POPULISMO E CONTRO-POPULISMO NELLO SPECCHIO AMERICANO
di Étienne Balibar
Negli Stati Uniti, dopo l’elezione di Trump, i miei amici e i miei studenti avevano sempre la stessa domanda sulle labbra: chi è il prossimo? Crede che Le Pen vincerà le elezioni francesi? Sullo sfondo della rovina delle politiche redistributive cancellate dal neoliberalismo, gli scenari evocati richiamavano alternativamente una sorta di effetto domino – ogni “democrazia liberale” che cade trascina con sé la seguente – e il principio di contagio. La Brexit gli appariva come un segno premonitore di nuove “cattive sorprese” a venire. Lo scacco di Renzi al “suo” referendum costituzionale e la rinuncia di Hollande a candidarsi alla propria successione facevano eco alla disfatta di Hilary Clinton e segnalavano la decomposizione del “centro-sinistra”. Le elezioni presidenziali austriache non risultavano altro che una tregua momentanea, mentre le manifestazioni dei cittadini e delle cittadine di Polonia contro il sistema Kaczynski incarnavano una fragile speranza di resistenza. La questione di sapere se Merkel avrebbe “tenuto” di fronte alla sua estrema destra, ostile all’accoglienza dei rifugiati, fungeva da variabile strategica (si era prima degli attentati di Natale a Berlino).
Ora scopro che le stesse questioni agitano l’opinione e la stampa europea. E da una parte all’altra dell’Atlantico è la categoria di “populismo” che, malgrado la temibile confusione a cui dà luogo, continua a polarizzare analisi e speculazioni.