di Stefano Macera
Con questo scritto, dedicato a uno degli ultimi lavori di Marco Bolognini e già pubblicato sul sito Distopia, parte un ciclo di articoli sul cinema italiano, documentario e di finzione.
Saranno presi in considerazione sia i maestri, giustamente riconosciuti a livello internazionale, sia quegli autori minori, che si sono dimostrati capaci di trascendere i limiti di un corretto artigianato.
Palermo di Mauro Bolognini fa parte del progetto "12 registi per 12 città", legato ai mondiali di calcio del 1990. In quell'occasione, si chiese ad alcuni tra i più grandi nomi del cinema italiano (tra gli altri, Antonioni, Olmi e Rosi) di realizzare brevi ritratti delle 12 città italiane coinvolte nella importantissima manifestazione sportiva.
In quello che porta la firma dell'autore di film come La viaccia e Metello, c'è un aspetto che colpisce subito: l'ariosità dei movimenti di macchina, che sembrano produrre una danza attorno agli ambienti che ci vengono proposti. Ciò accade sia quando ci troviamo di fronte a campi lunghissimi (come quello, iniziale, con la città vista dall'alto), sia quando vengono attraversati rapidamente luoghi precisi (come il chiostro di Monreale).
Di certo, il documentario si segnala più per la estrema cura formale che per gli intenti didattici. Probabilmente, il regista è partito dall'idea - non infondata - del carattere velleitario di qualsiasi tentativo di restituire in una manciata di minuti una storia complessa come quella del capoluogo siciliano. Perciò, ha deciso di procedere attraverso una narrazione frammentaria, guidata dalle immagini, più che dal testo recitato dalla voce fuori campo, non a caso contraddistinto da un tono tendenzialmente evocativo e dalla essenzialità dei riferimenti storici.
Tale scelta, in linea di massima, risulta convincente, ma forse sconta il limite di ogni partito preso non portato alle estreme conseguenze. Nel senso che, a tratti, si avverte la sensazione che qualche elemento informativo in più avrebbe giovato. Si pensi, ad esempio, a quando la voce off si riferisce all'immagine dell'Annunciata senza specificare che è dovuta al sommo Antonello da Messina. Vien da pensare che, per non indurre lo spettatore a chiedere "più nozioni", si sarebbe dovuta scegliere la più radicale via dell'azzeramento del commento fuori campo. Ad ogni modo, ciò non intacca l'impatto complessivo di questa fatica di Bolognini, che peraltro, nonostante la sua natura occasionale, non è irrilevante ai fini di una maggiore comprensione dell'autore e della sua opera, a lungo controversa. E' noto che il nostro è stato spesso indicato come un amante della bella confezione in film in costume, tali da permettergli di dare sfogo alla sua vocazione per un'eleganza estenuata.
Se la descrizione in questione, nella sua parzialità, coglie elementi reali, va riconosciuto, però, che il regista è stato capace di utilizzare al meglio certe sue inclinazioni anche in una realizzazione non fiction come questa, dove la scenografia è costituita dalla piazze, le chiese e i palazzi storici d'una città.
Riflessioni generali sull'autore a parte, sarebbero da affrontare i termini in cui, nel documentario, vengono definiti i rapporti tra suono e immagine. A tal proposito, va anzitutto sottolineato che il contributo del sonoro è articolato, comprendendo un canto - dedicato a Palermo - che viene proposto all'inizio e alla fine, ma anche brani musicali strumentali e rumori del quotidiano. Questi ultimi, li ritroviamo nella sequenza che - allontanandosi finalmente dalla Palermo monumentale - alterna particolari del dipinto di Guttuso dedicato alla Vucciria a immagini "catturate" dal vero nello stesso mercato.
La musica strumentale, invece, accompagna quasi tutto il resto dell'opera, perlopiù in sottofondo, così da non distogliere l'attenzione dai brevi cenni della voce fuori campo, nè soprattutto dal fulgore delle inquadrature. Le quali, peraltro, interrompono il loro continuo movimento solo per brevi tratti, come quando l'affresco del Trionfo della morte, in Palazzo Abatellis, ci viene illustrato attraverso un serrato montaggio di dettagli.
Quel che è certo è che Palermo si presta anche ad una visione senza audio. Infatti, a prescindere dall'intervento, generalmente corretto, del sonoro, la forza di questo prodotto sta tutta in ciò che Bolognini ha voluto vedere, offrendoci l'immagine di una città meno sofferente di quella che domina nella tv-inchiesta, meno decadente di quella immortalata da Francesco Rosi in Dimenticare Palermo e più consona al suo temperamento di esteta.
5 aprile 2013
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