IL FALLIMENTO DI HOLLANDE NELLA DECOLONIZZAZIONE ANDATA A MALE
di Rino Genovese
Andate nelle banlieues, toccherete con mano che cos’è l’odio nei confronti del razzismo strisciante che pervade la Francia, e che sarebbe riduttivo riassumere con il nome di Marine Le Pen. Non sono solamente i dati statistici a dirlo (la disoccupazione giovanile, il fallimento scolastico: chi è nato e vissuto nelle periferie francesi ha il doppio delle possibilità di non terminare gli studi, e parliamo della scuola dell’obbligo); sono soprattutto i cappucci delle felpe perennemente alzati, gli sguardi torvi. Là c’è una numerosa schiera di arrabbiati, alcuni dei quali disposti a diventare dei kamikaze e a fare un macello.
Non bisogna credere che, da un punto di vista urbanistico, le banlieues siano un disastro – tutt’altro: a Scampia si sta molto peggio. Ma c’è uno scarto sostanziale tra le periferie delle grandi città italiane (soprattutto Roma e Napoli) e le periferie francesi. Si tratta della differenza culturale. In Italia, grosso modo, i giovani sono tutti controllati dalle famiglie, sono immersi nella stessa temperie familistica o familistico-criminale, quando si tratta della malavita organizzata. Nei paesi dalla storia coloniale e post-coloniale più complessa della nostra, invece, la differenza culturale è vissuta come una riappropriazione delle radici da parte di giovani per lo più allo sbando, provenienti da gruppi familiari numerosi e scombinati (c’è persino una psichiatria specializzata nel trattamento delle sindromi depressive derivanti dal passaggio da una cultura a un’altra).