Diari di Cineclub

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giovedì 21 ottobre 2010

LA CAREZZA DEL PAPA (2010) di Pino Bertelli


VIRGINIANA MILLER.
LA CAREZZA DEL PAPA (2010)

di Paolo e Marco Bruciati

Recensione di Pino Bertelli




“Con le budella dell’ultimo padrone, impiccheremo l’ultimo Papa”…
Scritta murale dell’Internazionale Situazionista, Parigi, Maggio 1968


Il cinema in forma di poesia diffida dei consensi e degli applausi… s’interroga
sempre su ciò che accade nel mondo è riporta il cielo in terra… l’aggressione
del visibile del cinema ereticale separa ciò che è da ciò che non è e non è mai
stato… avverte dell’avvenire tradito su ridicole imposture teologali, cumuli
di macerie e sante inquisizioni. Il cinema senza bavagli disvela tutto ciò che
ingabbia l’uomo o lo asservisce, lo impoverisce o lo fatalizza nel regno dell’immaginario
assoggettato. La verità è figlia della libertà e solo il desiderio,
il piacere, la vita quotidiana liberata esprimono l’invito al viaggio (Baudelaire)
e al raggiungimento di una comunità in amore che sa fare a meno di ogni
idolatria. “Dio è il principio di ogni sottomissione. La notte legalizza tutti icrimini. Il solo crimine illegale è il rifiuto di accettare il padrone” (Raoul Vaneigem).
Ogni forma di potere ha bisogno della miseria per perpetuarsi e i
bravacci che organizzano i mercati globali architettano anche la sofferenza
dei popoli.
La carezza del Papa è un film piccolo, 4 minuti e 6 secondi di cinema nudo,
crudo, ironico che rifiuta l’omologazione senza fine del cinema come menzogna
e incapace di chiamarsi fuori dai lager/spettacolo dell’industria culturale
che, come sappiamo, si accorda alle richieste dei clienti, crea bisogni e
inventa la felicità di cartapesta… “Ai poveri, è la disciplina altrui che impediscedi pensare; ai ricchi, la propria” (Theodor W. Adorno). I vangeli del liberalismo
servono a legittimare le forche del consenso e ad ogni girata elettorale
sono sempre più i coglioni che pensano all’esistenza di un “buon governo”.
L’economia della macchina/capitale è una violenza, la politica di
espropriazione una forza: il solo rimedio valido per abbattere questa religione
del capitale sacralizzato.
I padroni dell’immaginario aspirano a costruire un’umanità della costrizione
e fanno dello spettacolo la merce come dispositivo per amministrare l’obbedienza
a tutto… al film che accarezza succede il morso dell’intolleranza che
concilia il consenso con l’inciviltà della società consumerista. Il cinema e il cattivo
uso della verità che incorona il dominio spettacolare dell’esistente e incatena
(come ogni forma d’arte genuflessa al governo dello spettacolo) l’entusiasmo
degli stolti al sacrario dei dominatori. Lo spettacolo “organizza magistralmentel’ignoranza di ciò che succede e, subito dopo, l’oblio di ciò chesiamo riusciti ugualmente a sapere” (Guy Debord). La produzione di un immenso
accumulo di spettacoli sono la rappresentazione di uno statuto mediale
che costruisce il silenzio ed è la pratica diretta dell’ingiustizia. La stupidità è
gradita al potere.
La carezza del Papa diserta il convenzionale e l’imbroglio. Figura una sorta
di cospirazione degli sguardi e la sua bellezza autoriale non lascia spazio a fraintendimenti
né gioca a “mosca cieca” con la verità… è un colpo al cuore del
sacro e una libera visione ateologica del presente. Si tratta dell’affabulazione
estetica ed etica di una canzone ereticale del gruppo livornese Virginiana Miller
e dice (senza troppi giochi di parole) che le carezze di ogni Papa sono velenose
per i bambini quanto per gli uomini e le donne di fede vestiti… di più… è
il ritratto nichilista di un epoca che non merita essere difesa ma va aiutata a
crollare.
Il cantante dei Virginiana Miller in abiti da prete è al centro della scena… avvolto
nel nero di un ipotetico inferno sacrale (i sottotitoli sono in latino)… c’è
un cane, una sedia, una borsa-cartella, una borsa da viaggio, un ombrello
verde, un pallone rosso, un libro e il falso-prete che salta e rimbalza intorno a
un falso-trono… è sovente ripreso in primo piano, poi inquadrato dall’alt
alla maniera di Quarto potere… getta messaggi di carta a probabili infedeli…
le variazioni sul tema dell’omelia apocrifa sbordano nelle parole e nella disincantata
teatralità del personaggio che guadagna la scena e diventa metafora
del mondo in rivolta… “Dio non esiste, allora tutto è permesso” scrive Dostoevskij
nei Fratelli Karamazov... se il Papa esiste, sottendono gli autori della
canzone, allora bisogna buttarlo giù dal suo altare di sangue a calci in culo…
perché il solo Papa buono è quello morto.
La canzone è bella, la musica avvolgente, semplice come uno sputo in faccia
alla politica istituzionale o uno sparo in bocca all’ultimo dei tiranni. Qui la
crocifissione della vita e la celebrazione del nulla s’incontrano e mostrano che
la felicità eterna è solo per gli imbecilli. L’imprimatur dell’ignoranza è tutto
negli impostori delle religioni monoteiste (Mosè, Gesù, Maometto) e il Papa
è la coestensività del crimine costituito nel mondo. Ancora. Il testo invita a
sottrarre la fantasia dalle unghie insanguinate delle chiese e fa riflettere sulle
religioni del dolore, che sono soltanto politiche del mondano inventate per
sottomettere i popoli e farli obbedire ai papi, ai sovrani, ai capi di Stato con la
paura di inferni immaginari.
Paolo e Marco Bruciati usano la videocamera con sapienza cinematografica…
le inquadrature sono disadorne e non invadono il personaggio/cantore della
storia… il montaggio non è scorciato, subliminale o velocizzato, secondo i
canoni richiesti del videoclip… è lavorato su una specie di partitura musicale
asincrona, elaborata in frammenti emozionali… la fotografia è curata, variegata
su neri e marroni delicati e la videocamera sembra palpitare di blasfemia
o si addossa la responsabilità ereticale di quanto gronda dallo schermo/vi-
deo. La visone collerica, libertaria e libertina del film chiede l’uguaglianza
dei godimenti e abiura la spada e l’aspersorio complici della Shoah… dopo
Auschwtitz è difficile dire che Dio esiste! E nella mistica (anche della sinistra)
di Dio, Famiglia, Patria e Lavoro c’è anche la proclamazione dello Stato totalitario.
Il fatalismo, il pessimismo e l’obbedienza sono gli alleati naturali di
ogni forma di fascismo.
La carezza del Papa risponde a un cinema dell’istante e a un’intuizione della
rêverie (del sogno ad occhi aperti) che incendia le menzogne dell’ignoto per
andare trovare sotto il selciato della vita, le spiagge dell’utopia… l’originalità
del discorso video-filmico aspira a rifiutare l’abitudine a servire ed è una severa
critica della conoscenza piegata al crepuscolo dei falsi idoli. È un piccolo
trattato di resistenza e insubordinazione… rigetta i chiasmi e i fasti di
un’estetica generalizzata del mercimonio e si inscrive nelle rivendicazioni
sovversive di una creatività franca e schietta della rivolta dei sentimenti struccati.
Si taglia via dalla cultura dell’ostaggio e aderisce allo spirito di negazione
che scava nella conoscenza ribelle degli eretici di ogni eresia.
Il film dei fratelli Bruciati sfugge alla messinscena e all’autocelebrazione di
molta avanguardia… non c’è autocompiacimento nell’impianto strutturale e
la canzone dei Virginiana Miller ha la capacità di suscitare il riso al cianuro della
dissidenza… rifiuta il primato della merce sull’uomo e mostra che il tempo
degli schiavi è anche il tempo dei padroni. La carezza del Papa non illustra la
compiutezza del modello (del corpo politico), provoca il rigetto sociale. È
una piccola opera che schianta l’organizzazione della benevolenza e della distrazione
(direbbe il giovane Marx) e fa dell’insurrezione dell’intelligenza il
reincanto del mondo. L’obbedienza non è mai stata una virtù.


Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, nove volte maggio 2010
 
dal blog "Utopia Rossa"

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