quale non riuscì però a cogliere la sensibilità del pubblico soprattutto femminile.
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A questa si avvicinava il fulgido Corentin, una longeva personalità del fumetto franco-belga che dal ’46 era ancora in sella nel 2016; un ragazzo coraggioso, rosso di capelli, sempre pronto ad avventure straordinarie.
E questo, tra le citate, è il primo eroe del Corrierino (dove sostò dal ’68 al ’70) che io ricordi con grande piacere perché, pur essendo piccolo, potevo già capirlo e coglierne le caratteristiche di curiosità e sentimento di giustizia che lo resero gradito anche ai ragazzi delle rivolte studentesche parigine.
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La Nidasio intanto, divenuta anche redattrice, componeva rubriche di ogni genere e tipo.
Con la sua prosa semplice, con la sincera modestia e chiarezza della sua narrazione, ora spiegava come portare le calze di raso ed ora cos'era accaduto a piazza Fontana il 12 dicembre; ora i “decreti delegati” (con cui, dal ’74, si cercò di democratizzare la scuola media superiore italiana non sempre fallendo nell'intento) ed ora quale reggipetto indossare per la prima volta e la riforma del "diritto di famiglia"; come vestirsi per la prima festa fuori casa senza genitori e la contestazione nelle Università.
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Agì sempre con un fenomenale, composto, linguaggio obiettivo e in linea con una velata partecipazione personale al rinnovamento della gioventù italiana tanto che, ad un certo punto, ebbe una litigata con Zucconi, divenuto direttore della testata e in area democristiana, il quale finì col concedere ancora più spazio a questa donna tanto posata quanto ardita.
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Da segnalare, per la leggerezza con cui comunica al lettore significati spesso complessi, che la Nidasio illustra e scrive da se i testi delle riproduzioni di opere teatrali e liriche, celebri balletti, film e romanzi.
Di tutto ciò, espresso in una sola pagina, ho memorizzato il sapore appena appena favolistico, il gusto appena appena musicale, che contornavano la poesia di fondo con cui presentava ad una nuova generazione ciò che un’altra aveva fatto per se stessa.
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In queste storie brevi c’è tanto da ritrovare e da imparare, per cui sarebbe opportuno, tra i tanti libri inutili che escono in un mercato dove i lettori sono sempre di meno, raccoglierle tutte in volume con l’eventualità di un altro Premio Andersen alla memoria, giacché ne vinse uno nell’87 come miglior autrice e uno alla carriera nel 2001.
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E proprio su un soggetto dello stesso Zucconi scrisse, tra il ’61 e il ’67, il suo primo personaggio femminile che ricordo esaltante: Violante.
E’ una bella ragazzina bionda che vive in microcosmo sociale borghese e cittadino, senza particolari conflitti che non siano quelli causati dalla sua passione per la musica rock, i concerti, i ragazzi coi capelli lunghi e le camicie a fiori, le cravatte dai colori bizzarri e i pantaloni scampanati (non ancora i jeans) che la circondano senza che i loro rapporti più personali siano mai messi in mostra.
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Come poi io faccia a ricordarla così bene (anche se è pur vero che un’occhiata a qualche episodio l’ho data in settembre quando stavo preparando un pezzo poi interrotto e che, per Giornale Pop ha scritto un altro, e molto meritevolmente, nel numero del 27 dicembre) è un mistero che si spiega.
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Ricordo Violante, come tanti altri della mia età o più grandicelli, perché, anche se ancora non conoscevo nemmeno i fondamentali teorici dei rapporti uomo-donna, mi piaceva, mi piaceva lei, e sognavo, nell'atmosfera molto più per bene e tradizionale della scuola di pianoforte frequentata allora (dove l’unico allievo maschio ero io), che una delle bambine della signora Casale-Berio, la nostra insegnante, si trasformasse in lei.
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Per il CdP l’antimatusa Violante fu un modo per avvicinare anche un tipo di lettori meno consueti e preferenti altri tipi di fumetto.
Le vendite andarono alla stelle e anche gli autori italiani della Disney-Mondadori si adattarono ad inventare Paperetta Ye Ye.
Altri editori meno potenti vararono tante emulazione tra cui si ricorda Teddy Bob dell'editore Gino Sansoni.
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Anche la casa editrice Universo, sovrana delle storie femminili romantiche ancora sulla scia di quelle del dopoguerra, convinse Luciana Peverelli ad adeguare L'Intrepido e Il Monello ad una fase diversa a cui non fu estranea un'altra autrice delle testate, la meno controversa Wanda Bontà.
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Sul Corrierino si cominciò a parlare di musica, di hit-parade, di pop e di rock, e la stessa Nidasio si ritrovò a spiegare chi erano i Beatles e i Rolling Stones e perché Gianni Morandi cantava la canzone di quel ragazzo che amava tutti e due i fatidici complessi ma finiva a morire non fatidicamente in Vietnam.
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Osò l’impossibile, anche per il tollerante CdP di allora, con le storie di Grazia Nidasio raccontate in forma di lettere tra le due amiche.
La vicenda epistolare durò dal ’66 al ’69 ma risultò meno incisiva sul pubblico, soprattutto per la forma inusitata più che per l’ormai eccellente e ineguagliabile disegno e la spiazzante sincerità delle due protagoniste.
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La Nidasio, ormai sicura anche come narratrice, illustra su testi di Pietro Selva (alias il sempreverde Mino Milani) Il dottor Oss (‘64/’69), ancor oggi un pilastro del fumetto di massima qualità, a proposito del quale dovrei scrivere un articolo apposito, e dove lei collabora all'invenzione delle storie e ai dialoghi dell’indaffaratissimo autore che intanto scrive riduzioni di vicende storiche, romanzi, la “realtà romanzesca”, inaugura la fantascienza di cui diventerà uno specialista e a cui lascerà un paio di capolavori disegnati da Sergio Toppi, Dino Battaglia e tanti altri tra i grandi fumettisti tra i quali non mancavano Hugo Pratt e Milo Manara.
Non è leggenda che Giovanni Gandini abbia richiesto il personaggio per Linus prima di comporre il primo numero e che, durante gli anni successivi, vi provò altre volte senza riuscire a scalare i prezzi proibitivi che caratterizzavano le edizioni del Corriere della sera. 
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E quando finisce il Dottor Oss può iniziare Valentina Mela Verde che nasce durante le scosse portate dal ’68 studentesco, dagli scioperi duri dell'”Autunno Caldo” del ’69, e poco prima della bomba alla banca dell’agricoltura.
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Valentina Morandini, un’adolescente dai capelli rossi, coi suoi gusti in formazione, le prime passioni letterarie e cinematografiche, con i suoi primi amori silenziosi e inizialmente mai espressi, la propensione per la musica e il volontariato nella realtà d’ogni giorno, non è solo un’evoluzione di Violante, ma la concretizzazione di un progetto che la signora Nidasio, allora trentottenne, aveva forse coltivato per se stessa ed ora esponeva ai lettori con una franchezza e una pulizia di linguaggio narrativo uniche in un fumetto italiano che se non è proprio comico non è nemmeno drammatico.
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Valentina, non a caso, ha per simbolo una mela non ancora matura ma già addentabile, una mela verde che simboleggia i “cuori al verde” di una adolescenza, quella degli anni Settanta, da cui la prima giovinezza di oggi pare del tutto diversa, se non completamente distaccata.
Ma non è poi veramente così.
Chi ce la fa oggi a rimanere coerente con certe aspirazioni assomiglia più a lei che a modelli recenti ma ingannevoli.
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Valentina Mela Verde simboleggia la ricerca di una liberazione che, nell'ambiente piccolo borghese in cui è collocata, non poteva che avvenire con il ragionamento e il seguire le pulsazioni del cuore.
In Valentina tutto è passione, umore, senso, e tutto è buono per far divertire, creare umorismo, dar significato al detto di Buster Keaton “La comicità è una cosa estremamente seria”.
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Non la vediamo mai far l’amore ma sappiamo che è troppo intelligente per rimanere vergine nell’epoca in cui, a Woodstock come nella nostra “Festa della Primavera” si sdogana il nudo pubblico subito ripreso su una memorabile copertina de L’Espresso e documentata accuratamente da un servizio di dodici pagine fotografiche su Abc.
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E sappiamo che far l’amore con lei non può essere sintomatico al trombare tutti perché va bene così, non può essere eseguito al motto di “ogni lasciata è persa”.
Far l’amore con Valentina può essere solo qualcosa di straordinariamente reciproco.
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Com’è che dico questo di una che a far l’amore non s’è mai vista ?
Perché io sono stato innamorato di Valentina o forse lo sono ancora.
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Allora la vedevo, fisicamente, e la vedo ancora - con i suoi capelli rossi e il fisico slanciato, le forme appena accennate – molto somigliante a Carla Gravina sedicenne nei film ingenuotti sui giovani un po’ scemotti degli anni Cinquanta che allora, esaurita la loro temporanea attrattiva e in bianco e nero quando ormai il cinema popolare era tutto a colori, si potevano vedere soprattutto in tv.
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Violante era stata soltanto una ragazza più grande che guardavo, ammirato e attirato, dal basso verso l’alto.
Ma Valentina era mia coetanea o quasi.
E desideravo, esigevo fortemente, che la mia prima fidanzata fosse come lei.
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Mah, forse, in alcuni luoghi, in altre situazioni economico-sociali, Valentina è esistita davvero.
Nel corso della mia vita l’ho incontrata una volta sola, alle cinque del pomeriggio di un giorno d’ottobre in cui scattava l’ora solare.
Dentro il buio calato improvvisamente, l’ho persa, e mai ritrovata, in una stradina oscurata che conduce, mi pare, dalle parti delle Logge di Santa Chiara, un posto incantato della zona più antica e affascinante della mia città natale.
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Senza offesa per le mie compagne e fidanzate, credo di averla cercata tutta la vita.
E, forse, la cercherò per sempre.
O forse l'ho trovata e non me ne sono reso conto.
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Fatto sta che, se gli ha voluto bene un estremista della lirica e della pratica educativa, il nostro massimo narratore e poeta per l’infanzia – Gianni Rodari – avevano torto le ragazze che si credevano emancipate e la criticavano mentre lei cercava di capirle senza mai urtare nessuna di esse.
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E non sarà casuale se, nei commenti al termine del citato articolo del citato 27 dicembre di Giornale Pop, scritto dal valente Andrea Antonini (ed io non avrei saputo fare di meglio) si sono accumulati alcuni pareri livorosi dove la Nidasio è giudicata una “radical chic”, ovviamente di Sinistra, e appunto una donna di Sinistra la quale, per questo, non merita il rispetto destinatole dall'autore del pezzo.
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Bisogna davvero vivere in tempi oscuri e cupi, dove il male debella il bene con facilità; in un Paese decaduto e deflagrato, in gran parte neofascistizzato, razzista e antidemocratico per volontà perversa, se quattro o cinque persone, avvalendosi di pseudonimo, decidono di demistificare Grazia Nidasio che un mito, nel senso moderno e comunicativo del termine, non è stata mai.
Questo mi ricorda il tremendo Galli della Loggia il quale, pur di sminuire la figura di Anna Frank e credendo di aver finalmente fatto l’uovo con due rossi, ha rivelato in tv che il padre, giustamente, ha espunto dal celebre Diario alcune riflessioni intime sulla crescita fisica dell’autrice.
Basta essere cattivi e, di questi tempi, qualcuno e qualcosa da dileggiare si trova sempre.
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Grazia Nidasio è stata una tranquilla signorina della società milanese la quale, arrivata nel mondo del fumetto più per vezzo che per propensione, vi è precipitata dentro, negli anni ’50, come una pastiglia effervescente d'Alka Seltzer nelle acque ferme del Corrierino dei bambini per bene, e, dilatando il talento che non sapeva di possedere, le ha rese frizzanti di fantasia e realtà, umorismo e melanconia; le ha riempite di colori nuovi e di figure divertenti.
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Ha inventato un modo femminile di creare il racconto a fumetti che nessun’altra donna con la stessa propensione, almeno fino a vent'anni fa circa, ha potuto fare a meno di tenere da conto la sua opera.
Ma, dicendo questo da maschio, posso anche essere contraddetto da qualsiasi fumettista femmina che abbia avuto a che fare con il suo sconfinato lavoro.
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L’articolo di Antonini s’intitola Quando Valentina incontrò un editore con la faccia di Bonelli e, dal titolo, si supporrebbe trattarsi di un metaforico incontro-scontro tra Valentina Morandini e Sergio Bonelli già rievocato, il giorno prima, da Laura Scarpa su Comicout.
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In effetti, in una sequenza di tavole, ideate, scritte e disegnate dalla Nidasio, l’incontro è avvenuto.
Fa tenerezza e un po’ tristezza comprendere da questa storiella come l’autrice, ormai invecchiata e senza il lavoro che l’aveva assorbita tutta la vita, trasformi Sergio Bonelli, un uomo intelligente e sensibile come io l’ho conosciuto, in una specie di tycoon dell’editoria, gradasso e petulante fino alla volgarità.
Un cialtrone al quale, però, l'autrice non riesce a dire cose troppo stupide e senza senso.
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La Nidasio, che parla attraverso Valentina, propone al Bonelli qualcosa di non avventuroso ed eroico e l’altro (il quale, nella realtà, s’era bruciato le dita nel tentativo di pubblicare qualche fumetto comico che non fosse il solito Cico Felipe Cayetano Lopez y Martinez y Gonzales) le risponde reclamando l’importanza dell’avventura e dell’eroismo nella formazione dei sani miti dei ragazzi di sempre.
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E’ una discussione senza veri interlocutori perché hanno ragione tutti e due, due pilastri del fumetto italiano che, fino a poco tempo prima, si stimavano vicendevolmente.
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Certamente a Grazia Nidasio era pesato, dopo la chiusura di Corrier Boy (tentativo troppo tardivo di rinnovare il Corrierino di sempre che già aveva compiuto un notevole salto di aggiornamento di qualità trasformandosi da Corriere dei Piccoli in Corriere dei Ragazzi) ridursi a disegnare, sul Corriere della Sera, le strisce con Stefi, la sorella pestifera e in età prescolare di Valentina.
Il che, tra l’altro, sembra sia stato un atto caritatevole del direttore della testata.
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Stefi, staccatasi dall'ingombrante sorella più grande, almeno all'inizio, prometteva d’essere la Mafalda italiana.
Ma poi, per tante ragioni che si sommano nel trascorrere dell’età in una Milano ormai irriconoscibile da quella fervida e spumeggiante dei suoi anni d’oro, venne trasformata in un personaggio di poco peso, per distrarre un attimo il lettore dal malessere della cronaca quotidiana.
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Stefi (le cui storie sono state in assolo parzialmente raccolte in libri della Rizzoli e Mondadori) mantiene comunque, ancora oggi, i suoi ammiratori e chi l’apprezza come creazione talentuosa e beffarda, la piccola peste del fumetto italiano.
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Da quest’esperienza, comunque, nel suo ritiro a Certosa, Grazia Nidasio manifesta un disappunto comprensibile solo nella scontentezza di chi è stata una protagonista assoluta e si vede ridotta a una anziana signora in pensione.
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Alle domande impertinenti di questo Bonelli involgarito, Valentina risponde : “Io racconto la vita di tutti i giorni” .
Replica Sergio : “…Non lo sa che senza il ‘mito’ non esisterebbe l’avventura, la fantasia, l’epica, la storia, le religioni, l’uomo e quindi tutto ?"
Ribatte la ragazza : “No, non vorrei questo. Ma vorrei solo ci fosse più umorismo e un po’ di risate. Io volevo solo divertire e raccontare storie ‘vere’ per dire ai ragazzi dell’età dei brufoli (…) che è utile imparare a ridere per sopravvivere”.
Sergio Bonelli : “Ma cosa c’è da ridere oggi ?!?”
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Eh sì, cosa c’è da ridere oggi signora Nidasio ?
Cosa c’è da ridere in questo paese dove le uniche analisi politiche compiute, in tv, per paradosso, le fa Maurizio Crozza ?
E’ il mondo di oggi che non tollera più l’umorismo leggero di Grazia Nidasio e finirà col non tollerare nemmeno la satira corrosiva e propositiva del comico dalla crapa pelata.
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Terminata questa fetta della storia di Grazia Nidasio, voglio citare ancora alcune righe di Antonini che dice: 
“Con delicatezza e senza orpelli ideologici, Grazia Nidasio ha raccontato la nascita del mondo moderno femminile, da quegli anni Settanta che oggi sono scioccamente ricordati da alcuni solo per il terrorismo o i lampadari kitsch.
Ha ceduto con parsimonia alle forzature didattiche del Corriere dei Ragazzi, per esempio nel descrivere il dramma di un padre militare con il figlio obiettore in carcere, o descrivendo il rischio di rimanere incastrati dalla droga, riuscendoci senza che il Miura (il fratello di Valentina, appassionato di motori, da cui il soprannome) si facesse anche solo mezzo spinello”.
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E continua : “Grazia Nidasio ha descritto l’emancipazione femminile più concreta (…) .
Ha raccontato le piccole conquiste quotidiane delle donne (…) come quelle che leggevano il mensile Duepiù dedicato alla sessualità e volevano che le proprie figlie vivessero in un mondo di parità.".
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Prosegue : "Ha consegnato l’automobile alla mamma di Valentina, un fatto quasi impensabile poco prima (…) quando sole le donne emancipate dal denaro o dalla cultura (…) potevano guidare.
Ha attribuito alle sue adolescenti libertà e capacità intellettuali, libertà quasi sempre messe a frutto.
(…) La sua unica ideologia, implicita, fu affermare che i cambiamenti sociali positivi non avvengono grazie ad azioni politiche burrascose, ma all'interno delle famiglie e dei piccoli gruppi sociali, e, in definitiva, grazie all'affetto e all'amore per gli altri e degli altri”.
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Forse nel suo mondo, concludo io - il mondo di ieri che, pur tutt'altro che invecchiati, siamo rimasti in pochi a ricordare di aver conosciuto - questo si poteva fare.
Allora si poteva ridere con leggerezza e tentare di non usare la burrasca per abbattere i muri che allora non c’erano o, se c’erano, si poteva pensare di raderli al suolo con la ragione degli umili e il sacrificio della massa antagonista.
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Ma, ora, dovunque, di muri ce ne sono anche troppi.
E c’è chi, ogni giorno – in ogni minuto di ogni ora del giorno e della notte – costruisce uno strato di cemento in più per alzarli sempre più e impedire che affetto e amore, tolleranza e giustizia, possano realizzarsi in seno ai microcosmi come nella società tutta.
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Grazia Nidasio, morta la vigilia di Natale del 2018, non lo sapeva che tutto sarebbe andato peggio e che a questo peggio non sembra esservi fine.
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Ciò non toglie che le sue creazioni – e basterebbero Il dottor Oss e Valentina Mela Verde se non ci fosse tutto il resto di un’opera sterminata (che attende di essere sistematizzata e raccolta come accade per autori stranieri molto meno importanti ed amati) siano anche un lavoro artistico che può essere giudicato senza prevenzioni.
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Il suo disegno, il suo tratto, il suo stile, ci parlano di un tutto da leggere e rileggere per imparare che si può forse ancora fare anche dei "fumetti belli" e accattivanti.
Tuttalpiù, data la penombra che stiamo attraversando, facendoli convivere con i “fumetti brutti”.
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E poi, diciamo la verità, chi non vorrebbe, tra genitori e nonni e zii, che figli e nipoti adolescenti di oggi, assorbiti dallo schermo dello smartphone e assimilati alla tv delle cucine da incubo, non assomigliasse nel carattere e nei sinceri e puri desideri a Valentina di Grazia Nidasio ?
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E questa è la ragione per cui consiglio vivamente di cercare e comprare, al mercato dell’usato, se si trovano, i libri con Valentina.
Oppure ritrovare qualche numero del Corrierino – non importa se dei Bambini o dei Ragazzi – per imparare cos'è stato il lavoro, anche in un solo foglio, di Grazia Nidasio.
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In quanto a me, la notte di Natale l’ho passata con Valentina che cercavo dove non era.
Anche se, poi, è di nuovo scomparsa nel buio della fosca notte del secolo nascente.
Ma sono rimasti in me la luce dei suoi occhi e il chiarore del suo fascino discreto e rasserenante.
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Ed è per queste sue doti che chi ha conosciuto Grazia Nidasio o ha vissuto gli anni di Valentina Mela Verde, l’altro ieri s’è fatto prendere dalla commozione e dalla risaputa ma non inutile speranza che, quando la notte è più buia, l’alba s’avvicina.
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