Il comunista Dante Corneli si rifugiò in Urss in epoca fascista ma venne internato. Ora escono tutti i suoi scritti, testimonianza della repressione staliniana (e della connivenza di Togliatti)
L’ALTRO UNIVERSO TOTALITARIO:
ODISSEA ITALIANA NEL GULAG
di Antonio Carioti
Tutti sanno che l’Italia vanta uno dei più importanti testimoni di Auschwitz, quel Primo Levi di cui abbiamo appena celebrato il centenario della nascita. Assai meno noto è il nostro connazionale che raccontò la sua esperienza diretta nell'altro universo concentrazionario del Novecento, il Gulag.
Quanti hanno sentito parlare di Dante Corneli, rinchiuso per dieci anni nei campi staliniani del complesso di Vorkuta, oltre il Circolo polare artico?
Certo, tra i due corrono enormi differenze. Levi era uno scrittore colto e di talento, le sue opere occupano un posto d’eccellenza nella letteratura mondiale. Corneli, nato a Tivoli (Roma) nel 1900 e morto nella stessa cittadina a novant'anni, era un operaio autodidatta: le sue pagine non hanno grandi pregi narrativi, ma il semplice vigore dell’autenticità. Li accomuna tuttavia la freddezza con cui vennero accolti inizialmente i loro resoconti dai lager. Com'è noto, Se questo è un uomo di Levi nel 1947 fu rifiutato dall'editore Einaudi e uscì presso la piccola casa De Silva. Corneli, tornato dall'Urss in Italia nel 1970, offrì inutilmente le sue memorie a Rizzoli, Mondadori e Rusconi, poi cominciò a pubblicarle in opuscoletti stampati a sue spese, che chiamava ironicamente samizdat come i materiali del dissenso sovietico.
Poi Levi si affermò: la riedizione Einaudi del suo primo libro, nel 1958, gli aprì meritatamente le porte delle notorietà. Anche Corneli, grazie all'aiuto del dirigente del Pci Umberto Terracini, critico da sempre verso l’ortodossia stalinista, ebbe la soddisfazione di vedere pubblicata nel 1977 una sintesi piuttosto purgata dei suoi ricordi, dal titolo Il redivivo tiburtino, presso una piccola editrice comunista eretica, La Pietra. Ma solo adesso le sue opere sull'esperienza sovietica sono state raccolte in tre volumi dall'editore Massari.
Il primo libro, intitolato Ritorno dal Gulag, è curato da Andrea Furlan, che ha assemblato tutti gli opuscoli di memorie editi in proprio da Corneli: sindacalista e militante comunista fuggito in Urss dopo aver ucciso nel 1922 il segretario fascista di Tivoli Guglielmo Veroli, l’autore aveva aderito all'opposizione antistaliniana guidata da Lev Trotsky ed era stato espulso dal partito sovietico, poi aveva fatto autocritica nel 1929, quindi era stato travolto dalle grandi purghe nel 1936.
Dopo dieci anni di Gulag, era stato liberato e inviato al confino fino al 1948, quando aveva potuto ricongiungersi con la moglie e il figlio per essere poi spedito l’anno dopo con la famiglia al soggiorno obbligato in zona artica, a Igarka, da dove se ne era potuto andare solo nel 1960.
Rispetto al Redivivo tiburtino, che era stato rivisto in sede editoriale, lo stile degli scritti curati da Furlan è meno sorvegliato, ma ci sono molti dettagli in più sulla vita grama dei lavoratori sovietici e la natura oppressiva del regime. Parti che La Pietra aveva preferito omettere in quanto raffiguravano in concreto il fallimento di un intero sistema. Terrificante il resoconto dei campi, nei quali però Corneli, mutilato a una mano, era sfuggito al lavoro più massacrante (e certo anche per questo si era
salvato): oltre alle frequentissime morti di stenti, non mancavano le esecuzioni di massa dei prigionieri.
Il secondo volume, curato da Antonella Marazzi, richiama già nel titolo, Italiani vittime di Togliatti e dello stalinismo, un’altra differenza tra Corneli e Levi. Se infatti lo sterminio gli ebrei, grazie anche allo scrittore piemontese, è da tempo parte integrante della nostra memoria collettiva, non altrettanto può dirsi della repressione che colpì gli esuli antifascisti italiani sotto Stalin. Si tratta di centinaia di persone arrestate, fucilate, mandate ai lavori forzati per ragioni politiche, con accuse spesso farneticanti, dal regime del Paese nel quale si erano rifugiate. Corneli, già anziano, aveva dedicato le sue energie a ricostruirne le vicende, contattando i pochi superstiti e le famiglie dei morti, passando lunghe giornate all’Archivio di Stato per studiare i loro fascicoli raccolti dalla polizia fascista.
L’inserimento del nome di Togliatti nel titolo della raccolta corrisponde all'idea che Corneli si era fatto sul leader storico del Pci, sottolinea l’editore Roberto Massari, che a sua volta ha curato il terzo volume Dal leninismo allo stalinismo, dedicato alla parabola della rivoluzione d’Ottobre. «Corneli, in apparenza un vecchietto semplice e bonario, era dotato di una profondissima saggezza interiore. Nonostante le sofferenze subite, non nutriva rancore verso chi gliele aveva inflitte o aveva comunque approvato il terrore. Ma mi sento di dire che nel rimarcare le colpe di Togliatti abbiamo esaudito un suo desiderio», dichiara alla «Lettura» Massari, che ha conosciuto personalmente il reduce dal Gulag.
In effetti nel secondo volume Corneli afferma che Togliatti non solo fece del Pci «un partito staliniano dei più settari e dei più ortodossi», ma fu pienamente corresponsabile della «politica di repressione» perseguita dal Cremlino. Una certa storiografia si limita ad ammettere che il leader comunista non protesse i compagni perseguitati, ma molti sono gli elementi per affermare che avallò l’attività di delazione verso i reprobi, nella quale si distinsero dirigenti come suo cognato Paolo Robotti (poi arrestato e torturato, ma infine liberato dagli aguzzini sovietici).
L’editore La Pietra nel 1977 aveva presentato Corneli, nella quarta di copertina del Redivivo tiburtino, come un comunista irriducibile, ma si tratta di una forzatura.
«Purtroppo Stalin — osserva Massari — ha squalificato per sempre il termine comunista. Corneli rimaneva certamente legato ai suoi ideali giovanili di giustizia sociale, ma difendeva la democrazia e rigettava ogni ricorso alla violenza politica». Forse per questo non trovò molto ascolto nella sinistra extraparlamentare: «Figuriamoci, quell’ambiente dopo il Sessantotto s’infatuò di Mao, che era un dittatore spietato quanto Stalin. Solo noi trotskisti davamo ascolto a Corneli».
Dante Corneli durante un incontro
a
Torino nel 1983 (foto di
Michele
D’Ottavio, archivio di
Marcello Braccini)
4 Agosto 2019
Dal "Corriere della Sera"
DANTE CORNELI
Ritorno dal Gulag.
Memorie del Redivivo tiburtino
A cura di Andrea Furlan
MASSARI Editore
Pagine 256,€ 20
DANTE CORNELI
Italiani vittime di Togliatti
e dello stalinismo
A cura di Antonella Marazzi
MASSARI Editore
Pagine 336,€ 23
DANTE CORNELI
Dal leninismo
allo stalinismo
A cura di Roberto Massari
MASSARI Editore
Pagine 336,€ 23
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