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sabato 29 gennaio 2011
L’ULTIMA BATTAGLIA DI TROTSKY
di Roberto Massari
Pubblichiamo la seconda ed ultima parte de "LA FONDAZIONE DELLA QUARTA INTERNAZIONALE" tratta dal libro di Roberto Massari "Trotsky"-ErreEmme ediz.1990-
La prima parte è stata pubblicata il 27 gennaio.
SECONDA PARTE
A settembre del 1938 la Quarta internazionale non nacque né male né bene.
Nacque così come poteva nascere un progetto internazionalistico e rivoluzionario in quell’anno di passaggio, dati quei rapporti di forza, quelle energie disponibili e quella drammatica congiuntura politica. Si può discutere se quattro anni prima vi sarebbero state condizioni più favorevoli. Così a noi sembra, per esempio, anche se non tanto favorevoli da eliminare i principali svantaggi. Si sarebbero evitate le debolezze più appariscenti, ma ovviamente non possiamo sapere per quanto tempo e fino a che punto. Del resto, quale marxista avrebbe potuto ipotecare il futuro nel 1934 o nel 1938 (od anche oggigiorno), garantendo il tipo di condizioni prevalenti di lì in poi? Vi sarebbero state, invece, delle condizioni certamente diverse, e tra queste si sarebbe dovuto includere anche l’eventuale “non-fondazione” del 1938, con tutte le conseguenze negative connesse.
E’ evidente quindi che la discussione va posta su un altro piano. Quale rapporto esisteva nella mente di Trotsky –e dato il metodo del personaggio, anche nella realtà oggettiva da lui analizzata- tra la situazione mondiale e i compiti che un ersatz (un surrogato) di Internazionale vi avrebbe dovuto svolgere? In pratica, perché Trotsky decideva di procedere ad una “proclamazione” della Qi, prima che fossero soddisfatte le condizioni che egli stesso aveva stabilito come minime e irrinunciabili per un’Internazionale degna del nome?
Sulla scia della migliore tradizione marxista, Trotsky non concepì mai l’internazionalismo (e quindi anche l’appartenenza ad una organizzazione internazionale) come un “dovere”, un principio astratto ricavabile dalle leggi storiche della lotta di classe mondiale.
Certo in lui, come nei suoi grandi predecessori, esisteva lo “spirito internazionalistico”, -una formazione culturale cosmopolita, un istintivo rifiuto del nazionalismo, una pratica ininterrotta di milizia politica in esilio, in carcere, in giro per l’Europa (e per Trotsky, anche negli Usa)- che analogamente si era manifestato in altre grandi personalità come Lenin, Rosa Luxemburg, Parvus, Rakovskij ecc. Ma trattandosi di rivoluzionari di professione, il dato culturale non poteva che sottendere quello politico. E su tale piano ci si imbatte nelle motivazioni internazionalistiche di un’intera generazione.
La rottura della Seconda internazionale e il passaggio alla Terza, cui Trotsky contribuì potentemente, non avvenne per astratte ragioni di principio, né per la “scoperta” dell’opportunismo socialdemocratico (che i marxisti più lucidi avevano cominciato a denunciare per lo meno dagli inizi del secolo), e nemmeno per la “scoperta” che tra il Programma minimo e il massimo vi fosse quello transitorio. Tutto ciò era più o meno chiaro agli occhi della sinistra marxista, e le polemiche del tempo, prima del 1917, riguardavano già concretamente le conseguenze pratiche di tale intuizioni. Anche il famigerato “tradimento” della socialdemocrazia, all’alba della Prima guerra mondiale, non costituì una vera e propria svolta nell’analisi politica e teorica dell’avanguardia marxista, come se questa si fosse improvvisamente resa conto dell’esistenza del socialpatriottismo.
Costituì invece, una profonda svolta nelle condizioni politiche concrete di svolgimento dell’agitazione, paese per paese. La lotta alla guerra si trasformò in uno strumento di chiarificazione politica, di radicalizzazione, di differenziazione in seno alle masse lavoratrici e quindi, in ultima istanza, di raggruppamento nella nuova Internazionale (la Terza).
Quando Trotsky ritenne matura la situazione per una nuova internazionale (la Quarta), fece un ragionamento analogo, ritenendolo giustificato storicamente solo dopo il 30 gennaio 1933, quando si era visto Hitler assumere la guide della Cancelleria, praticamente senza colpo ferire, aiutato oggettivamente dalla politica del “terzo periodo” del Comintern. Nella primavera e poi a luglio dello stesso anno, Trotsky ritenne che le condizioni per una nuova Internazionale emergessero da quella sconfitta del movimento operaio e lo ribadì definitivamente ad ottobre, convincendosi che la nuova Internazionale avrebbe dovuto costituirsi in sezione anche nell’Urss. Tutto ciò non fu frutto di indignazione morale davanti al nuovo “tradimento” –come pure sarebbe stato legittimo- né della “scoperta” che ormai in Urss non esisteva più la dittatura del proletariato, ma la dittatura di una burocrazia sul proletariato, fondata socialmente su alcune conquiste di quest’ultimo.
Era il frutto dell’analisi delle nuove condizioni politiche determinate dalla sconfitta del movimento operaio –e quindi secondo Trotsky, anche del Comintern- nella questione tedesca. Si dimentica spesso, a questo riguardo, che all’epoca Trotsky parlava ancora solo di incoscienza, di incapacità suicida del Comintern davanti al nazismo e non ancora di esplicita scelta di campo, di volontà controrivoluzionaria, come farà invece all’epoca dei Fronti popolari, dopo la Spagna soprattutto.
Nel 1933 non vi era stata quindi una vera e propria svolta nell’analisi strutturale dello stalinismo, come si ripete spesso erroneamente. Vi era stata invece una verifica storica concreta di cosa lo stalinismo fosse effettivamente diventato dopo il 1928: vale a dire dopo l’instaurazione della sua dittatura totale e la rottura violenta, sul piano sociale, dell’alleanza operai-contadini. Trotsky prese atto lucidamente di tutto ciò, anche se con dei ritardi di analisi a questo riguardo, dei quali abbiamo già detto.
Rispetto alla decisione di dar vita alla Qi, non importa quindi sapere con quanti anni di anticipo sarebbe stato possibile prevedere le responsabilità del Comintern nella vittoria del nazismo, ma essenzialmente quali condizione nuove, nella realtà oggettiva e quindi anche negli occhi delle masse, quel tipo di vittoria del nazismo veniva a produrre. Tra queste condizioni, ovviamente, vi era l’allontanamento, per tutta una fase, della possibilità di portare a termine vittoriosamente dei processi rivoluzionari.
Ma le internazionali non si utilizzano solo per la conquista del potere, benché questa sia la loro prospettiva storica fondamentale. Le masse lavoratrici possono servirsene in certe epoche anche per altri obiettivi intermedi, determinati dalle esigenze che prevalgono ad un momento dato, a causa di determinate condizioni storiche. Nel 1933 queste esigenze erano già da tempo diventate essenzialmente difensive. Ancor di più dovevano esserlo dopo la vittoria di Hitler.
Trotsky analizzava realisticamente tutto ciò e vedeva la funzione concreta immediata di una nuova Internazionale nel bisogno, come ha ben sintetizzato Deutscher, di
“arginare la ritirata e riorganizzare le forze per la difesa e la controffensiva” (Il profeta in esilio, p.277)
Aveva possibilità di successo un tale tentativo? Non era forse un’illusione competere con il forte apparato cominternista e con i partiti socialdemocratici nell’organizzare la “ritirata”? Non si correva il rischio in tal modo di favorire le tendenze già presenti spontaneamente tra le masse a cercare nei vecchi apparati –benché responsabili delle vittorie di Mussolini, Ciang Kai Shek e Hitler- un ultimo scoglio di classe, cui aggrapparsi per resistere alla tempesta?
Certo, tali pericoli esistevano, ed anzi, a posteriori, si sono dimostrati come la tendenza dominante nell’ambito del movimento operaio occidentale. E fu proprio l’impatto di questo riflesso difensivo delle masse che –insieme a fattori di altra natura- fece abbandonare allo stesso Comintern la teoria del “socialfascismo” e dell’ “offensiva” (per operare, come è noto, una sferzata di 180 gradi, verso la ricerca di alleanze con la borghesia nei fronti popolari).
Ma quali alternative si presentavano per l’Opposizione di sinistra internazionale, che non era abbastanza piccola nel 1933 per limitarsi a un puro lavoro di propaganda (come sarà invece dopo il ’38), né abbastanza grande per potere organizzare in prima persona, paese per paese, la “difensiva” e la “ritirata” in prima persona? Bisognava comunque tentare, nella consapevolezza di avere contro le condizioni immediate del lavoro politico, ma favorevole la tendenza storica all’accentuazione delle contraddizioni interimperialistiche (tra “democrazie” e fascismi) ed all’aggravamento della crisi dello stalinismo. La guerra mondiale era resto già iscritta nell’analisi delle tendenze di fondo, anche se essa non appariva immediatamente all’ordine del giorno.
Per l’assolvimento di questo genere di compiti –l’organizzazione della “ritirata”- la proclamazione della Qi sarebbe servita a poco. Occorrevano energie, quadri, apparati o, come dirà Trotsky più tardi, “schegge” dei vecchi apparati. Cruciale sarebbe stata in questo lavoro la raccolta di tutte le forze disponibili – in primo luogo quelle dei gruppi centristi di Spagna, Germania, Olanda, Francia ecc. – in una struttura di coordinamento, che permettesse delle esperienze in comune. Utile allo stesso scopo anche l’ “entrismo” negli apparati socialdemocratici, in Francia, negli Usa, ecc, dove si fosse potuto proseguire un certo lavoro di agitazione.
La Rivoluzione spagnola sconvolse tatticamente questi progetti, nel momento in cui confermava la profonda attualità storica della teoria della rivoluzione permanente. In Spagna occorreva assumere rapidamente un ruolo dirigente nell’ambito della guerra civile e contrapporsi da sinistra alla linea di collaborazione di classe (degli anarchici e staliniani inclusi). Il Poum riuscì a farlo più agevolmente, in una prima fase, per le sue caratteristiche “centriste”: ma per le stesse ragioni non fu in grado di capitalizzare politicamente il patrimonio accumulato. Il Movimento per la Qi, invece, nonostante la correttezza delle proprie posizioni, non riuscì a darsi una dimensione tattica adeguata e svolse quindi in Spagna un ruolo pressoché irrilevante.
Le contraddittorie vicende del Movimento in Francia, del resto, non facevano che confermare l’impossibilità di tradurre in pratica, in una linea d’azione precisa, l’obiettivo concreto (“difensivo” in una prima fase, ma poi di “offensiva” in concomitanza degli scioperi di massa) per il quale la Qi avrebbe dovuto organizzarsi a partire per lo meno dal 1933.
A ciò si potrebbero aggiungere numerosi altri fattori, che qui non citiamo per brevità, tra i quali non trascurabile lo sterminio fisico della sezione russa, che all’epoca era la sezione su cui Trotsky più contava e si illudeva, come dimostra, tra i tanti che si potrebbero citare, il seguente giudizio del 1936 (dal n.48 del Bollettino dell’Opposizione internazionale):
"Oggi la Quarta internazionale possiede già il suo nucleo più forte, più numeroso e più agguerrito nell’Urss."
L’azione “difensiva” contro il dilagare del fascismo, che Trotsky vide a lungo come la minaccia più grave incombente sulla Francia, fu assolta, bene o male, dal Comintern alleato alla socialdemocrazia. E diede a quest’ultimo il prestigio per intervenire in Spagna (a soffocare la rivoluzione, ovviamente, ma non fu così che apparve l’intervento sovietico agli occhi del movimento internazionale, intossicato dalla propaganda demagogica dei vari partiti comunisti.
Tutto ciò trasformò le condizioni oggettive per la creazione di una nuova Internazionale, togliendole praticamente il terreno politico concreto più immediato. Le vicende del centrismo e del trotskismo di quei anni, si possono agevolmente spiegare alla luce di questo fenomeno macroscopico, molto più che sulla base delle debolezze personali, le meschinità di gruppo o le trame della Gpu. Tutti questi fattori esistettero, ovviamente, ma solo in funzione secondaria.
L’approssimarsi dell’ormai inevitabile guerra mondiale, poneva le condizioni per la creazione della Qi su un piano diverso. Occorreva in primo luogo darsi uno strumento efficiente che permettesse all’avanguardia di affrontare la nuova congiuntura politica determinata dalla guerra. L’ideale sarebbe stato, ovviamente, di poter costruire uno strumento che permettesse fin dall’inizio della guerra di organizzare un’agitazione antipatriottica, disfattista rivoluzionaria, nei modi e nelle forme che Trotsky aveva già indicato nel 1934.
La realtà oggettiva convinse Trotsky che l’obiettivo minimo ragionevolmente raggiungibile era di permettere ai quadri raccolti o semplicemente a parte di loro di sopravvivere. E di farlo abbastanza a lungo da poter entrare in scena in una congiuntura più favorevole, nel corso del conflitto mondiale, in modo da poter applicare finalmente il programma e sfruttare l’ersatz di organizzazione. Non fare questo, non riuscire a svolgere un ruolo nella guerra mondiale, subire questo nuovo grande massacro tra i lavoratori, significava per Trotsky arrendersi senza combattere davanti alla più grave delle sconfitte storiche del proletariato. Questa avrebbe potuto rimandare per decenni la possibilità del socialismo (come poi è avvenuto) o addirittura, come ebbe a dire lo stesso Trotsky in un passo già ricordato, forse anche per tutta un’epoca, se non per sempre.
La Qi andava costituita, quindi, di fretta e in corsa con i tempi della diplomazia occidentale, cui si aggiunse con la sua folle irrazionalità quella del Cremino. Occorreva tentare senza alcuna certezza di vittoria, anzi, come Trotsky ripeté per anni e fino alla morte, con sempre minori possibilità di vittoria immediata (checché egli abbia sussurrato in punto di morte a J.Hansen –secondo la leggenda- sulla “vittoria della Qi”. Sarebbe veramente strano, per un marxista che aveva vissuto consapevolmente per tutta la vita l’alternativa storica tra “socialismo o barbarie”, morire avendo sulle labbra la certezza della vittoria della Qi: di quell’ersatz, per giunta che così poco competente si era dimostrato anche nella difesa della sua incolumità fisica).
Che la questione delle guerra fosse al centro del progetto di “affrettata” proclamazione della Qi, si sembra assolutamente fuori discussione. Non solo per gli scritti abbondantissimi sulla questione, non solo per la struttura analitica stessa del pensiero che sta alla base del Programma di transizione –concepito, per inciso, proprio perché potesse essere un richiamo dei principi generali del marxismo rivoluzionario, tradotti in un programma d’azione immediato per l’Internazionale durante la guerra – ma per la drammatica accentuazione organizzativistica che caratterizza l’attività di Trotsky negli ultimi anni della sua vita.
A quasi mezzo secolo dal 1938 non si può non riconoscere che quel progetto fallì sul piano politico: fu cioè sconfitto dall’avversario e dalle forze schiaccianti da questi messe in moto. Trotsky se ne rese conto, ma alternative non se ne davano. Non sappiamo quanti già allora ne fossero consapevoli (e forse per questo reagirono con la demoralizzazione, le capitolazioni, il ritorno al privato). Ma ciò non significa che il tentativo non andasse fatto, né che il fallimento fosse scontato. La sopravvivenza dell’ersatz di Internazionale, per esempio, sarebbe stata in astratto anche possibile, soprattutto se Trotsky fosse rimasto in vita e avesse potuto costituire ancora per alcuni anni un punto stabile di riferimento. Proteggere la vita di Trotsky in Messico non era dopotutto un’impresa irrealizzabile. Ed a guerra conclusa chissà…
Di più allo studioso non è dato di fantasticare.
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