ELEZIONI REGIONALI:
UNA PRIMA VALUTAZIONE
di Franco Turigliatto
Abbastanza semplici e chiari gli elementi di fondo che emergono da questa tornata elettorale delle 7 regioni che sono andate al voto coinvolgendo oltre 23 milioni di elettrici ed elettori. Mentre scriviamo non sono ancora noti i risultati delle comunali, dove c’è stata un affluenza maggiore al voto; vedremo se essi propongono qualche elemento di diversità.
Il dato principale ed estremamente significativo è l’ulteriore crollo della partecipazione al voto (53,90%), ben 10 punti in meno rispetto alle precedenti regionali di 5 anni fa. Quasi un elettore su due non è andato al seggio a testimonianza di una società delusa, ma soprattutto disorientata, provata dalla crisi e dalla politica di austerità gestita da tutti e due i principali schieramenti elettorali, lasciata senza speranza e senza punti di riferimento non solo politici, ma anche sociali. Questa situazione naturalmente non impressiona le forze capitaliste, che considerano normale, perfino auspicabile, questa dinamica elettorale “all’americana”, dalla quale essi ricavano indubbi vantaggi.
Non può non fare impressione che la partecipazione maggiore al voto ci sia stata in Veneto (57,15%), seguito dall’Umbria (55,42%), mentre due altre regioni ex rosse, la Toscana (48,28%) e le Marche (49,78%) sono addirittura sotto il 50% (la Liguria appena supera quella barra), espressione dell’enorme disorientamento anche di quello che una volta era il cosiddetto “popolo delle sinistre”.
Il secondo elemento è che, al di là delle sue fanfaronate e della sua enorme presenza su tutti i media, nonché del sostegno aperto di tutti i poteri forti, il presidente del Consiglio conosce una battuta d’arresto. Le percentuali del Pd sono ben lontane da quelle drogate delle elezioni europee; niente da fare in Veneto, una vittoria tirata e sofferta in Umbria, una delle sue roccaforti, dura sconfitta in Liguria ad opera del braccio destro di Berlusconi, vittoria in Campania, ma realizzata attraverso un personaggio imbarazzante come De Luca.
Ancor più evidente è la battuta d’arresto di Renzi e del “suo” PD se si raffrontano i risultati di ieri con quelli delle europee di un anno fa nei voti assoluti. Nel complesso delle sette regioni chiamate al voto, il 25 maggio 2014 Renzi ottenne 4.264.691 voti. Ieri i sette candidati presidenti del PD ne hanno ottenuti 2.954.922, con 31 elettori su cento che hanno scelto alle regionali di non votare PD né il relativo candidato governatore. Occorre notare peraltro che i candidati presidenti, in tutte le regioni, oltre che dal PD erano sostenuti anche da altre liste, più o meno forti. Dunque, i 69 elettori su 100 che hanno deciso di confermare il proprio sostegno non sono tutti PD “doc”.
Se poi consideriamo che nella regione Puglia, il candidato PD Michele Emiliano, in odore di “antirenzismo”, ha un risultato positivamente per lui in controtendenza rispetto ai suoi omologhi delle altre sei regioni, ottenendo 767.572 voti, contro i 550.086 conquistati da Renzi l’anno scorso, e valutiamo solo i voti assoluti delle altre sei regioni, la perdita è di 41 elettori su 100.
Questo non vuol dire che Renzi si fermerà nella sua corsa; anzi è probabile che tiri dritto, a partire in primo luogo da una resa dei conti all’interno del PD e da una ulteriore “normalizzazione” a livello locale.
Il terzo elemento è che dalla crisi e dal degrado sociale emerge in modo inquietante il successo della Lega, non solo per la conferma dei consensi in Veneto, ma per i risultati di lista in molte regioni; è un brutto spettacolo vedere la Lega al 22% in Liguria, al 16% in Toscana, al 13% nelle Marche e in Umbria, una Lega che si trascina a rimorchio Fratelli d’Italia e che più che mai svilupperà le sue iniziative reazionarie e razziste all’indirizzo di vasti settori popolari.
Il quarto elemento è che Forza Italia, perde colpi, subisce il sorpasso della Lega, ma non affonda, conquista la presidenza della Liguria e mantiene complessivamente percentuali ridotte, ma in grado di condizionare ancora il quadro politico italiano.
Il quinto elemento, molto importante, è che l’unica opposizione reale e credibile che emerge dalle elezioni rispetto ai partiti dell’austerità e della “casta”, è il Movimento 5 Stelle, che ottiene il suo miglior risultato nelle elezioni amministrative, certo al di sotto del grande risultato delle politiche 2013 e delle stesse europee 2014, ma che lo colloca comunque come secondo partito dopo il PD.
L’M5 stelle dimostra così di essere un'esperienza che tiene e che, nonostante l’oscuramento sopravvenuto (se pure parziale) dei media, resta la forza elettorale principale su cui si esprime un voto non solo di protesta, ma anche di opposizione. I fenomeni di corruzione e di malaffare emersi anche di recente, nonché le caratteristiche di molti candidati costituiscono una continua spinta alla credibilità delle posizioni di questa forza politica, che corrispondono alla coscienza politica media di importanti settori di massa.
Il sesto elemento è che le speranze delle forze di sinistra di poter perseguire la strada e i successi di Podemos sono lontane dall’avverarsi.
In primo luogo occorre sottolineare che i partiti che si sono riconosciuti nella lista Tsipras alle elezioni europee, non hanno voluto e saputo presentarsi con una posizione univoca ed omogenea su scala nazionale, quindi potenzialmente credibile come progetto di alternativa. SEL ha scelto in parecchie regioni di stare col PD e SEL dispone comunque di una rendita elettorale che vale qualche qualche punto percentuale, per cui la sua presenza o meno incide significativamente sulle liste che si compongono. Inoltre in ogni caso le caratteristiche politiche degli schieramenti che si sono realizzati sono apparsi deboli sul piano dei contenuti e delle prospettive.
Il risultato maggiore, ma con caratteristiche ed incidenza particolari è stato ottenuto (oltre il 9%) in Liguria da Pastorino, l’uomo di Civati uscito dal PD. La lista ha avuto quindi il sostegno di un pezzo del PD, anche per effetto delle note vicende assai negative delle primarie, ma questa esperienza, e ciò dovrebbe preoccupare soprattutto Rifondazione, risulta quindi segnata dalle posizioni moderate di questi esponenti politici che provano a prendere il comando delle operazioni a sinistra non solo su scala locale, ma anche potenzialmente su scala nazionale.
Discreto il risultato in Toscana (oltre il 6%), dove l’ampia discussione politica che si è svolta e la partecipazione di liste e movimenti locali ha permesso una certa credibilità dello schieramento. Al di sotto del 4% la percentuale ottenuta nelle Marche e risultati molto più deludenti fino all’1% a scalare in Campania, Umbria, Veneto e Puglia. Il risultato delle liste a sinistra della sinistra (ben al di sotto dell’1%) presenti in alcune regioni confermano lo scarso appeal elettorale dello schieramento alternativo pur variamente articolato e nominato.
Il lavoro politico e sociale per provare a contrastare le politiche padronali e del governo è dunque ancora molto lungo.
Va sottolineato che le organizzazioni sindacali e in particolare la CGIL non possono pensare di essere estranee a quanto emerso dalle urne. Questa situazione politica è infatti figlia della mancanza di una risposta e di una mobilitazione sociale del movimento democratico e dei lavoratori alle politiche dell’austerità, all’involuzione democratica delle istituzioni e all’attacco ai diritti simboleggiata dal Jobs Act e dal cosiddetto progetto della “buona scuola”; è una situazione, quindi, che deriva in misura consistente dalla subordinazione alle politiche capitaliste delle direzioni sindacali, che hanno lasciato le masse lavoratrici senza una reale difesa collettiva.
Siamo più che mai convinti che per rovesciare le attuali dinamiche politiche e ricostruire una sinistra di classe con possibilità anche di credibilità elettorale, serva, non solo un progetto di alternativa al PD, ma anche e soprattutto la ricostruzione dell’unità sociale degli sfruttati nella mobilitazione e nella lotta: ridare la speranza che si può cambiare con l’azione collettiva.
1 Giugno 2015
dal sito Sinistra Anticapitalista
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