L'ACCANIMENTO NEO-COLONIALE
di Alessandro Dal Lago
Il vento s’è portato via tutte le sciocchezze dette e scritte per motivare, quattro anni fa, l’intervento Nato in Libia. La disinformazione, le chiacchiere anti-pacifiste dei guerrieri da salotto, l’enfasi nazionalistica e pseudo-umanitaria che spingeva l’allora opposizione di centro-sinistra a premere su Berlusconi per far la guerra al suo ex-amico Gheddafi. E oggi la stessa retorica bellicista prorompe dalle parole di due ministri come Gentiloni e Pinotti. Con la differenza che il bersaglio non è più un dittatore indebolito e destinato prevedibilmente a fare una fine orrenda, ma un nemico in larga parte sconosciuto e che appare ubiquo e capace di mobilitare alleati in mezzo mondo, dal Maghreb all’Iraq.
Naturalmente, per quanto le parole dei due ministri siano state avventate, è impossibile che si siano inventate di sana pianta. È quindi probabile che il nostro governo stia già lavorando per un intervento armato che allontani i tagliagole dalle coste della Libia. Questa volta a soffiare sul fuoco c’è anche Berlusconi, che mira, con la scusa dell’interesse nazionale, a mettere in difficoltà Renzi e a far dimenticare le sue responsabilità nel 2011.
E allora è necessario ricordare ai nostri ministri con l’elmetto alcune ovvietà. L’Isis è in un’invenzione dell’Arabia saudita e della Turchia, in funzione anti-Assad, e degli Stati Uniti, che inizialmente l’hanno appoggiato, per accorgersi poi che era infinitamente più pericoloso del dittatore siriano. Le armi destinate a un’imbelle opposizione laica e filo-occidentale finivano nelle mani dei qaedisti e soprattutto dell’Isis che li ha soppiantati. Lo stesso è successo in Iraq dove il Califfato è ormai la principale espressione della rivolta sunnita contro il governo corrotto e inetto sostenuto dagli occidentali. E qualcosa del genere avviene nella Libia attuale, risultato dell’intervento Nato. Dei due governi attestati a Tripoli e Tobruk, il primo è vicino alle posizioni dell’Isis e il secondo resiste solo perché sostenuto dall’Egitto.
In altri termini, la Libia è già nelle mani del Califfo. Questo è il risultato del genio strategico di Sarkozy e Cameron, per non parlare di Obama, e da noi dell’ignavia di Berlusconi e dell’incompetenza del Pd. Ma il punto è che una guerra in Libia è insensata e condurrebbe a disastri inimmaginabili. I bombardamenti coinvolgerebbero inevitabilmente i civili, aumentando il risentimento contro gli occidentali, mentre un intervento a terra esporrebbe le truppe Nato a rischi che nessun governo oggi vuol correre. Ecco allora la geniale proposta di affidarsi ad Algeria ed Egitto, o magari al Ciad o al Niger, cioè a far combattere quelli lì, arabi e africani, in nostro nome. Un’idea veramente brillante che, oltre al suo significato neo-colonialista, ha il decisivo difetto di esporre i paesi confinanti con la Libia, con tutte le loro gatte da pelare, a contraccolpi interni imprevedibili e letali.
E allora? Ebbene, i disastri in Siria, Iraq e Libia sono il risultato di strategie neo-coloniali di lungo periodo, avviate subito dopo il 1989 e perseguite con stolido accanimento dai neo-cons americani e dai loro emuli europei. Pensare di capovolgere il quadro con qualche bombardamento sotto il parasole Onu è proprio degno del nostro governo. Ma è l’intera Europa che sa solo sbagliare, accanendosi contro la Grecia e aprendo un fronte contro Putin, come è già avvenuto con l’Iran e poi, la Siria e la Libia.
La strada per liberare Tripoli e le altre città costiere dall’Isis non passa da Sigonella, ma da un ripensamento strategico di cui però le cancellerie occidentali sembrano proprio incapaci.
16 febbraio 2015
dal sito Il Manifesto
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