Diari di Cineclub

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lunedì 8 dicembre 2014

BEPPE GRILLO, IL GATTO CHE MANGIO' SE STESSO? di Nique La Police






BEPPE GRILLO, IL GATTO CHE MANGIO' SE STESSO?
di Nique La Police



A partire dal V-day del 2007, che fece capire le inedite possibilità di espansione di massa del movimento fondato da Beppe Grillo, il mainstream non si è mai negato il paragone tra il comico genovese e Savonarola. Paragone facile ma mai messo a fuoco visto che il mainstream procede per connessioni banali e impedisce approfondimenti. Viene invece a mente un testo di ormai diversi anni fa, di Thomas Csordas, sul rapporto tra Savoranola e lo spettacolo. Csordas sostiene come la teatralità spettacolare sia stata, assieme, elemento di forza e di distruzione del potere carismatico di Savonarola. Elemento di forza perchè, come per ogni convenzione teatrale, perimetrava le predicazioni dal resto del mondo rendendo possibile, amplificata ed intensa una critica al mondo impraticabile altrove. Elemento di distruzione perché, nel momento in cui cresceva impetuosamente la forza della denuncia, la tendenza a rompere i confini della teatralità, e a passare nel mondo reale, si faceva insopprimibile. Finendo però per essere travolta, fino alla distruzione del suo creatore, da un mondo del potere politico dove le leggi sono persino più complesse e spietate di quanto immaginato. Chi abbia letto, anche velocemente, i sermoni e le prediche di Savonarola sa come la predicazione sia consapevolmente rappresentata in termini di spettacolo. Uno spettacolo morale, fatto per dividere violentemente il mondo in buoni (sia “perfetti” che “imperfetti” secondo Savonarola) e cattivi (“che ogni cosa convertono in veleno”). E per invocare, con tutta la forza morale della predicazione, l’intervento del divino per sanare e redimere questa divisione e questa fratttura. Ma nel momento in cui la forza della predicazione è dirompente, e lo spettacolo rompe i confini sociali che si è dato, per Savonarola non c’è salvezza e per il mondo non c’è alcuna redenzione. C’è il rogo e il trionfo di un mondo di reticoli velenosi di potere. Si tratta quindi di capire, in modo straordinariamente diverso, tra gli studiosi di Savonarola e quelli di Grillo, che lo spettacolo è una straordinaria forza politica che, da se praticata da sola, può portare alla piena distruzione. Certo, non è un problema per le sinistre che lo spettacolo lo subiscono, o lo addomesticano in versioni tanto politicamente corrette quanto socialmente destinate ad una docilità perdente, ma è sicuramente un tema per capire il rischio di rapido declino che corre il Movimento 5 stelle.

Il movimento fondato da Beppe Grillo è infatti cresciuto, e con forza elettorale grazie potere carismatico emanato dal suo fondatore. Un potere carismatico generato nel campo di forza dello spettacolo, eccezionale rispetto alla tradizione politica (in questo caso il “nè di destra nè di sinistra” è il modo non originale ma sicuramente dirompente con il quale il M5S si è differenziato dalla tradizione). Ma proprio questa crescita tanto più, a causa del successo, ha imposto l’uscita dal terreno del puro spettacolo tanto più ha generato serie sconfitte politiche. E qui possiamo individuare quattro ragioni legate a sapere, potere, comunicazione e tessuto economico della società. Vediamo in estrema sintesi:

SAPERE

Il linguaggio della politica, ancora oggi, parla di “rapporti di forza” pensando che essere numerosi, e moralmente legittimati, automaticamente generi degli effetti. Non è così: le nostre sono società che si strutturano secondo continue successioni di equilibri e confitti altamente complessi, non a caso sono società tecnologiche, dove la forza, quella duratura, si annida solo in saperi estremamente sofisticati (e per questo, potenti). Il Movimento 5 Stelle si è invece caratterizzato per generare una leva politica, e culturale, altamente inesperta. Causa anche la degradazione del sapere politico di massa delle società post-industriali, si tratta di una leva che ha mancato un elemento fondamentale per la propria stabilizzazione: la capacità di generare quei saperi di acculturazione di massa necessari per fare stabilmente politica in grandi numeri. All’inizio del ‘900 nelle scuole operaie si facevano lotte e ci si alfabetizzava leggendo anche Hegel. Nel M5S abbiamo dirigenti politici che più di una ampia collezione di click, e di titoli ottenuti del declinante diplomificio italiano, non hanno fatto. E non è che nelle commissioni comunali, regionali o del parlamento si impari più di tanto (a parte le procedure). La mancanza di sapere necessario, assieme all’incapacità di generarlo, per incidere in una società altamente complessa è stato quindi una delle ragioni per cui il M5S ha subito un brusco stop. È un problema di tutti i movimenti, anche più a sinistra, ma per il M5S la questione, quando si è stati ad un passo dal potere, è tanto più stringente. Il sapere è potere, e potenza, e senza quel potere, e quella potenza, non si aprono le porte della politica, quella vera. Resta solo lo spettacolo della denuncia. Spettacolo sottoposto alle mutevoli leggi dell’intrattenimento.

POTERE

Tutte le organizzazioni di massa, nei decenni precedenti, che non siano stati semplici cartelli elettorati hanno vissuto di un equilibrio tra due componenti: potere carismatico e potere di massa diffuso. Il M5S ha radicalizzato entrambe le componenti: quello carismatico, proveniente dallo spettacolo e sostanzialmente indiscusso, di Grillo e quello della democrazia assembleare, istantanea, di base e di rete. Nel M5S abbiano così visto il continuo conflitto tra potere carismatico (di Grillo), democrazia di base (delle reti di attivisti e “quadri”) e rete (con uso di quest’ultima, e delle regole che genera, come chiave risolutiva di ogni conflitto. E’ finita che ne ha generati di ulteriori). Il tentativo di mettere a norma il potere eccezionale (in senso antropologico) di Grillo da parte dela rete di attivisti e quadri, e quello di Grillo nel perperturare il non voler percepire limiti (se non quelli che pensa di essersi dato) alla propria natura, ha così generato una impasse fortissima nel M5S. Ma si tratta di qualcosa che era già presente, nel movimento 5 Stelle, prima della vittoria a Parma. Ai primi veri stop elettorali tutto questo è riemerso. C’è anche un’altra questione: le reti sociali, professionali, i mondi intermedi reali e possibili che hanno votato il M5S sono tenuti lontani da tutto questo. Il M5S del 2013 è il primo partito operaio d’Italia. Si vede presenza operaia grillina nelle mobilitazioni sull’articolo 18? Allo stesso tempo il movimento 5 stelle del 2013 è stato il primo partito della piccola e media industria. Pochissima rappresentanza politica visibile anche di tutto questo mondo, nonostante le intenzioni. Ecco così l’effetto frammentazione di poteri: carisma, quadri, rete, mondi intermedi, strati sociali. Tutto entra in una dinamica centrifuga. Qui probabilmente ha fatto grosso difetto l’engineering organizzativo del gruppo Casaleggio. La logica da start-up visionaria, esclusiva e aggressiva con la quale è stata delineata l’organizzazzione M5S, secondo Casaleggio, male si adatta alla dimensione del potere delle attuali società di massa. E qui fa bene scoprire che le logiche organizzative di impresa, anche innovativa, si adattano davvero poco all’organizzazione sociale.

COMUNICAZIONE

Beppe Grillo rappresenta una enorme lezione, per certi versi maggiore rispetto a quella rappresentata da Berlusconi, su come distribuire la comunicazione politica nelle società europee post-industriali. Un accumulo originario di spettacolo televisivo generalista, teatrale unito alla comunicazione di rete. Si è ben capito, specie negli ultimi due anni, che questo accumulo rappresenta un potere denotatore enorme rispetto ad assetti di potere di una società neoliberista in crisi. Una volta però finita la fase esplosiva, o quando è necessario un momento di riaccumolo per nuove esplosioni, non basta certo la comunicazione attorno ad una persona. Per quanto questo potere sia carismatico. Berlusconi per tutto questo si è servito del più importante impero editoriale italiano dell’ultimo quarto di secolo. Ma Grillo, più semplicemente, non ha insegnato come si fa a comunicare al proprio movimento. I risultati stanno nella netta distinzione tra chi parla come un manuale di educazione civica al resto della società e chi lo fa secondo i ritmi dello spettacolo. Tra chi costruisce il verbo e chi ha la funzione di accompagnarlo c’è uno scarto comunicativo, e di capacità di fare media, enorme. Anche la distinzione simbolica tra Grillo (figura antropologicamente eccezionale) e i sui parlamentari (figure antropologiche della normalità) non favorisce processi ricchi, sia sul piano tecnico che dei contenuti, di comunicazione.

La capacità di comunicare, senza scomodare dei classicissimi, è potere di connessione sociale. Quando il potere carismatico non comunica, non è crisi dell’uno ma crisi di un potere di connessione sociale. E se non c’è un dispositivo di sostituzione del potere carismatico, che non è mai continuo, la connessione sociale di un movimento finisce per evaporare.

TESSUTO ECONOMICO DELLA SOCIETÀ

Dovrebbe aiutare a capire qualcosa il fatto che i partiti pigliatutto (catch-all-parties) tipici della comunicazione politica all’americana sono “nè di destra nè di sinistra” giusto nel momento elettorale. Successivamente, una volta ottenuto il potere, svoltano verso destra. Verso cioè quel dispositivo di potere proprietario che ne valorizza le caratteristiche dei promotori (figure singole, carismatiche, eccezionali legate ad una organizzazione elettorale). Questo perché la distinzione destra-sinistra non è tanto qualcosa di genericamente culturale ma attraversa la faglia di antropologia economica che divide in due le nostre società. Infatti quando prevalgono i rapporti di proprietà una società si struttura a destra. Quando economicamente tende a riprodursi secondo un tessuto di redistribuzione della ricchezza è maggiormente egualitario, con distinzioni sociali meno stridenti, la società si struttura a sinistra. Il movimento 5 stelle si è dato una logica decisionale random (optare, di volta in volta, per decisioni politiche di destra o di sinistra a seconda di criteri di concretezza) e “non ideologica” proprio nel momento sbagliato. Ovvero quello in cui la struttura proprietaria della società (dalla impresa multinazionale alla Pmi) si ristruttura anche a costo (perchè economicamente è sempre un costo) di liquidare quella egualitaria. Generando sia forti tensioni sociali che persino impoverimento economico. Per questo essere “né di destra né di sinistra”, al di fuori del momento elettorale, è un nonsenso. Perchè la struttura proprietaria della società sta impoverendo quella che riproduce tessuto egualitario di redistribuzione entro una crisi epocale. Per cui il M5S si trova ad appoggiare politiche che, assieme, non possono tenersi: sia la logica dei tagli, dietro la parola d’ordine della “riduzione degli sprechi”, che il reddito di cittadinanza; sia la protezione del lavoro che quella delle PMI che questa protezione negano. Per non parlare dell’assenza di una logica globale di pensabilità dei problemi, la re-italianizzazione della politica, sia nel linguaggio che nelle scadenze, che non aiuta a innovare proprio in Italia. Prova ne sono le parole in libertà di un deputato M5S sull’Isis ma anche, ad esempio, una visione critica dell’euro, condivisibile in molti tratti, che non sa vedere il continente se non in una dimensione, oggi economicamente impronibile proprio in senso post-capitalista, di piccole patrie.

Da un punto di vista non legato a logiche di schieramento, non fa male definire populista il movimento di Grillo. Proprio come il People’s party americano, a cavallo tra ‘800 e ‘900, è un movimento di risposta ad un grave esercizio dell’egemonia del capitale finanziario sulle nostre società. Lo ha fatto sia utilizzando fattori conservatori della società che elementi felicamente innovativi. Poi, come vediamo, la crisi. Ed ora?

La crisi non sarà fine ma trasformazione nel M5S se prevaranno il distacco dell’autoreferenzialità e dall’idea di autosufficienza. Il Movimento 5 Stelle è stato un ottimo detonatore politico. E può esserlo anche in futuro. Ma non è l’unica opposizione antiliberista in Italia. Elettoralmente non arriverà mai al 51 per cento e non rappresenta nè il complesso nè il baricentro della società italiana. Dal punto di vista M5S da queste considerazioni sono eresia, altro che Savonarola. Ma, la storia è piena di esempi del genere, ci sono partiti di massa che, sapendo dove erano veramente finiti hanno saputo adattarsi, mutare e fare lunghe marce. Come quel partito che si è inventata la metafora dell’indifferenza del colore del gatto nel momento in cui si necessita di un felino per mangiare il topo. Certo la situazione è quella in cui il gatto, in questo caso Beppe Grillo, rischia di mangiare sé stesso. Il M5S infatti o fa una potente svolta culturale o rischia, nemmeno tanto lentamente, una autoestinzione. Oppure rischia di finire in pasto ai piranha dei mass media generalisti che non attendono altro. I grandi poteri costituiti hanno sempre fame di Savonarola. Di qualsiasi religione siano e qualsiasi confine, incautamente, valichino.



1 dicembre 2014


dal sito Senza Soste


La vignetta è del Maestro Mauro Biani




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