IL PRIMO COLPO DI SPUGNA SUI CRIMINI FASCISTI
di Antonio Moscato
Mimmo Franzinelli ha dedicato già diversi libri alla storia del fascismo e dei suoi crimini (Squadristi, I tentacoli dell'Ovra, Delatori), ma anche all'insabbiamento dei processi e della documentazione sulle atrocità compiute nella repressione del movimento partigiano (Le stragi nascoste).
Questo nuovo libro è sconvolgente anche per la documentazione riportata su molte sentenze della magistratura (in particolare della Cassazione) che applicavano l'amnistia a mostruosi torturatori, commentando che le sevizie non erano "particolarmente efferate".
Ne riportiamo un esempio, particolarmente scandaloso, tratto da una sentenza della II sezione penale della Cassazione:
"Le percosse prolungate seguite da scosse nervose del paziente e l'obbligata ingestione di un frammento di disco di fonografo con conseguenze dannose per gli organi addominali, le quali facilitarono lo sviluppo successivo dell'ileotifo, malattia che produsse poi la morte, non arrecarono dolori torturanti in modo intollerabile, né rivelano animo del tutto disumano, quindi non costituiscono sevizie particolarmente efferate". Quindi si può applicare l'amnistia!
Ma l'interesse principale del libro non risiede nella pur utile rievocazione della ferocia dei "ragazzi di Salò" e del carattere classista della magistratura (già nel 1949 c'erano già oltre 4.000 comunisti in carcere, contro un migliaio scarso di fascisti, "in maggioranza autentici e pericolosi criminali", come scriveva a De Gasperi lo stesso Questore di Roma Saverio Polito, che pure aveva cominciato la sua carriera durante il ventennio). È infatti utilissima la ricostruzione del dibattito del 1946 in seno al governo, che ripartisce le responsabilità equamente, anziché sul solo Togliatti, come è stato fatto spesso. I verbali della presidenza del Consiglio rivelano che l'amnistia, proposta da Umberto II prima del referendum, fu discussa a lungo nel consiglio dei ministri in maggio e poi di nuovo l'8 giugno 1946, pochi giorni dopo il voto, per essere varata con la massima urgenza due settimane dopo. Da un lato emerge che Togliatti aveva espresso diverse preoccupazioni, che aveva poi accantonato per tenere conto di esigenze espresse dai settori più conservatori della coalizione; dall'altro Franzinelli smentisce la leggenda di un Togliatti non personalmente responsabile delle formulazioni più pericolose del decreto, perché ha trovato nell'Archivio dell'Istituto Gramsci la minuta dell'art. 3 (quello che aprì le porte del carcere per la quasi totalità dei fascisti) scritta di suo pugno dal Guardasigilli, e l'ha riprodotta nella documentazione fotografica del libro.
La spiegazione che l'autore dà della catastrofica applicazione di una sanatoria scandalosa è convincente e non concede nulla alla demonizzazione del segretario generale del PCI: nella formulazione della legge avevano pesato le esigenze di salvare una coalizione tra forze con interessi di classe divergenti, che hanno fatto accettare a Togliatti – non solo in questo caso - scelte in contraddizione stridente con le proprie convinzioni e gli stessi interessi dei lavoratori; ma è stata determinante la mancata epurazione della magistratura, rimasta praticamente intatta.
Si pensi che la grande maggioranza dei magistrati di grado elevato avevano fatto tutta la carriera nel ventennio fascista, e i più anziani l'avevano iniziata nel periodo prefascista, in cui la giustizia di classe non era meno feroce. Tra i primi magistrati fascistissimi recuperati, c'era Gaetano Azzariti, che era stato presidente del Tribunale della razza dal 1938 al 1943, e che era stato nominato da Badoglio ministro della Giustizia nel suo primo governo. Azzariti diventerà successivamente presidente della Cassazione e membro della Corte Costituzionale, ma nel 1946 era stato nominato consulente di Togliatti per l'epurazione, con l'incarico di capo dell'Ufficio legislativo del ministero. Togliatti, a chi lo informava del passato di Azzariti, rispose: "Non me ne importa, ho bisogno di un bravo esecutore di ordini, non di un politico".
Molto interessante la documentazione che riguarda il ruolo attivissimo della Chiesa cattolica nel salvataggio dei criminali fascisti: non di singoli preti "nostalgici", ma dello stesso Pio XII (a tutela di Luigi Federzoni) o di monsignor Montini, il futuro Paolo VI (in difesa dell'assassino di Amendola, Carlo Scorza). Un gran numero di ex ministri mussoliniani furono ospitati nel convento dei salesiani di Grottaferrata in attesa di essere imbarcati a Ciampino su voli diretti in Sudamerica.
Impressionante poi la serie di sentenze che sminuivano il ruolo dei dieci docenti che avevano firmato il Manifesto degli scienziati razzisti, che non ricevettero nessuna punizione, nemmeno simbolica. Il loro capofila, Nicola Pende, mantenne tutti gli incarichi accademici e, post mortem, gli furono intitolati un premio internazionale e un'aula universitaria. Solo nel 2006 l'amministrazione comunale di Bari ha cancellato il suo nome dalla toponomastica (ma Giovanni Di Pierro, sindaco DS del paese natale di Pende, Noicattaro, ha continuato a difendere l'intestazione di una scuola a così esimio concittadino!).
Gli effetti nefasti dell'amnistia furono completati nel febbraio 1948 (in vista delle elezioni del 18 aprile) da un Decreto Legge (firmato dal nuovo Guardasigilli Grassi e da Andreotti), che offriva a tutti i funzionari epurati di scegliere tra la riammissione nei ruoli (col diritto alle mensilità arretrate) o il pensionamento con un bonus di 5 anni. La maggior parte preferì rientrare nell'apparato statale. Nel marzo successivo un altro decreto ripristinò i benefici di carriera e di pensione per i membri della Milizia volontaria di sicurezza nazionale... Pochi anni dopo una sentenza del Tribunale supremo militare disconosceva il ruolo non solo dei partigiani, ma dello stesso Regno d'Italia dopo l'armistizio (perché "esercitava il suo potere sub condicione, nei limiti assegnati dal comando degli eserciti nemici" (sic!), mentre "i combattenti della RSI avevano qualità di belligeranti, perché erano comandati da persone responsabili (sic!) e conosciute, indossavano uniformi e segni distintivi riconoscibili a distanza, e portavano apertamente le armi", cosa che non si poteva dire per i partigiani, da considerare quindi "ribelli" se non "banditi".
Utile anche la comparazione, nel capitolo finale, tra l'epurazione in Italia e quella di molti paesi europei, tutti assai più severi, compreso il piccolo Belgio, che emise un numero altissimo di sentenze durissime, comprese 1247 alla pena capitale. In Italia le condanne a morte furono solo poche centinaia, emesse in genere nelle prime settimane dopo la Liberazione, e quasi tutte non eseguite.
Insomma, secondo Frassinelli, durante il biennio 1945-1947 in Italia si gettarono le premesse di una lunga restaurazione capitalistica, che aveva necessità di recuperare gran parte dell'apparato fascista. D'altra parte questa prospettiva era stata intuita dai più lucidi criminali, come il principe Junio Valerio Borghese che, per sfuggire alla giustizia partigiana dei primi giorni, si affidò subito all'intelligence statunitense, che lo protesse fino alla definitiva scarcerazione. Questa fu sancita nel 1949 da una Corte d'Assise presieduta da un vecchio amico di famiglia, che pur di favorirlo commise spudorate irregolarità. Borghese poté ricominciare subito a complottare e a preparare colpi di Stato. I partigiani, intanto, andavano in galera...
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Mimmo Franzinelli, L'amnistia Togliatti. 22 giugno 1946. Colpo di spugna sui crimini fascisti, Mondadori, Milano, 2006.
dal sito Movimento Operaio
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