JOBS ACT, “THE DAY AFTER” – CHE SUCCEDE A SINISTRA E NEL SINDACATO?
di Franco Turigliatto
C’è grande effervescenza nelle aree della sinistra, quella sociale e sindacale, ma anche quella politica, quasi una baraonda di proposte, di incroci, di suggestioni, che al di là dei lodevoli intenti esprimono anche molte confusioni e nascondono qualche cattiva coscienza.
Dietro infatti c’è una grave rimozione: la rinuncia ad un’analisi lucida, ad un bilancio obbiettivo di quanto è avvenuto negli ultimi mesi nel paese, cioè della nuova gravissima sconfitta subita dalla classe lavoratrice, quindi dall’organizzazione sindacale e pertanto anche, di riflesso, dalle forze della sinistra.
Non rimuovere la disfatta del Jobs Act
In realtà questa sconfitta non viene completamente negata, ma è solo allusa e banalizzata al fine di nascondere le responsabilità dei gruppi dirigenti della CGIL (sul ruolo filopadronale delle altre Confederazioni non vale la pena di soffermarsi) e della stessa FIOM che è pur sempre un punto di riferimento a sinistra per significativi settori sociali.
E’ noto quanto avvenuto: un’accelerazione a tutto campo dell’attacco del governo al mondo e ai diritti del lavoro espresso in particolare con la legge delega sul Jobs Act, un movimento di resistenza e di lotta che si è attivato nel corso dell’autunno segnato da grandi mobilitazioni e da scioperi riusciti a cui, però, dopo la giornata del 12 dicembre, la direzione della CGIL non ha dato alcuna continuità, lasciando via libera all’azione di Renzi che ha cancellato lo Statuto dei Lavoratori.
Il primo corollario di questa disfatta è il rafforzamento del governo e del suo leader che avevano subito un declino per effetto della ripresa delle lotte. Il secondo grave corollario è l’iniziativa crescente e preoccupante nel suo impatto sociale delle destre reazionarie razziste guidate dalla Lega di Salvini che vuole presentarsi come l’alternativa a Renzi. Il ruolo dei media nel promuovere questo personaggio è fondamentale; l’altra settimana hanno scelto di sbattere in prima pagina la manifestazione di Roma dell’estrema destra (per altro di dimensioni limitate) oscurando la ben più massiccia contromanifestazione antifascista delle forze sociali e politiche della sinistra.
Nella storia della lotta di classe ci sono molteplici esperienze che portano ad un univoco insegnamento: le peggiori sconfitte arrivano sempre quando si rinuncia a combattere; meglio perdere lottando che arrendersi al nemico, perché si suscitano forze e si lasciano sedimenti che potranno essere utilizzati nelle fasi successive dello scontro tra le classi.
La scelta della CGIL è stata quella di accettare prima di malavoglia, una fase di resistenza senza per altro essere tempestiva nei tempi della mobilitazione e poi di abbandonarla proprio quando cominciava a crescere e attivava nuove disponibilità alla lotta dopo anni di rinunce e di passività.
In giro si sentono delle spiegazioni (anche nella FIOM) su quanto successo che danno i brividi: “Noi ci siamo mobilitati ma, a differenza del passato, questo governo non ha voluto tenere in considerazione la forza e i numeri delle manifestazioni e delle piazze”. In che mondo vivono costoro? Non era forse palese la volontà di Renzi e di Squinzi di non fare nessuna concessione, di imporre le politiche dell’austerità fino in fondo, perseguendo la sconfitta aperta dei lavoratori e un mercato del lavoro totalmente al servizio degli interessi capitalisti?
Delle due l’una: o i dirigenti sindacali non hanno capito nulla di quale sia il livello dello scontro sociale epocale in atto, o l’hanno capito benissimo, ma non intendono contrapporsi seriamente alle scelte della classe dominate (come è stato per tutti questi anni). In ogni caso dovrebbero essere cacciati dai lavoratori se questi ne avessero forza e consapevolezza.
Dopo aver rinunciato a provare a fare una cosa possibile, – battere con la mobilitazione generale le norme del Jobs Act – oggi le direzioni sindacali propongono di combatterle sul terreno più difficile, fabbrica per fabbrica, luogo di lavoro, per luogo di lavoro, cioè dove i rapporti di forza sono più difficili e deteriorati. Certo si può e si deve cercare di farlo, ma la proposta ha un senso reale solo se posta in un quadro di riorientamento complessivo delle politiche sindacali contrattuali e sociali, di rottura totale con la subalternità alle imprese e di rilancio della mobilitazione complessiva.
Così come appare incredibile che dopo aver chinato il capo senza combattere fino in fondo, alla distruzione dello Statuto dei lavoratori, cioè a uno strumento che, pur sbrecciato, ancora esisteva, oggi si dica: noi ne riproponiamo un altro. Perché si è lasciato che Renzi varasse i decreti legislativi senza riprendere la lotta a gennaio, ripiegando su uno strumento aleatorio ed incerto – anche se nessuno lo scarta del tutto – come quello del referendum abrogativo?
La nuova coalizione sociale
La Fiom nel tentativo di tirarsi fuori dalla crisi in cui rischia di precipitare nei luoghi di lavoro, per il combinato disposto delle norme del Job Act e dell’accordo del 10 gennaio 2014 e di non rimanere isolata davanti all’assalto di Renzi, propone la costruzione di una coalizione sociale, anzi di una coalizione sociale e politica.1 E’ certo corretto pensare a una più ampia unità tra i diversi soggetti sociali che provano a contrastare le politiche liberiste, ma il progetto è molto fumoso ed è difficile comprendere pienamente quale sia il disegno di Landini.
In realtà il progetto di una vasta alleanza sociale è stato ben presente sotto diverse forme in tempi passati. Negli anni ’70 c’è stata non solo una coalizione sociale, ma un vero blocco sociale che, intorno alle grandi lotte operaie, univa tutti i settori della classe lavoratrice, i giovani, i precari di allora e i disoccupati, insieme a un arco molto vasto di forze sociali, civili e politiche. Sappiamo come questo blocco sociale sia stato smantellato sull’onda del compromesso storico del PCI e delle scelte dei sindacati di accettare la primazia dell’imprese con la svolta dell’EUR del 1978.
Bertinotti propose all’inizio del nuovo secolo una grande alleanza politica sociale che avrebbe dovuta essere costituita dal PRC e dai movimenti (a partire da quelli contro la guerra e la globalizzaione anticapitalista) ben presenti in quegli anni. Sappiamo a che cosa servì quella proposta: a patteggiare l’accordo col centro sinistra di Prodi per le elezioni del 2006.
Meglio dimenticarla, anzi meglio ricordarla come esempio di una strada senza ritorno.
Fatte queste precisazioni storiche indispensabili non possiamo che condividere la ricerca dell’unità dell’insieme del mondo del lavoro e dei movimenti sociali e l’affermazione di Landini quando sostiene che ogni azione sociale, di iniziativa e di lotta, ma anche quelle individuali, hanno sempre anche una valenza politica.
Per questo sosteniamo e saremo presenti alla manifestazione nazionale che la Fiom organizza per la fine di marzo, auspicando che abbia pieno successo, anche se è evidente che essa si porta dietro tutte le difficoltà del maggiore sindacato italiano di categoria a individuare contenuti e modalità per un rilancio della mobilitazione nelle fabbriche.
Due lacune, sindacale e politica
In realtà ci sembra che mentre sono in tanti ad aderire all’idea della coalizione sociale e politica, avendo l’attenzione rivolta alla Grecia e alla Spagna, emergano nelle pratiche concrete due mancanze gravi, una sul terreno sindacale e l’altra su quello della politico.
Difficile pensare che la coalizione sociale auspicata dalla FIOM possa andare avanti se la sua direzione resta vincolata alla Camusso e alle scelte della CGIL, se non riesce cioè ad esprimere una linea sindacale alternativa, a svolgere la sua funzione precipua, cioè costruire la difesa della forza lavoro sul piano salariale, normativo, dei diritti. Senza un’azione forte come sindacato le capacità polarizzanti sociali della FIOM saranno inevitabilmente precarie e la formula della coalizione sociale non potrà mascherare a lungo le sue debolezze sindacali.
Ora le recenti scelte di cercare un accordo con FIM e la UILM per i prossimi contratti nazionali di categoria non sembrano essere un buon viatico, come la corrente di opposizione di sinistra ha spiegato. (Vedi in proposito l’articolo di Bellavita mettere link).
Per venire alle posizioni delle forze della sinistra verifichiamo la seconda mancanza, la confusione politica nell’individuare un progetto alternativo e anticapitalista.
Oltre a quello nebuloso di Landini i cantieri aperti sono numerosi, l’Altra Europa, ma anche Human Factor, le aspirazioni di Rifondazione e quelle di Sel, ma anche le coalizioni elettorali regionali e comunali in diverse varianti: una girandola di proposte, piene di buone intenzioni, ma anche manovre politiciste per cercare di tenere il bandolo della matassa e l’occhio sempre rivolto, in primo luogo, a conquistare le rappresentanze istituzionali.
Anche per questo l’impalpabile e qualche volta surreale sinistra del PD è sempre un punto di attrazione; qualche volta alcuni si dimenticano addirittura che non solo il PD di Renzi è il gestore dell’austerità, ma che lo é stato anche quello di Bersani.
Sembra di essere in un quadrivio affollatissimo in cui tutti si muovono nelle direzioni più diverse senza che nessuno sappia quale strada imboccare. In questo modo la crisi della sinistra continuerà ancora.
Invece servirebbe almeno un primo atto politico chiaro e definitivo per costruire una coalizione di sinistra alternativa: la rottura politica con il PD, con il suo sistema, con le sue gestioni nazionali e locali, cioè con un partito borghese, fedele agente della Troika in Italia. Sono ancora in tanti a proclamarsi avversari delle politiche dell’austerità, salvo esserne coinvolti nella sua gestione nei diversi livelli amministrativi in alleanza con il centro sinistra. Ancora di più sono quelli che pensano ad una fase di scontro ed anche di rottura, ma solo per conquistare maggiore forza e poter contrattare in un domani con il PD con maggiori possibilità.
Per favore, basta con le fumosità, con le manovre senza fine e il non detto. La nostra organizzazione si è sempre detta disponibile a ragionare sulla costruzione di un nuovo soggetto politico, ma questo perché sia utile alle lavoratrici e ai lavoratori deve essere alternativo alla classe dominate e a tutte le sue espressioni politiche.
Per poterlo fare occorre la chiarezza politica su alcuni nodi elementari ma essenziali, il rifiuto della collaborazione con le forze borghesi, una programma radicale per la difesa dei bisogni delle masse popolari costruito sulla nobilitazione e l’autorganizzazione della classe lavoratrice.
1 Resta da capire perché Landini lo scorso anno abbia contribuito a creare confusione cercando di dialogare con un soggetto come Renzi che era chiaramente schierato con Marchionne e che oggi lo irride ricordandogli che l’Amminstraore della Fiat ha sconfitto la FIOM. Ancora recentemente ai delegati Fiom di Mirafiori che avevano preparato uno striscione per una manifestazione su cui era scritto “Renzi buffone, Marchionne è il tuo padrone” è arrivato dall’alto, per misteriose ragioni tattiche, “l’ordine” di soprassedere.
6 marzo 2015
dal sito Sinistra Anticapitalista
La vignetta è del maestro Mauro Biani
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