LEGA: LA CRISI E' PIU' PROFONDA
di Felice Mometti
Un modello di partito, il più vecchio che siede in parlamento, troppo autoritario e centralizzato che in ultima analisi non ha retto lo “ stato di eccezione permanente” imposto dal governo Monti. Infatti risulta difficile capire la brusca accelerazione della crisi se si guardano solo le ruberie, i fondi neri, l’accaparramento di denaro pubblico e il conseguente corollario di squallidi personaggi. E non si tratta nemmeno, almeno non più, dello scontro tra i conservatori del “cerchio magico”, che gestiscono a piacimento un presunto inconsapevole e malato Bossi, e la schiera dei “barbari sognanti” posizionati dietro il cosiddetto modernizzatore Maroni.
La Lega, così com’è, non ha retto l’urto del governo Monti.
Paradossalmente, ma poi non tanto, il partito che sembrava il piu’ attrezzato ad opporsi, agitando spettri razzisti e populisti, alle politiche governative e’ diventato vittima delle proprie contraddizioni interne. Una serie di contraddizioni laceranti che sembrano andare più in profondità rispetto anche alle due crisi precedenti che avevano investito la Lega nel 2001 e nel 2006.
Il venir meno di un ampio strato di attivisti, cosa molto diversa dai militanti vestiti di verde con tanto di elmo vichingo ed anche di un generico elettorato, che garantivano partecipazione, impegno ed erano il termometro sociale della Lega. Il formarsi di un ceto di amministratori, parlamentari, ministri e sottosegretari completamente inserito nei meccanismi istituzionali, l’inclusione – seppur con problemi e difficoltà - nei circuiti industriali e finanziari di esponenti leghisti, si sono sommati e hanno fatto emergere in modo virulento una crisi che covava da un po’ di tempo. Si può dire che sia fallita la coabitazione tra i fautori del leghismo territoriale, teso alla mobilitazione permanente, e i sostenitori della “ lunga marcia” attraverso le istituzioni con lo scopo di stravolgerle mediante il federalismo. Il federalismo non si e’ ottenuto, la capacità di mobilitazione della Lega e’ diminuita e lo stesso progetto di sindacato dei lavoratori del Nord non e’ mai decollato.
E’ quasi ovvio che in tale situazione si acuiscano i contrasti interni, soprattutto avendo di fronte un governo che impone molta flessibilita’politica e adattamento istituzionale ( vedi PD e PdL ), tanto da mandare in fibrillazione un partito troppo accentrato e verticale come la Lega. Nel senso che chi non si piega corre il rischio di spezzarsi se tutto sommato rimane dentro l’attuale quadro politico e istituzionale.
Ora nella Lega si apre una partita dagli esiti incerti. Il progetto politico di Maroni, l’unico che ne abbia uno, sembra quasi un ossimoro: istituzionalizzare la Lega mantenendo un profilo anti-istituzionale. I fedelissimi di Bossi pensano che passata la tempesta si possa rimettere l’icona al proprio posto e partire con una rabbiosa controffensiva.
Entrambi devono però tener conto che la Lega, dopo gli anni di governo con Berlusconi, è profondamente cambiata sia nelle forme del proprio radicamento, più istituzionale che sociale e territoriale, e di aggregazione degli iscritti ed anche dei semplici sostenitori. Uscire dall’angolo, rilanciando il razzismo e la secessione, come è stato fatto nelle due crisi precedenti, non sembra credibile. Allora l’operazione riuscì mantenendo inalterata la struttura del partito, oggi la crisi si concentra in larga misura anche sull’inadeguatezza di un modello di partito pensato per la mobilitazione e che invece si trova sempre più a mediare nelle istituzioni, nei consigli di amministrazione delle municipalizzate, delle banche e delle grandi aziende.
Non è escluso, ed è la cosa che temono di più sia Bossi che Maroni, che si inneschi una sorta di scissione silenziosa da parte di molti attivisti e militanti della Lega, una sorta di ritorno a casa manifestando la propria adesione solo sulla scheda elettorale.
L’attuale crisi della Lega è un’occasione che la sinistra radicale non deve farsi sfuggire per costruire un’opposizione politica e sociale al governo Monti e all’attuale sistema di dominio e sfruttamento a patto che si ripensi profondamente, abbandoni i politicismi, e punti decisamente all’autorganizzazione e al protagonismo dei soggetti sociali che maggiormente stanno pagando i costi della crisi.
dal sito http://ilmegafonoquotidiano.globalist.it/
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