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martedì 7 aprile 2015

VICTOR SERGE: UNA VITA DA RIVOLUZIONARIO IN FUGA di  Giancarlo Mancini





VICTOR SERGE: 
UNA VITA DA RIVOLUZIONARIO IN FUGA
di  Giancarlo Mancini



Sono usciti in Italia i "Carnets 1936-1947", scritti ritrovati in una fondazione a pochi chilometri da Città del Messico, dove Serge sconfitto trascorse gli ultimi anni



Fine novem­bre 1936, Parigi, André Gide è da poco tor­nato dal suo viag­gio in Unione sovie­tica, da cui ha tratto il suo già famoso e discusso Ritorno dell’URSS. Anche Vic­tor Serge è da poco tor­nato dall’Unione sovie­tica, il suo però non è stato un viag­gio da “let­te­rato” ma la fuga di un per­se­gui­tato poli­tico, di un dis­si­dente. Dopo dicias­sette anni di vita in Rus­sia in cui ha par­te­ci­pato alla rivo­lu­zione e al suo dif­fi­cile e tor­tuoso cam­mino Serge è tor­nato ancora una volta ad essere un apo­lide, un figlio di nes­suno, un cit­ta­dino del mondo in un mondo che però tol­lera sem­pre meno simili abitanti.

I due, Gide e Serge, si par­lano, si con­fi­dano, l’incontro è stato orga­niz­zato in gran segreto, un po’ per­ché Parigi pul­lula di agenti sta­li­niani, un po’ per­ché Gide vuole evi­tare che si possa pen­sare che il pen­siero sull’URSS possa esser stato influen­zato da Serge. Lo scrit­tore con­fida il suo risen­ti­mento nei con­fronti della legi­sla­zione verso gli omo­ses­suali, poi di un incon­tro andato a vuoto con Bucha­rin e infine delle atten­zioni riser­va­te­gli da Ehren­burg, allora uno degli scrit­tori più impor­tanti dell’Unione sovie­tica, bol­lato da Serge come “uomo tut­to­fare, un agente segreto o di asso­luta fidu­cia per gli agenti segreti.”

Poi Serge annota: ” E’ inquieto. Come se avesse paura si se stesso. Deva­stato. Il disa­stro del comu­ni­smo. Par­lato del Pro­cesso di Mosca. Nes­suna illu­sione su que­sta scel­le­ra­tezza e cru­deltà. Ho l’impressione di un uomo estre­ma­mente scru­po­loso, tur­bato fin nel pro­fondo dell’animo, che voleva ser­vire una grande causa– e non sa più come.”

Lo sfrat­tato Serge che coglie la delu­sione, il senso di smar­ri­mento di uno scrit­tore che final­mente pen­sava di aver tro­vato la causa giu­sta per cui vivere e lot­tare.
E’ anzi­tutto que­sta luci­dità e que­sta uma­nità ad emer­gere con pre­po­tenza sin dal primo appunto di que­sti Car­nets 1936–1947 (pre­fa­zione Roberto Mas­sari, pp. 384, € 24) appena pub­bli­cati dall’editore Mas­sari (del quale va messa in risalto anche l’encomiabile cura all’edizione com­pleta del libro più famoso e più impor­tante di Serge, Memo­rie di un rivo­lu­zio­na­rio.)

Ritro­vati in una pic­cola fon­da­zione a pochi chi­lo­me­tri da Città del Mes­sico, dove Serge tra­scorse gli ultimi anni di vita, gli appunti di que­sto dia­rio sono stati messi insieme e curati da Clau­dio Alber­tano e Jean-Guy Rens che curano anche l’introduzione al pre­sente volume.

In realtà le pagine dedi­cate agli anni trenta sono poche, si potrebbe anche dire che que­sti diari ini­ziano dav­vero con la par­tenza di Serge dall’Europa, il viag­gio in nave e l’arrivo in Mes­sico.
Lì pochi mesi prima del suo arrivo, nell’agosto del 1940, Leon Tro­tsky è stato assas­si­nato da Ramon Mer­ca­der. Serge è stato uno degli uomini più vicini a quello che molti rite­ne­vano essere l’erede più pro­ba­bile di Lenin e che invece è stato scon­fitto nella lotta per il potere da cui è uscito un unico vin­ci­tore: Stalin.

Serge lo chiama ancora il Vec­chio, nono­stante la rot­tura che in que­ste pagine trova una viva rico­stru­zione resta ancora il rispetto, l’impegno nella tra­du­zione delle sue opere, l’aiuto pre­stato ad alcuni mili­tanti.
Costante sarà in que­sti anni mes­si­cani il suo ten­ta­tivo di rico­struire gli ultimi anni di vita di Tro­tsky, la sua dispe­rata soli­tu­dine e lon­ta­nanza dalla Rus­sia e dalla rivo­lu­zione. In que­sto osser­vare e cer­care di capire gli ultimi anni di quel fan­ta­sma per certi versi ancora così pre­sente nella sua mente è come se Serge tro­vasse un modo per, spec­chian­do­visi, guar­dare anche alla pro­pria di con­di­zione, al suo, di Messico.

E in que­sto sforzo di rimet­tere insieme i molti fili della pro­pria vita di rivo­lu­zio­na­rio sta anche la dif­fe­renza della sua scrit­tura rispetto ad autori come Orwell o Koe­stler. In lui la ritro­vata con­di­zione di senza patria non coin­cide con il ritro­va­mento della libertà, ma con il sin­tomo per­so­nale di una scon­fitta uni­ver­sale, quella della rivo­lu­zione. La soli­tu­dine, l’esser soli, qua­lità essen­ziale e tipica di uno scrit­tore è per lui, diven­tato in que­gli anni (mal­grado la rot­tura con il vec­chio) il sim­bolo per molti dello scrit­tore tro­z­ki­sta, una tragedia.

Nato nel 1890 a Bru­xel­les da un ex uffi­ciale della guar­dia impe­riale zari­sta costretto a lasciare il paese dopo l’attentato alla vita dello zar Ales­san­dro II, Serge si avvi­cina gio­va­nis­simo agli ambienti rivo­lu­zio­nari e anar­chici del primo nove­cento, nel ’17 è in Spa­gna dove par­te­cipa ai ten­ta­tivi di insurrezione.

Con lo scop­pio della rivo­lu­zione decide di par­tire per la Rus­sia, dove arriva nell’aprile del 1919 e lì, nel pieno della guerra civile, decide di avvi­ci­narsi ai bol­sce­vi­chi e di fare un pezzo di strada assieme a loro. Restando però al con­tempo ben in guar­dia rispetto al dog­ma­ti­smo, all’insofferenza verso le posi­zioni distinte o diverse dalle loro, e avvi­sando sui primi segnali di repres­sione delle istanze dei Soviet, a par­tire dalla rivolta di Kronstadt.

La sua luci­dità lo porta ine­vi­ta­bil­mente e pro­gres­si­va­mente ad allon­ta­narsi con la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta dal mondo sovie­tico. E man mano che que­sta luci­dità prende forma in una scrit­tura che non vuole rispar­miare nulla di ciò che sa dire e che vuole dire, nasce al con­tempo la sua soli­tu­dine, che è la soli­tu­dine della sconfitta.

“Ciò che fa la forza e la gran­dezza dei rivo­lu­zio­nari russi è il fatto che costi­tui­scono un gruppo. Lenin e T. con intorno a loro i Bucha­rin, gli Zinov’ev, i Lunačar­skij, Smir­nov, Bub­nov, (…) for­ma­vano un ambiente colto, istruito pre­pa­rato sulla meto­do­lo­gia mar­xi­sta, ani­mato di pas­sione rivo­lu­zio­na­ria, pro­fon­da­mente one­sto– un risul­tato pra­ti­ca­mente unico nella storia”.

Da que­sta soli­tu­dine e da que­sta scon­fitta sono nate le Memo­rie di un rivo­lu­zio­na­rio e anche que­sti Car­nets pub­bli­cati in que­sti giorni.



4 Aprile 2015



                                                       









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